Part 55 UN ATTACCO PESANTE

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"E' facile da attaccare e distruggere un atto di creazione. E' molto più difficile farne uno."
(Chuck Palahniuk
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Era trascorso circa un mese dalla strana avventura con quella fan, l'avevano quasi dimenticata. La loro vita procedeva normalmente, tra alti e bassi come in tutte le famiglie con bambini piccoli.                                                                                                                                                                                      Un rumore proveniente dall'esterno, fece risvegliare Natalia dal suo sonno. Can dormiva beato accanto a lei, ignaro delle sue preoccupazioni.  Avvertiva, da quell'episodio, la sensazione che si sarebbe svegliata, per scoprire che era tutto un sogno e che, invece, qualcosa minacciasse realmente i suoi bambini. Non sapeva che suo marito, per non preoccuparla, le aveva taciuto di aver intensificato tutto il sistema di video sorveglianza. Da quell'esperienza insana ne era uscito veramente spaventato, non per la sua persona, ma per la sua famiglia.                                                Per quel giorno avevano programmato una grigliata in giardino con tutti i parenti, nonne comprese. Già era arrivato il primo carico di legna. Si alzò cercando di non far rumore e si diresse in bagno per fare la doccia. I bambini si svegliavano già più tardi rispetto a prima, erano cresciuti e raramente piangevano la notte. Avrebbe preparato i loro biberon con calma, dopo essersi vestita.                                                                                                                                                                                         -"Dove stai andando?", quella voce camuffata la fece sobbalzare con i biberon in mano. Non riuscì a distinguere nulla. Il volto era celato dal cappuccio della felpa, abbassato fin sotto gli occhi.  Era già sull'uscio della porta della cucina, pronta ad andare dai suoi figli.                                     -"Ho bisogno di andare in bagno ". Fu la prima cosa che le venne da dire.                                        Sbattendo la porta, corse verso la camera dei gemellini e vi si chiuse dentro.  Aveva le lacrime agli occhi e tremava, aveva fatto una cosa avventata e stupida. Se l'avesse raggiunta, li avrebbe messi in pericolo, invece che proteggerli. Can dormiva ancora, ignaro.  Era sul punto di sedersi sulla poltrona ai piedi del lettino di Guven, quando qualcosa le fece emettere un grido di spavento. C'era qualcuno. Un' ombra che non riusciva a distinguere, era dietro la tenda della porta finestra. Tremò di terrore.  Avrebbe voluto urlare di nuovo, sperando che suo marito la sentisse, quando una mano si posò sulla sua bocca. E sentì, dietro  di lei,   -"Insomma vuoi stare zitta? Non ho certo intenzione di violentarti".  La voce era di donna. Il suo modo di fare era decisamente scocciato. Natalia le morse la mano, era  l'unica arma di difesa che possedesse.         -"Ahi, maledetta, perché diavolo sei venuta a disturbarmi? "le disse, ritraendola.  Le rispose, guardandola stupita: -"Io? Sei tu quella venuta nel luogo sbagliato! Questa è casa mia e devi andartene. Sei tu quella fuori posto, non io". Aveva alzato, appositamente, la voce, più del dovuto, nella speranza di farsi sentire, ma la donna subito la zittì.  -"Oh, insomma vuoi fare silenzio? Ci ho messo una vita a fuggire da quella gente e non sono intenzionata a tornarci. Io sono la donna di Can e lui deve venire via con me. Dov'é? Dimmi dov'é. L'ho visto entrare ieri sera e non è ancora uscito. Sono rimasta tutta la notte ad aspettarlo e stamattina sono entrata dal cancello, dietro al camion con la legna." Le telecamere non l'avevano ripresa, perché celata dal mezzo. E all'interno della casa era entrata dalla porta scorrevole sul retro. Aveva poi fatto il giro all'esterno ed era arrivata alla porta finestra della camera dei bimbi. Questa volta, però, le telecamere, collegate con la polizia, l'avevano inquadrata chiaramente. Continuava a tenerle la mano sulla bocca e ad urlarle: -"Stai zitta, stai zitta!". Natalia cercava di divincolarsi, ma quella non mollava, anzi, con la mano libera, cominciò a colpirla sugli occhi, sulla testa e sulle guance. A un certo punto, con un violento spintone, la fece cadere a terra. Continuava a cercare di chiedere aiuto, ma non poteva. Aveva sempre la bocca tappata. Stava vivendo un incubo. I bambini si erano svegliati e sorridevano, aggrappati alle sponde dei loro lettini, pensando che fosse un gioco per divertirli. Poi con tutta la forza della disperazione, riuscì a morderle di nuovo un dito. Per il dolore tolse la mano e lei , poté gridare , sperando di essere udita. Questa volta, Can la sentì. Accorse e neutralizzò la donna. Era la stessa che si era gettata in acqua. Nel frattempo arrivò anche la polizia che la trasse in arresto. Aveva commesso una serie di gravi reati, sia civili che penali.  E, siccome  era straniera, sarebbe stata,  prima, processata penalmente e poi rimpatriata, col divieto assoluto di mettere piede sul suolo turco. La prese in braccio dal pavimento, dove, la fan folle, l'aveva scaraventata. Chiamò subito il medico, per fare controllare sua moglie. Abbracciò la sua donna, la madre dei suoi figli, e pianse. Le mise del ghiaccio sulla testa e sugli zigomi, dove la pazza aveva colpito. Rivolse lo sguardo ai suoi bimbi che ignari gli sorridevano e continuò a piangere, pensando a quello che avrebbe potuto perdere, se non avesse sentito il grido di aiuto di Natalia.

