Parte 17 DI CORSA A ROMA

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"Ho capito cosa sei per me quando ho capito di poterti perdere

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"Ho capito cosa sei per me quando ho capito di poterti perdere."

(Mr. Rain)

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Da tre giorni Natalia non vedeva Can. Troppo impegnato tra appuntamenti e valutazioni di proposte varie che, grazie a Dio, arrivavano incessantemente. Si sentiva più tranquilla a saperlo impegnato, perché ciò gli impediva di pensare e ripensare a quanto di molto spiacevole gli era accaduto. Era innegabile quanto ne soffrisse e l'avere la mente impegnata, lo alleggeriva parecchio dal grande dispiacere. Pian piano non ci avrebbe pensato più, l'avrebbe considerato un piccolo incidente di percorso. Sospirò. Diede un'occhiata al computer e cercò la pratica sulla quale stava lavorando. Non c'era verso di aprire quella maledetta applicazione a causa della corrente elettrica che faceva le bizze, quella mattina. Non riuscì a portarsi avanti nel lavoro e si innervosì, pensando alle scadenze della presentazione dei documenti. Spense tutto, nella speranza di riprendere più tardi. Un gran senso di confusione l'assalì. Nasli e Burak erano nelle sue stesse condizioni, nessuno dei tre riuscì a completare nulla. Si appoggiò alla scrivania con la testa fra le mani e gli occhi chiusi. Il suono del suo telefono glieli fece riaprire e vide il numero di sua madre sul display. -" Ecco! Ci mancava solo lei adesso. Che tempismo, mamma! Non basta la confusione che ho in mente.... Vediamo cos'è successo.... A quest'ora non mi ha mai chiamata..."pensò mentre rispondeva. -" Mamma, ciao, dimmi....." riuscì a sentire una voce flebile, quasi irriconoscibile che diceva -" Bambina mia, sono in ospedale, mi ci hanno appena portata con l'ambulanza, credo di aver qualcosa di rotto. Non riesco più a camminare. Ti passo l'infermiera . -Pronto? Buongiorno, sua madre ha avuto un'ischemia è caduta davanti al supermercato e stiamo aspettando l'esito della TAC, per valutare che danni ha subito il cervello." Un pugno nello stomaco. Un dolore sordo e profondo. La sua mamma. Sbiancò in viso, girò lo sguardo smarrito attorno alla stanza, la testa girava. La sua mamma. Che aveva solo lei. Che l'amava in maniera maniacale, da volerla proteggere anche quando non era necessario. E lei era scappata via perché si sentiva soffocare dal troppo amore. Un senso di rimorso le attanagliò il petto. Calde lacrime di pentimento per averla lasciata sola, sgorgarono dai suoi occhi. Colse in sé la paura di perderla. Nasli e Burak le si avvicinarono e lei li guardò smarrita. -" Devo andare da lei. Subito." disse. Corse verso il suo alloggio, prese un borsone, lo riempì del necessario e cercò di chiamare un taxi. Burak la fermò, le prese il bagaglio e, insieme a Nasli, si avviò verso la sua macchina per accompagnarla all'aeroporto. C'era un volo che partiva nel primo pomeriggio per Roma, avrebbe preso quello. Dopo aver acquistato il biglietto e fatto il check-in, si sedette su una delle poltroncine, in attesa che chiamassero per l'imbarco. Prese il telefono e digitò il numero di sua madre, ma non ricevette risposta da alcuno. -"Nemmeno l'infermiera?" disse tra sé. Allora chiamò Can, per fargli sapere che stava partendo d'urgenza e per salutarlo, ma neanche da lui ottenne risposta. Provò a rifare il numero di sua madre e rispose la segreteria telefonica, col classico messaggio che non era raggiungibile. Aprirono il gate per l'imbarco e contemporaneamente annunciarono il volo per Roma, all'uscita 12. Quindi si alzò e si mise in fila. Si imbarcò e attese il decollo del velivolo. Atterrò a Fiumicino e con un taxi si recò subito all'ospedale dove l'avevano ricoverata. Tutti amavano la sua mamma, per via di quel sorriso sorprendente, da ragazzina. Il cassiere del supermercato, non appena la vide stramazzare al suolo, col suo sacchetto della spesa,  corse in suo aiuto e quando si rese conto che non riusciva a mettersi in piedi, chiamò subito il 118. Appena arrivata, Natalia cercò il dottore che l'aveva presa in cura il quale le spiegò la situazione e disse che, fortunatamente, l'intervento del 118 era stato tempestivo, perché nell'arco di nemmeno 15 minuti la signora era già arrivata all'ospedale. Sottolineò l'importanza della tempistica, visto che in certi casi, prima si interviene e meglio è. La trovò assopita in quel lettino e provò una grande tenerezza nel vederla così abbandonata e indifesa. Era sdraiata, inerme e quella visione la fece sentire impotente e senza forze, mentre il suo sguardo spento era celato dalle palpebre semi chiuse. Cercò di leggerle dentro e si immaginò connessa a lei, nell'anima, legate in una danza fitta di pensieri misteriosi, forse mai compresi, ma che andavano dalla sua nascita a quel preciso momento. Si trattava di sua madre e così la vide. Ci sono soltanto due donne al mondo che riescono a guardarsi negli occhi, pensando che l'altra sia la più bella del mondo, una mamma e sua figlia. L'una lo specchio dell'altra.  La mano di Natalia scivolò dalla sua fronte alla sua guancia, in una carezza amorevole e delicata, come per paura di farle male. Rimase con lei tutta la notte e, alle prime luci del giorno la vide aprire gli occhi. -" Mamma, sono qui, come ti senti? " disse, baciandola. Ma lei non riusciva a parlare. Solo dopo quattro giorni dal ricovero, riuscì a  biascicare qualche parola, alcune comprensibili, altre meno. Riusciva comunque a mangiare e a deglutire,  seppur lentamente. Aveva il braccio fermo così come pure la gamba...Gli esami clinici erano nella norma e il primario aveva preso in considerazione il trasferimento ad un centro di riabilitazione, entro la fine della settimana. Si rese conto che non poteva allontanarsi da Roma, almeno fino al completamento dei cicli delle terapie riabilitative. Finalmente riuscì a rintracciare Can, dopo svariati tentativi falliti di mettersi in contatto. Neanche lui era riuscito a rintracciarla, ma quando udì la sua voce, piangendo, gli raccontò cos'era successo, scusandosi per non aver potuto salutarlo. Pianse ancora, senza interruzione. Non ricordava nemmeno che le lacrime fossero così salate e facessero così male. Non le scivolavano semplicemente sulle guance, ma erano come una pioggia acida. Lui la incoraggiò tanto e le disse di stare serena, che presto si sarebbero rivisti. Can le mancava e tanto. Le mancavano i suoi baci, le sue carezze ... le mancava lui.


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NATALIA E CANDove le storie prendono vita. Scoprilo ora