Capitolo 18

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Io e le mie amiche eravamo sedute per terra nella mia stanza, avevo appena finito di raccontare lo svolgimento della serata precedente.
"A me sembra evidente che gli piaci" aveva commentato Arianna "Ma davvero non è successo niente?"
"Forse stava per succedere, ma Jenna mi ha chiamato e puff... Addio"
"Beh... oggi magari" Federica si mise a sorridere maliziosa.
Il telefono di Arianna vibrò e lei ci lesse ad alta voce il messaggio "Ho appena incontrato la Villa col marito, che imbarazzo... È un messaggio di Sam, dice che nel momento in cui l'ha incontrata stava imprecando per aver calpestato una gomma da masticare" scoppiò a ridere e noi ci unimmo a lei.
"Spero di non incontrarla" feci io "Sapete che l'adoro, ma visto che esco con Henry..."
Greta controllò l'orario sul suo orologio "Forse noi dovremmo iniziare ad andare"
"Di già?" chiesi mentre aprivo l'armadio "Vi mando un messaggio quando torno a casa"
"Divertiti stasera" Federica mi strizzò l'occhio prima di uscire dalla stanza.
Dopo aver salutato le mie amiche, iniziai a vestirmi. Approfittando della ceretta appena fatta, presi dall'armadio un vestito color corallo a maniche corte. Era un vestito a tinta unita, aderente sul busto e morbido sui fianchi, arrivava qualche centimetro oltre la metà della coscia.
Infilai la giacca di jeans e degli stivali color cuoio, poi presi una borsa dello stesso colore, mettendoci dentro tutto ciò che mi serviva. Non volli truccarmi, mi limitai a pettinarmi al meglio i capelli e i ciuffi laterali.
Quella sera uscii di casa in perfetto orario, Henry era già fuori dal portone ad aspettarmi "Tu non fai mai ritardo?" chiesi io.
"Una volta ho licenziato un mio dipendete per i continui ritardi" mi disse "No, non faccio mai ritardo" iniziò a prendere le chiavi dell'auto dalla tasca, ma lo stoppai.
"No, oggi si cammina!" nonostante mi rilassasse fare i viaggi i macchina, adoravo allo stesso modo fare le passeggiate la sera "Ti farò da guida turistica"
"Quale onore" mi sorrise ironico "Non voglio perdermi"
"Non ti perderai!" roteai gli occhi "Abbi un po' di fiducia"
"Andiamo, allora" con un gesto plateale indicò la strada verso il centro, facendomi partire prima di lui.

Stavamo camminando l'uno accanto all'altro, ogni tanto ci fermavamo perchè dovevo raccontargli la storia di un posto "Questa è la pizzeria dove ho festeggiato i miei dieci anni, è un luogo molto importante per la mia vita" scherzai "Mi sono seduta su quella panchina per aspettare che mio padre caricasse tutti i regali ricevuti in macchina"
"Davvero una storia fondamentale per la cultura veronese" mi rispose ridacchiando "E quel palo? Ha una storia anche quello?"
"Sì, Alessio una volta ci ha sbattuto mentre tornavamo da una visita guidata in primo"
"Alessio...?"
"Un mio amico, lo hai sicuramente visto ieri dopo scuola... Ah! Quella è la Casa di Giulietta, siamo vicini all'Arena di Verona"
"Ti fingi guida turistica?" una terza voce si intromise nella conversazione tra me e Henry.
"Nicolas, Fabrizio... Ciao!" feci un sorriso falso "Faccio solo vedere allo straniero le bellezze della nostra città" straniero, ecco un soprannome che gli si addiceva.
Henry aveva messo le mani nelle tasche dei jeans, portava la stessa giacca della sera precedente e aveva una camicia blu cobalto. Stava squadrando Nicolas dalla testa ai piedi, forse stava cercando di trattenere una risatina.
"Ha un pessimo senso dell'orientamento" Nicolas guardò coi suoi occhi piccoli e marroni Henry, il quale alzò le sopracciglia divertito.
"Compensa con l'umorismo" fu la sua risposta, che mi fece sorridere.
"Sì..." il mio compagno di classe non sembrava molto convinto, d'altronde non andavamo molto d'accordo.
"Ci vediamo domani in classe" conclusi in fretta la conversazione.
"Ciao" mi salutarono entrambi e poi si allontanarono.
Feci una smorfia ed Henry mi guardò divertito "Molto simpatici"
"Non ci piacciamo a vicenda" replicai "Ma va bene, non si può essere amici di tutti"
"Sono d'accordo" riprendemmo a camminare.
"E non è vero che ho un pessimo senso dell'orientamento" ci tenni a precisare, ma la nostra attenzione fu catturata dalla scena che avevamo davanti: c'erano due bambine, di circa otto e cinque dieci. Entrambe stavano mangiando il gelato da una coppetta, quando la bambina di otto anni per sbaglio colpì la sorella, la quale per vendicarsi le diede un piccolo ceffone sul braccio facendole cadere il gelato a terra.
"No" esclamai prolungando la o, vedendo la bambina di otto anni che piangeva "Poverina"
"Non è mai capitato a te e a tua sorella?" mi chiese Henry scettico.
Distolsi lo sguardo dalle bambine che venivano sgridate dai genitori "No, abbiamo sempre avuto un bel rapporto. Certe volte vorrei davvero strangolarla per alcune cose che fa, però le voglio bene"
"Deve essere bello" commentò suscitando la mia curiosità.
"Non hai un buon rapporto con i tuoi fratelli?"
"Sono figlio unico, in realtà"
Non sembrava particolarmente rattristato dalla cosa, ma forse era solo bravo a nasconderlo "E con i tuoi genitori hai un bel rapporto?"
"Sono morti"
"Ah" mormorai "Mi dispiace"
Alzò le spalle "È successo anni fa"
Non gli chiesi come fosse successo, perchè se fossi stata al suo posto non l'avrei voluto. Avrei preferito cambiare argomento, però sentii come l'esigenza di confortarlo, di abbracciarlo. Era strano, ma nonostante non lo conoscessi da chissà quanto tempo, non volevo che soffrisse.
"Però ho una nonna. È parecchio anziana, ma è forte come un leone"
Iniziò a tirare un po' di vento e mi strinsi nella giacca di jeans, ma non avevo freddo "Sarà fiera di te"
"Non è una persona che esprime le sue emozioni"
Avevo la sensazione che nemmeno lui fosse quel tipo di persona.
"Certe cose non hanno bisogno di essere dette" scrollai le spalle "Si capiscono e basta"
Henry concordò "Le parole sono sopravvalutate"
Camminammo ancora un po' senza parlare, ma questo silenzio non mi metteva a disagio, anzi, mi sentivo inspiegabilmente a mio agio.
Forse per lui era lo stesso, lo si poteva capire dal modo in cui camminava rilassato, lanciandomi di tanto in tanto delle occhiate accompagnate da un mezzo sorriso.
"Sei già stato a Verona, vero?" chiesi ad un certo punto, notando la sua espressione poco sorpresa nel vedere le varie parti della città.
"Sì" mi rispose "Vado spesso a Venezia per lavoro e quando posso faccio un salto qui"
"Ah" mi scostai uno dei due ciuffi laterali dagli occhi "Deve essere bello poter andare dove si vuole, quando si vuole"
"Sì..." concordò, ma non mi sembrava convintissimo, però non riuscii a capirne il motivo "Tu viaggi spesso?"
Scrollai le spalle "Non spesso quanto vorrei. Sono stata in gran parte dell'Italia e da piccola andavo molto spesso in Inghilterra"
"Non mi dire"
"Mia mamma è di Liverpool" spiegai "E ci andavamo quasi sempre, però abbiamo smesso quando sono morti i miei nonni"
"E quali altri posti ti piacerebbe andare?"