NATALIA:

Pregavo Dio che qualcuno mi sentisse. Con l'ultima forza che avevo in me, riuscii a
morderle un dito. Lei allora, forse per il dolore, tolse la mano dalla mia bocca e io gridai, sperando che Can mi sentisse. Temevo per i miei bambini, dovevo stare sveglia, anche se i pugni che avevo preso mi facevano girare la testa. La vicenda avrebbe potuto concludersi in
maniera assai peggiore, se  lui stavolta non avesse sentito il mio urlo disperato. Accorse subito. Me la tolse di dosso e la immobilizzò. La tenne ferma, fino al sopraggiungere della polizia, che arrivò, proprio qualche minuto dopo, non appena colsero le immagini di quella donna che si introduceva a casa nostra. Vidi il terrore nei suoi occhi e la rabbia pronta ad esplodere. Vi lessi dolore e preoccupazione. Ma non parlava. Solo dopo che gli agenti la portarono via, si chinò verso di me, mi prese in braccio e, tenendomi stretta, mi massaggiò la testa, che mi faceva un gran male, così come gli occhi e gli zigomi. Arrivò anche il medico per controllarmi. Mi iniettò un  antidolorifico, mi fece tenere il ghiaccio sul naso e sulla fronte, dopo avermi fatto bere una camomilla. L'abbraccio di Can mi scaldò, mi sentii subito meglio. Il mio porto sicuro erano quelle braccia, che lui apriva sempre per me. Dove mi perdevo, dove sentivo la vita vibrare, come le corde della cetra sacra. Erano il mio mondo. Mi aggrappai a lui con tutta me stessa. Mi sussurrava le parole più belle e piangeva. mi accarezzava il volto con delicatezza e mi baciava.     --" Hanno colpito te, amore mio, ma hanno ferito la mia anima." Strinse i pugni, fino a farsi diventare bianche le nocche. Continuò a baciare la mia testa e rimase a lungo con la bocca su di me.

CAN:

Uscii dalla doccia, mi vestii subito e mi recai in cucina, dove speravo di trovarla. Volevo augurarle il buongiorno, come facevo ogni mattina nel nostro letto, ma lei già non c'era. Guardai in giardino e vidi che avevano scaricato la legna che avevo ordinato per la grigliata. Avevo bisogno di vederla, aspettavo con ansia il suo ritorno, magari era alla dependance da sua madre. Non volevo disturbarle, ho pensato di aspettarla. Preparai qualcosa per la colazione, adoravamo farla insieme. Il grido del mio nome mi colpì le orecchie. Era Nat. Girai tutta la casa e infine arrivai alla porta della stanza dei bambini. Ero terrorizzato, pensai subito che fosse successo qualcosa ai miei figli. Cercai di aprire, ma era chiusa a chiave. Non sentii nessun rumore. Allora uscii e feci il giro fino alla porta finestra della camera. Era aperta. Entrai e la vidi a terra, con la bocca tappata da una mano, mentre veniva picchiata con l'altra da quella donna. Mi avventai contro di lei come una furia. Gliela tolsi dalle grinfie e le spostai le braccia dietro la schiena, immobilizzandola. Avrei voluto ucciderla, per quello che le aveva fatto. Era la stessa che avevo incontrato sugli scogli e che poi si era buttata a mare. Evidentemente non aveva concluso la sua fissazione con me. Non dissi una parola, non ci riuscivo. Lacrime calde e amare mi scendevano dagli occhi, senza controllo. Natalia, la mia anima, era stata picchiata, per causa mia. Non potevo lasciare quella donna, prima dell'arrivo della polizia, altrimenti sarebbe scappata e non potevo prendere in braccio la mia donna dal pavimento, che si teneva il capo dolorante, con un filo di sangue che le usciva dal naso. Finalmente arrivarono gli agenti e la portarono via, assicurandomi che l'avrebbero tratta in arresto, processata per direttissima e poi rimpatriata, perché era straniera. Chiamai subito il medico per farla controllare. Fortunatamente non riscontrò danni. Le botte non erano state pesanti, trattandosi di una donna. Respirai meglio. Dopo averle fatto un'iniezione di antidolorifico, se ne andò, non prima di averle fatto bere una camomilla. La presi tra le braccia e me la strinsi. Le baciai  tutte le parti che erano state colpite. Le dissi che era tutta la mia vita e che non avrei mai voluto che le succedesse. Piangevo come un bambino. Quel bambino, che ogni volta che ero con lei, usciva da me.


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NATALIA E CANDove le storie prendono vita. Scoprilo ora