Capitolo 86

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Durante il tragitto verso Londra pensai a Greta. Non potevo parlarne con Henry, perchè lui ne avrebbe parlato d'istinto con Dylan e Greta per il momento voleva che rimanesse un segreto.
"Che hai?" mi chiese Henry una volta arrivati "Raramente sei così silenziosa"
Scrollai le spalle e sorrisi "Mi godevo la tua compagnia, tutto qui"
"Mhm" aggrottò appena le sopracciglia, non convinto dalla mia spiegazione, ma non mi chiese altro e io lo apprezzai.
"Ti dispiace se passiamo un attimo da Dylan? È da questa mattina che non risponde al telefono e sono preoccupato"
"No, affatto, andiamo subito"
Henry non se lo fece ripetere due volte e accelerò, diretto verso l'appartamento del migliore amico.
Come avrei potuto guardare Dylan negli occhi e mantenere il segreto di Greta? Lui era così dolce e gioviale, nascondergli qualcosa era impossibile! Iniziai ad immaginarlo come genitore e non potei non sorridere, pensando a un mini Dylan e ad una mini Greta che correvano attorno a lui e a Greta in un prato, vicino ad un ruscello...
Scossi la testa, per togliermi dalla testa quella visione e tornare con i piedi per terra.
Una volta parcheggiata l'auto, Henry si precipitò fuori ed entrò dentro il palazzo come una furia, precipitandosi verso l'ascensore.
È davvero preoccupato pensai mentre l'ascensore saliva fino al quinto piano, più lentamente di quanto Henry desiderasse.
"Calmati" gli misi una mano sulla spalla "Starà bene, forse ha spento il telefono"
"Lui non spegne mai il telefono" deglutì "Voglio solo assicurarmi che stia bene, poi possiamo andare"
Non appena le porte dell'ascensore si aprirono, Henry andò deciso verso la porta dell'appartamento di Dylan, aprendola con una chiave che aveva nel suo mazzo. Notai che, tra le sue chiavi, pendeva il portachiavi di Cambridge che gli avevo regalato per il compleanno. Era un piccolo dettaglio che mi fece sorridere.
Entrammo nell'appartamento di Dylan e lo trovammo steso sul divano, addormentato, con una bottiglia di vodka quasi vuota posata sul pavimento. Non si era rasato e indossava dei pantaloni di tuta e una maglia logorata.
Arricciai il naso, infastidita leggermente dalla puzza dell'alcol che riempiva la stanza, così aprii la finestra che affacciava sulla strada per far entrare dell'aria pulita.
Henry scosse Dylan con una mano "Ehi? Dylan?"
Lui si svegliò intontito "Che ci fai qui?"
"Mi hai fatto preoccupare, è tutto il giorno che non mi rispondi"
"Volevo stare da solo!"
Mi avvicinai "Ciao, Dylan"
I suoi occhi chiari si posarono su di me e il suo viso fu mosso da una smorfia "Vattene"
La durezza nella sua voce mi fece indietreggiare "Co-"
"Sei sua amica e perciò mi ricordi lei" si mise a sedere "Ti voglio bene, ma non voglio vederti ora"
Guardai Henry, che sospirò e si mise in ginocchio davanti a Dylan "Dylan, non puoi fare così... Bere fino alla nausea... Non va bene"
"Ho il cuore a pezzi!"
Distolsi lo sguardo e mi morsi la lingua "Greta potrebbe aspettare tuo figlio, non puoi ucciderti con l'alcol" avrei voluto dire, ma rimasi in silenzio.
"Senti, voglio starmene in pace! Prometto che domani mattina ti chiamerò per farti sapere che sono vivo, ma ora andatevene!"
"Henry" lo richiamai "Non costringerlo a parlare se non vuole" d'altronde Henry usava la stessa carta quando stava male.
"La tua ragazza è più intelligente di te" commentò Dylan, alzandosi dal divano e prendendo un'altra bottiglia piena "Andate, forza"
Anche Henry si alzò "Se domani non mi chiami, giuro su Dio che vengo a casa tua e ti spacco tutte le bottiglie di alcolici che hai. Hai capito?"