Feci un mezzo sorriso e incatenai i miei occhi verdi ai suoi blu "Dappertutto è una risposta troppo vaga?"
"È una risposta sincera" sorrise anche lui.
"Il mondo ha tanto da offrire" iniziai ad argomentare "Ho intenzione di vedere e di fare più cose possibili, non voglio vivere con dei rimpianti"
Qualcosa mi diceva che Henry fosse dello stesso pensiero.
"E hai le idee chiare sul tipo di lavoro che vuoi fare?"
"Siamo passati alle classiche domande che si fanno ad una persona prossima al diploma?" scherzai, poi però gli risposi seriamente, nonostante mi mettesse un po' in soggezione parlare di quello con lui "Io..." inizia "Vorrei avere una società tutta mia, una società con cui fare del bene. Hai idea di quanto cibo sprecano gli Stati ogni anno?" sospirai "E invece in alcuni parti del mondo soffrono la fame. Io non so ancora come fare, però voglio una società che aiuti quelle parti del mondo e contribuisca a diminuire lo spreco di cibo"
"È..." si bloccò come per trovare la frase giusta "È davvero un bel sogno da inseguire"
"Lo realizzerò" feci convinta "È quello che voglio fare e lo farò"
Nel suo sguardo c'era uno strano luccichio, come se qualcosa si fosse acceso dentro di lui "Sono convinto che ce la farai" fece una pausa "Hai già scelto l'università?"
"Sì, l'ho scelta" ed è molto vicino a te "Io e le mie amiche andremo a Cambridge"
Si bloccò e si voltò verso di me "Cambridge?"
"Cambridge"
"Complimenti, è molto prestigiosa"
Chinai la testa sorridendo tra me e me, per poi ritornare a guardarlo "Grazie"
Ricominciammo a camminare "Anche io ho studiato lì"
La cosa non mi sorprendeva affatto.
"Sono sicuro che ti troverai bene"
"Lo spero"
"Cambridge è vicino Londra" inarcò un sopracciglio "Importunarti sarà più facile"
"Come lo sarà rubarti il caffè" ridacchiai, non realizzando che quelle battute implicassero un vedersi ancora.
Quelle, però, erano solo battute, niente di più.

Iniziò a farsi tardi e ci avviammo verso casa mia. La serata era giunta a termine e probabilmente entrambi avremmo continuato a vivere la nostra vita, custodendo il dolce ricordo del tempo passato assieme.
Eravamo arrivati a destinazione, io salii sul gradino davanti al portone senza però entrare nel palazzo. Henry era davanti a me, ancora qualche centimetro più alto nonostante il gradino.
Inserii la chiave nella serratura del portone ma aspettai ad aprirlo "Grazie per la serata"
Il suo sguardo si era fatto più intenso, più penetrante "Buonanotte, Evelyn"
Fece per andarsene, ma non si voltò.
Non volevo che se ne andasse prima di aver fatto una cosa. Probabilmente non ci saremmo più rivisti, non avevamo niente da perdere.
I nostri corpi erano già vicini, per baciarlo ci impiegai meno di mezzo secondo.
Henry ricambiò immediatamente il bacio, mettendo le sue mani dietro la mia schiena ed io misi le mie sul suo petto, che al tatto sembrava marmoreo.
Elettricità.
Era quello che avevo sentito dopo che le nostre labbra si erano toccate.
Labbra sconosciute ma che sembravano conoscersi da secoli.
Labbra coinvolte in un vero bacio, di quelli che ti fanno sciogliere le ginocchia, probabilmente sarei caduta a terra se Henry non mi avesse stretta a lui.
Bacio che, come tutte le cose, doveva finire.
Molto lentamente sciogliemmo quella nostra presa ed io, senza rompere il contatto visivo, girai la chiave nella serratura aprendo il portone alle mie spalle.
"Te l'ho detto... Non voglio vivere con dei rimpianti" feci prima di entrare nel palazzo "Buonanotte, straniero"

Le sfumature del tramontoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora