Parte 77 ANCORA A BORDO? O FINE DEL VIAGGIO 3

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"Mi feci tante domande che andai a vivere sulla riva del mare e gettai in acqua le risposte per non litigare più."

(Pablo Neruda)

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Natalia non riusciva ad emettere alcun suono senza piangere. Lo sguardo fisso verso un angolo della stanza, il volto rigato dalle lacrime e, con la voce rotta dal singhiozzo, poi, si ritrovò a parlare da sola. -"Perché fa così?!  Non mi chiama, non mi cerca e io non so dove sia, con chi sia, cosa faccia. Niente, neanche un messaggio, non si preoccupa neanche di sapere come sto!". La sua voce era graffiata di rabbia, di delusione. - "Mio dio, cosa ho fatto? Sono senza il mio kral..." gridò ad un tratto, disperata, stringendo il cellulare in mano, come a volerlo far squillare. Aveva la sensazione che le mancasse una parte vitale del suo essere ciò che era. Era notte inoltrata, non poteva attendere più. Nello stesso momento Can fece la stessa cosa. Contemporaneamente presero il telefono e digitarono ognuno  il numero dell'altro. Trovarono tutti e due la linea occupata. Un'altra cascata di pianto si riversò sulle gote di Natalia. Ne fu ancora di più demoralizzata, al pensiero di suo marito che conversasse con altri, invece di tenere il telefono libero in attesa di una sua possibile chiamata. Non riusciva a stare in piedi, la testa le doleva e le girava, perciò, spossata dalle lacrime versate, si sdraiò sul letto.  A sua volta, lui si rabbuiò in viso, pensando che stesse parlando con Mario e, imprecando, lanciò il cellulare sul cuscino di lei. Si distese e chiuse gli occhi, rimanendo un tempo indefinito in quella posizione.


CAN

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CAN

'Volevo solo per me la mia donna, ma l'amore non poteva e non doveva creare sofferenza.  Mi soffermai a riflettere sul rispetto reciproco, la condivisione, il silenzio, tutto quello che è molto importante nell'unione di due esseri. E dovevo trovare un accordo con lei, un punto d'incontro, prima che si trasformasse in qualcosa di malato. Mi tornavano in mente delle frasi che avevo letto in un copione, - "L'amore è ciò che resta quando le farfalle nello stomaco sono volate via ... l'amore è ciò che trascende la passione, è qualcosa di più profondo, di più radicato, di costruito insieme, attimo dopo attimo... l'amore è forte e ti dà forza..." Ed ebbi paura di perderla quella forza, di arrivare a seguire con la mente il feretro della passione più grande, dolce e devastante della mia vita. Me ne stavo stordito, ferito nell'anima, la rabbia che montava dentro e non riusciva a diventare lacrime. Lei era l'essenza del piacere e, in quel momento, il mio veleno, in quel momento, era la mia ossessione. Lei era l'aria che respiravo, ma io mi trovavo in apnea.  Basta, dovevo dire basta  non c'era un parametro che corrispondesse a ciò che lei era per me.  Un qualcosa di sublime ci legava, era una sensibilità particolare, un filo invisibile che ci rendeva affascinati dalle stesse cose.  Era bella, era colta, amava la lealtà e la giustizia come me e la passione, fra noi due, era alle stelle. E da lì il delirio, la follia, come uno choc, mentre vivevamo l'essenza della felicità. Mi sono reso conto che stavo dando il peggio di me. Io che non ero mai stato il gelosone, il tipo che pedina, che controlla il cellulare, mi ritrovavo a impersonare Otello, e non sulle scene. Non avevo voluto ascoltare ciò che voleva dirmi, preso dal grande fastidio di quella scoperta inattesa, poi maturato in rabbia vera e propria. Era come se, questo non riuscire a possederla in pieno, mi gettasse nel terrore che il mondo me la rubasse, che un altro me la portasse via. Non potevo lasciare i suoi appelli inascoltati, dimenticare il suo odore, scacciare la sua immagine. Con lei e per merito suo, in pochi mesi ero cresciuto, da ragazzo ero diventato un uomo. Era riuscita a creare quell'interesse comune, caldo come un nido che è cresciuto  giorno dopo giorno e, stare con lei, era meravigliosamente bello, solare, rassicurante. Mi dava la carica per una giornata di lavoro, mi consolava nelle giornate difficili. Di lei ammiravo la curiosità intellettuale, la sua pudicizia, la sua riservatezza. Avevo compreso che non avrebbe avuto piacere di diventare un personaggio pubblico, di essere trascinata agli eventi, di finire paparazzata sui giornali. Cercai di accontentarla finché fu possibile farlo.  Mi aveva portato a riflettere in maniera diversa, perché mi amava davvero, a differenza delle altre a cui, forse, non avevo concesso di poterlo fare, probabilmente solo perché stavo aspettando lei. La mia Nat era la mia dea del desiderio, del piacere e della mia anima.  Per tutto il grande amore che avevo per lei e per le nostre creature, non dovevo farmi risucchiare in un gorgo di emozioni, ma continuare a condividere la vita con loro, con la mia donna, la nostra famiglia. Guardai l'orologio. Era già tardi. Di scatto presi le chiavi della macchina e mi fiondai da mia moglie e dai miei figli.'

NATALIA E CANDove le storie prendono vita. Scoprilo ora