Dylan scrollò gli occhi "Sei sempre stato eccessivo, se non ti ho risposto oggi è perchè non volevo parlare"
"Credevo ti fosse successo qualcosa!" scattò Henry "Ricordi cosa ci siamo detti anni fa? Sentirci sempre una volta al giorno, qualunque cosa succeda"
Fu come se Dylan avesse ricevuto un pugno, sentendo quelle parole "Hai ragione, mi dispiace. Domani ti chiamo, Henry. Ma ora voglio stare da solo"
Le acque si placarono e salutammo Dylan un'ultima volta prima di andarcene dal suo appartamento. Una volta in macchina, chiesi a Henry "Cos'è la storia del sentirsi ogni giorno?"
Henry mise in moto l'auto "È... Niente"
"Niente"
Lui aggrottò la fronte e strinse il volante dell'auto, le nocche gli diventarono bianche "È una cosa che facciamo da quando siamo piccoli, per assicurarci di essere ancora vivi
Arricciai il naso "È un po' tetro. Tenero, ma tetro"
"Lo so, ma Dylan è come un fratello per me e, come sai, ormai non c'è più nessuno della mia famiglia in vita"
Quell'ammissione fu inaspettata e non seppi come replicare, perciò rimasi semplicemente in silenzio.
"London-Eye?" Henry riportò l'allegria nella conversazione.
"London-Eye!" confermai, entusiasta "Non vedo l'ora di vedere il paesaggio notturno da là sopra!"
Il telefono di Henry si mise a suonare e lui, vedendo che era Crystal, rispose subito mettendo in vivavoce "Ciao, Crystal, che succede?"
"MILTON È IMPAZZITO!" rispose lei ad alta voce e in maniera isterica "Ha invertito i dati dell'anno scorso con quelli di tre anni fa, ora sta sbraitando dicendo che nessuno deve toccare il suo computer, sta diventando aggressivo. Ti prego, vieni, nessuno riesce a farlo ragionare. Nemmeno la sicurezza riesce a calmarlo"
Henry sbuffò e mi lanciò un'occhiata "D'accordo, arrivo subito"
Poggiai la testa allo schienale del sedile "Il CEO è richiesto" scherzai, mentre Henry cambiava strada.
Mi aspettavo una serata tranquilla, invece sembrava abbastanza movimentata e piena di imprevisti, come una partita a Monopoly.
Henry parcheggiò velocemente e in maniera poco delicata davanti alla sua società, dicendomi di aspettarlo in macchina perchè non ci avrebbe messo molto. Lo vidi entrare nella società, facendo una camminata da duro, pronto a spaccare la faccia a qualcuno. Iniziai a ridere, provando al tempo stesso pena per quel Milton.
Alla fine uscii dall'auto, stancandomi di stare seduta. Incrociai le braccia al petto e aspettai per un venti minuti che Henry tornasse, chiedendomi se avesse già licenziato qualcuno.
Quando lo vidi tornare da me, gli andai in contro con un sorriso tranquillizzante, dato che mi sembrava abbastanza provato.
"Aveva dei file nascosti nel suo computer, per questo non voleva che lo toccassimo. File privati della società che intendeva divulgare alla Foster, per fortuna l'abbiamo fermato in tempo" sospirò e mi strinse a lui, cingendomi le spalle con il braccio "Ho bisogno di liberare la mente, andiamo al London-Eye"
"London-Eye!" ripetei, facendolo ridacchiare.
Mentre camminavamo verso la macchina, un ragazzo alto più o meno quanto Henry e snello si avvicinò a noi. Non poteva avere più di diciotto anni, aveva i capelli dritti e bronzei, gli occhi erano blu, simili a quelli di Henry "Ciao" ci disse "Sei Henry Cooper, vero?"
Henry, scrutando il ragazzo, mi spinse delicatamente dietro di lui mentre gli rispondeva "Sono io, perchè?"
Il ragazzo inspirò, come se cercasse il coraggio di parlare "Mi chiamo Trevor" fece un altro respiro "Sono tuo fratello"

Le sfumature del tramontoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora