Capitolo 38

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Sedute sul treno in moto, saremmo arrivate a Londra tra una decina di minuti. Per tutto il viaggio avevo provato a non pensare al perchè non mi avesse avvisata: glielo avrei domandato, in modo pacato e non accusatorio, in un secondo momento dopo avergli fatto gli auguri. Non avevo nemmeno potuto prendergli un bel regalo!
Anche se non avrei saputo cosa prendergli: cosa si regala ad un uomo che ha tutto ciò che vuole? Non volendomi presentare a mani vuote, avevo preso in un negozio della stazione un portachiavi con un ciondolo sul quale c'era scritto Cambridge in corsivo blu, dietro a questa scritta c'era raffigurata l'università dell'omonima città. Lo avevo pagato due sterline, ma era sempre meglio di niente.
Arianna mi mise una mano sul ginocchio destro "Calmati" senza rendermene conto, la mia gamba destra stava tremando.
Deglutii "Sono calma, cerco solo di impedire alla mia mente di costruire degli scenari"
"Che tipi di scenari?" mi chiese Greta, seduta di fronte a me accanto a Federica.
Prima abbassai lo sguardo, poi guardai fuori dal finestrino "Scenari in cui Henry mi dice che non mi vuole lì" ero conscia di suonare infantile, sembrava quasi che fossi tornata una ragazzina di sedici anni.
Federica si raddrizzò sul suo sedile "Non dire così"
"Quando lo vedrò, mi sentirò meglio" quella verità mi elettrizzava e mi intimoriva al tempo stesso.
Non ero arrabbiata e non ero seccata, ero solo confusa. Tuttavia, alla confusione si poteva porre rimedio con una spiegazione e non avevo dubbi che Henry me ne avrebbe data una.
Poiché c'era una soluzione, quel problema che avevo davanti non mi sembrò più così grande. Mi sentii un po' meglio, ma i muscoli erano ancora tesi.
Io e le mie amiche ci eravamo lavate e cambiate prima di partire per Londra: avevo sostituito i comodi pantaloni della tuta con dei pantaloni neri stretti e un maglioncino beige aderente. La temperatura era molto più bassa rispetto che in Italia, perciò mi ero messa anche un trench beige.
Iniziai a sistemarmi nervosamente le ciocche dei capelli laterali che continuavano ad andarmi davanti agli occhi. Eravamo arrivati a Londra.
Iniziai a chiedermi dove avrei potuto trovarlo: anche se fosse stato a casa sua, non avrei avuto la minima idea di dove fosse e di certo non potevo chiederlo alle segretarie della sua società, non mi avrebbero mai dato quell'informazione. Avevo il numero di Dylan e dei suoi amici, ma non volevo chiamare loro per sapere dove fosse Henry.
L'unico posto in cui potevo provare a cercarlo era il suo posto di lavoro. Eravamo partite da Cambridge alle quattro e mezza ed eravamo arrivate a Londra verso le cinque e venti, di solito a quest'ora lui lavorava, ma c'era la possibilità che si fosse preso il giorno libro. Sospirai, non ero mai stata il tipo di ragazza che si faceva tutti quei calcoli.
Prendemmo uno degli innumerevoli taxi presenti alla stazione e ci facemmo portare alla società di Henry, che non era molto distante dal London Bridge.
Quando scendemmo dal taxi, ci ritrovammo davanti l'imponente edificio della Cooper Enterprises Holding Inc.
Era così alto che mi faceva sentire piccola ed insignificante.
"Entra tu, noi ti aspettiamo qui" mi disse Arianna.
Feci un cenno col capo alle mie amiche, forse non riuscivo a mostrarglielo in quel momento, ma ero davvero grata a tutte loro per quello che stavano facendo: quello doveva essere il nostro pomeriggio libero a Cambridge, ma ci avevano rinunciato senza esitare vedendomi in difficoltà. Ero davvero fortunata ad avere amiche come loro.
Entrai con passo svelto e deciso nell'edificio e mi fermai al banco della reception, dietro al quale c'era seduta una ragazza mora sulla ventina.
La ragazza mi squadrò dalla testa ai piedi "Buon pomeriggio, cosa posso fare per lei?" mi disse in inglese, riuscivo a percepire l'accento di Liverpool.
Nonostante le numerose certificazioni di inglese che avevo conseguito, in quel momento ebbi paura di essermi dimenticata come parlarlo "Sto cercando Henry Cooper" forse ero più nervosa di quanto dessi a vedere.
"Perchè lo cerca?" quella ragazza era sicuramente di Liverpool, aveva lo stesso accento di mia madre.
"Ho bisogno di vederlo" cercai di fare un piccolo sorriso per non sembrarle sgarbata "Potrebbe gentilmente dirmi se è qui?"
"Qual è il suo nome, signorina?"
Dovetti placare la mia irritazione ricordandomi che questa ragazza stava solo facendo il suo lavoro "Mi chiamo Evelyn Greco" risposi con calma.
La ragazza allungò la mano verso il telefono fisso sulla scrivania e, molto lentamente, premette dei tasti prima di avvicinare la cornetta all'orecchio "Crystal, qui c'è una ragazza che vuole parlare con il signor Cooper" mi lanciò un'occhiata "Si chiama Evelyn Greco"
Battei le dita sul bancone della reception impaziente. Questa Crystal doveva essere un'altra segretaria, che avrebbe detto ad Henry che una certa Evelyn Greco voleva parlargli. Una volta sentito il mio nome, Henry sarebbe venuto.
Per capire se il suo silenzio riguardo al compleanno fosse voluto o no, avrei osservato il suo comportamento: conoscendolo, se non mi avesse voluta lì, lo avrebbe fatto capire senza girarci attorno.
La ragazza mora chiuse la telefonata dopo qualche minuto di silenzio, poi si rivolse nuovamente a me "Sta arrivando"
"Grazie"
Mi voltai verso l'uscita: riuscivo a vedere l'esterno grazie alle vetrate che circondavano il palazzo. Feci il pollice in su alle mie amiche che mi stavano guardando da lontano, poi condussi lo sguardo verso l'angolo dietro il quale Henry sarebbe dovuto spuntare. Da dove mi trovavo non si vedevano, ma dietro quell'angolo c'erano gli ascensori. Me lo ricordavo grazie alla visita fatta durante il mese a Londra con la scuola.
Dopo circa due minuti, Henry arrivò superando delle strutture di metallo per la sicurezza simili ai tornelli meccanici della metropolitana. Era elegante e stupendo come sempre, non appena i miei occhi si posarono su di lui, i muscoli si rilassarono.
Henry mi stava guardando con gli angoli della bocca piegati verso l'altro. Nonostante fosse vicino, feci comunque dei passi in avanti per raggiungerlo il prima possibile, anch'io con un sorriso sul volto. Non appena fummo abbastanza vicini, gli buttai le braccia al collo e lui mi cinse la vita con le braccia, sollevandomi e facendo un mezzo giro su se stesso.
Mi scappò una risatina, il nervosismo che provavo prima era sparito del tutto.
Henry mi rimise coi piedi per terra e le sue mani si posarono sulle mie spalle "Credevo che saresti arrivata la settimana prossima" stava parlando in inglese e non in italiano.
Forse avrei dovuto dirgli che sarei arrivata quel giorno, ma era inutile rimuginarci sopra.
Gli risposi anche io in inglese, non faceva una grande differenza per me in che lingua parlassimo "Sorpresa" feci una piccola pausa "Buon compleanno" per quanto volessi sembrare naturale e amichevole, c'era qualcosa di strano nella mia voce.
Il suo sorriso si affievolì un po', ma non scomparve, come risposta mi fece un piccolo cenno col capo. Non riuscii ad interpretare quella reazione, ma sembrava comunque felice di vedermi.
"Signor Cooper, Crystal le ricorda che ha una riunione tra cinque minuti" la segretaria, che non ci toglieva gli occhi di dosso, si intromise nella nostra conversazione.
Henry si raddrizzò e tolse le mani dalle mie spalle, mettendole nelle tasche dei pantaloni "Va bene" nonostante stesse rispondendo alla segretaria, non mi tolse gli occhi da dosso "Devo andare" mi disse.
"Stacanovista"
"Sei venuta qui da sola?"
"No, sono con le ragazze. Ti fanno gli auguri"
Henry si sporse leggermente e vide le mie amiche attraverso le vetrate, alzò la mano per salutarle prima di lanciare uno sguardo veloce all'orologio sul suo polso sinistro "Dylan ha organizzato una serata a casa sua con gli altri" gli altri erano sicuramente i suoi amici che avevo incontrato a Capri "Tu e le tue amiche potete venire, ormai siete qui. Fatevi trovare qui fuori alle otto"
"Okay"
Fece per andarsene, ma lo bloccai delicatamente per un braccio "Aspetta" dalla borsetta presi il portachiavi di Cambridge e lo feci tintinnare davanti ai suoi occhi "Regalo di compleanno" mentre glielo davo, per poco non scoppiavo a ridere.
Henry alzò le sopracciglia, anche lui divertito, e prese con una mano il portachiavi "È il portachiavi più bello che abbia mai visto"
Avevo avuto poco preavviso, ma questo lui lo aveva sicuramente capito "Lo so" scherzai "Le due sterline meglio spese della mia vita"
Si mise il portachiavi in tasca e poi si avvicinò baciandomi velocemente sulla guancia "A dopo"
Mentre lo guardavo sparire a passo svelto dietro l'angolo, sfiorai con le dita il punto in cui le sue labbra erano entrate in contatto con la mia pelle.

Le sfumature del tramontoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora