Parte 42 ALLA RICERCA DI SERENITA'

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"Non importa se vai avanti piano, l'importante è che non ti fermi."
(Confucio)

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Era stata molto male. Ci pensava ad ogni ora del giorno e ogni notte riviveva tutto. Non avrebbe potuto fare altrimenti. Era stata una terribile scelta obbligata che le aveva lasciato dolorose ferite aperte. Can aveva sofferto con lei. L'aveva accompagnata nel vivere questa tragedia e nell'assistere impotente al modo in cui li aveva colpiti. Sì, per loro era stata proprio una cosa orrenda e devastante, recepita proprio come l'abbattimento del frutto del loro amarsi, della fusione di loro due insieme. Il crollo dei loro progetti di famiglia e la frantumazione dell'idea di come sarebbe stato questo loro figlio non nato, li aveva addolorati e disorientati parecchio. Natalia era rimasta profondamente segnata sia nel fisico che nella psiche e lui cercava in tutti i modi di manifestarle il suo amore molto più di prima. La sosteneva, la consolava, la capiva, pur soffrendo come lei. Il suo cuore piangeva, ma si sforzava di farla sorridere. Voleva che reagisse, che non si abbattesse, che ritrovasse la voglia di vivere e di sperare.                                                             Tuttavia, lui e la sua Nat, erano rimasti ancora più legati. Dopo aver guardato insieme un monitor con il cuore di un figlio che batteva. Dopo la batosta della gravidanza extra uterina e dell'intervento di urgenza. Dopo aver avuto paura, ognuno a modo suo, lei in sala operatoria e lui in sala d'attesa. Dopo l'incrocio dei loro sguardi disperati.                                                                          Una notte di qualche mese dopo, lei pianse, sempre tra le braccia di Can. Piangeva e si sentì offesa vedendolo dormire, mentre lei pensava alla sua creatura persa. Ad un tratto lui aprì gli occhi la guardò e pianse con lei, abbracciandola ancora di più e baciandola mille volte con tutto il più grande amore e col massimo rispetto per la madre. Le parlò della sua sofferenza, del suo dolore....Allora lei ricambiò il suo abbraccio, i suoi baci. Si rese conto che lui faceva di tutto per non cedere, per aiutarla ad essere forte. Senza di lui non sarebbe mai riuscita a rialzarsi. Avevano entrambi desiderato tanto il loro bambino.                                                                                             -" Nat, baby, andiamo in Italia?" le propose una mattina. Lo guardò stranita e lo interrogò sul perché con lo sguardo.  -" Sì, dai, è da un po' che non ci torno e ne ho voglia. Con te sarebbe magnifico." La abbracciò e la cullò. Lei sentì sciogliere parte di quell'ondata di gelo che l'aveva investita dopo l'intervento e che ancora avvertiva. Le si inumidirono gli occhi mentre pensava a quanto amore le stesse dando Can e a come cercava in tutti i modi di riuscire a scaldarle il cuore, ormai freddo da qualche tempo. Non voleva deluderlo. Lui non meritava un rifiuto. Così acconsentì. Can amava quella Nazione da sempre e, l'aver sposato un'Italiana, lo faceva sentire ancora più attratto da  quel Paese, con la sua energia pulsante, tipicamente unica, dove c'era  quel qualcosa in più che mancava  a casa sua, in Turchia. L'Italia era, per lui,  il luogo che conciliava il vecchio e il nuovo, il luogo dove è anche possibile sognare e tentare di realizzare i propri sogni, perché tutti potevano relazionarsi tra loro, senza distinzione tra genio e follia, dove si poteva percepire quella libertà che non in tutti gli Stati si può godere. Appena l'areo iniziò la sua discesa, pian piano la terra sottostante prendeva forma. Mare, colline e appezzamenti di terreni pianeggianti che formavano riquadri di colore diverso, colpirono la loro vista. Natalia alzò lo sguardo su Can, i suoi occhi in quelli di lui e tutti e due rimasero così, fino a quando non li chiusero, nel momento in cui le ruote del velivolo toccarono la pista.                                            Stavolta si erano diretti al sud. E avevano scelto bene. Tutta quella splendida zona era ricca di storia, di arte e di bellezze naturali che nessun libro avrebbe potuto fedelmente narrare e descrivere. Vissero quei giorni,  percorrendo  in lungo e in largo le regioni del meridione, senza tralasciare neanche i paesini più piccoli, sempre unici nei loro generi. Capitarono per caso a Pietrapertosa, un piccolo centro della Lucania, che si univa ad un altro piccolo borgo, Castelmezzano, grazie al "Volo dell'Angelo", consistente in un grosso cavo d'acciaio sospeso tra le vette dei due paesi.  Li collegava, creando una vera strada nel cielo. Non ci pensarono due volte. Volare insieme, sfidando il brivido dell'altezza, la paura dell'ignoto, le vertigini, ma con gli occhi immersi in un panorama mozzafiato, era l'ultima spiaggia per la loro terribile esperienza. O l'avrebbero superata o ne sarebbero rimasti schiacciati per sempre. Un po' come o vivere o morire. Non se lo chiesero nemmeno. Guardandosi negli occhi si avviarono decisi verso il punto di partenza. Legati con tutta sicurezza da un'apposita imbracatura collegata al cavo, vicini e mano nella mano, provarono per qualche minuto l'ebbrezza del volo, scivolando in una fantastica avventura, unica in Italia, ma anche forse nel mondo, per la bellezza del paesaggio e per l'altezza massima di sorvolo. Un lungo urlo liberatorio e disperato uscì dalle loro bocche. Con le dita delle loro mani sempre intrecciate, arrivarono alla vetta opposta. Rimasero a lungo abbracciati. Erano già più leggeri. Raggiunsero Matera con l'auto che avevano preso a nolo e si diressero in un agriturismo per soggiornarvi un altro giorno. Si ritrovarono liberi, soli e meravigliosamente uniti. Can, con i capelli corti, occhiali da sole e cappellino, non fu riconosciuto, tranne che dalla signora che gestiva l'agriturismo, durante la registrazione dei loro nomi e dai documenti esibiti. La pregò di mantenere riservata la notizia del loro soggiorno presso la sua struttura, almeno fino a quando non fossero partiti. Il giorno successivo Roma li aspettava. Cenarono in camera. Si misero comodi dopo una doccia ristoratrice, parlarono a lungo, risero, riuscirono persino a scherzare. E si amarono con trasporto, con leggerezza, vivendo attimo per attimo il loro sentirsi rinnovati. Le loro anime, libere dal dolore acuto, innamorate sempre e più che mai, si unirono e si fusero ancora, forse anche in maniera più intensa di prima. -" Kral, ask, grazie di esistere..." gli disse lei. E si addormentò più serena, abbracciata da Can.                                                                                                                                                              La sera dopo, a Roma, la portò in un ristorante di lusso,  proprio come aveva suggerito la madre di Natalia. Erano passati a salutarla a casa di sua sorella, dove si era trasferita a vivere dopo la morte del marito di quest'ultima. Erano appena tornati dall'Inghilterra. Lì avevano vissuto per circa quarant'anni, quando lui, diplomatico ormai in pensione, morì di colpo, lasciando sua moglie vedova e senza figli. Zia Clotilde era molto affezionata alla sua unica sorella, più piccola di lei di parecchi anni, così le propose di vivere insieme. Quelle due solitudini divisero una sola abitazione e divennero l'una il sostegno dell'altra.                                                                                          Can non l'aveva mai incontrata prima di allora. Fu garbato e affabile oltremisura con la mamma di Natalia che ne rimase letteralmente conquistata, come anche sua zia. Guardava sua figlia e poi lui, cogliendo dai loro sguardi tanto, ma tanto amore. Fu veramente felice per la sua bambina. Ma il leggero velo di tristezza dei suoi occhi non le era sfuggito. Abbracciò Natalia, chiese che programmi avessero e, quando Can le rispose che voleva portarla a cena fuori, si permise di consigliare uno dei migliori ristoranti di Roma, inaugurato da poco. Diede loro le chiavi di casa sua e insistette perché non andassero a pernottare in hotel. Zia Clotilde prese il braccio di Can e lo invitò a seguirla, per fargli vedere un ritratto di suo marito. Era una scusa. A bruciapelo, appena si furono allontanati, gli chiese cosa fosse successo a sua nipote. Lui, fissandola negli occhi, narrò brevemente l'incubo che avevano vissuto e come, pian piano stavano ricominciando a respirare. L'anziana signora gli strinse con affetto la mano e gli sussurrò. -" Coraggio, sii forte e paziente. Falla svagare, falla divertire. Andrà tutto a posto. Siete bellissimi." Le sorrise e la ringraziò, portando la sua mano prima alle labbra e poi alla fronte. La stessa cosa fece con la madre di Natalia. E, con le dita, intrecciate a quelle della sua donna, uscirono.                                  

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NATALIA E CANDove le storie prendono vita. Scoprilo ora