Extra - Il primo incontro dal punto di vista di Henry

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Ogni mattina, Crystal mi portava il caffè e me lo lasciava sulla scrivania esattamente due minuti prima che io entrassi nell'ufficio.
Ogni mattina, bevevo il mio caffè osservando Londra sotto di me, così vasta e così meravigliosa.
Ogni mattina, tranne quella.
Avevo dato a Crystal la giornata libera come premio per l'impegno del giorno prima: aveva gestito un gruppo di soci imbestiali per qualche motivo che ancora non avevo capito. La mia fidata segretaria aveva bisogno di un giorno di pausa.
Per quel motivo quella mattina, mi presi il caffè da solo, scegliendo Starbucks visto che Dylan lo elogiava sempre. Provai a chiamarlo, per dirli che ero in uno dei suoi posti preferiti, ma non mi rispose, probabilmente stava ancora dormendo.
Starbucks non era affollato come mi ero aspettato e feci un sospiro di sollievo: aspettare in fila non era esattamente il mio forte, sebbene cercassi di sforzarmi quando era inevitabile. Per mia fortuna, ero l'unico diretto alla cassa per fare l'ordine.
Presi un semplice caffè e, dopo aver pagato, mi misi ad aspettare al lato del lungo bancone che la mia ordinazione fosse pronta. La porta del locale si aprì, ma non mi voltai a vedere chi fosse entrato, non ero di buon umore quella mattina e non avrei sopportato approcci come "Sei Henry Cooper, vero?", accompagnato ad altre frasi di ammirazione che proprio non sopportavo. Mi rendevo conto di essere abbastanza irascibile quella mattina, ma una giornata no era concessa a tutti. Anche se ultimamente io avevo troppe giornate con una svolta più negativa che positiva.
Dalla porta entrò un gruppo di ragazze, lo capii dalla voce, e dalla lingua in cui parlavano intuii che fossero italiane.
Bene pensai sarcastico Un gruppo di turiste rumorose, cos'altro potrei chiedere di meglio?
"Sono un po' nervosa per oggi" disse una di loro, ma rimasi a guardare dritto il muro davanti a me "Cioè so che andremo bene, però sono comunque nervosa"
"La cosa migliore da fare è non pensarci. Non viverla male, pensa che sia solo una verifica di inglese, come quelle che facevamo in secondo prima di iniziare letteratura" fu la risposta di una delle altre ragazze. A quanto pare stavano frequentando una scuola, a giudicare dalle loro parole. Un viaggio studio? Non che mi interessasse, ma mi stavo annoiando e loro erano fastidiosamente vicine.
"Wow Evelyn, dovresti lavorare in una agenzia che offre supporto morale" il sarcasmo nella voce della terza ragazza era palpabile.
Evelyn.
Un bellissimo nome, ma non stavo prestando molta attenzione perciò non capii quale delle tre ragazze si chiamasse in quel modo.
"Ehi, io ci provo!" rispose la seconda ragazza che aveva parlato.
C'era qualcosa nella sua risata accennata che mi fece sorridere, o meglio, un angolo della mia bocca si alzò formando quello che avrebbe dovuto essere un sorriso.
"Ragazze" si intromise l'ultima e quarta voce "Vi va se ci sediamo a quel tavolo? Tanto siamo in anticipo, è inutile andare di fretta"
Trattenni un sospiro di sollievo per il loro allontanamento e al tempo stesso mi innervosii per il caffè che ancora non era pronto.
Le tre amiche concordarono con la quarta voce, ma rimasero in piedi accanto a me per aspettare le loro ordinazioni.
"Sono curiosa di sapere come hanno scritto i nostri nomi" ormai non riuscivo più a capire a chi appartenesse quella voce, ma continuai involontariamente ad ascoltare "E sono anche curiosa di sapere se ci faranno andare a quel Gala"
Il Gala?
Effettivamente ci sarebbe stato un Gala tra un paio di settimane, ma era un evento esclusivo!
"Ma ti pare?" intervenne una di loro, non sapevo chi "È qualcosa di troppo sofisticato, poi se andassimo noi dovrebbero andare anche tutti gli altri studenti che hanno partecipato allo scambio, poi siamo troppi"
"In realtà no" rispose una di loro "Siamo noi che siamo arrivati in quattordici, però gli altri studenti stranieri saranno in totale sei o sette, perchè alcuni sono venuti in coppia o altri hanno fatto lo scambio individualmente"
"Ah" esclamò la ragazza della risata accennata, l'unica voce che la mia testa aveva memorizzato "Siamo noi che abbiamo fatto le cose in grande, quindi"
"Già" fece una di loro ridendo, ma non era per niente come la risata di quell'altra ragazza "Secondo me non andiamo"
Smisi di ascoltare, ripensando alla voce di mia madre che mi diceva di non origliare le conversazioni altrui. Mi invase un attimo di tristezza, ma la mia ordinazione era stata annunciata, pronta sul bancone dentro un bicchiere di Starbucks con il coperchio.
Di solito ero veloce nei movimenti, ma una delle quattro ragazze fu più veloce di me e afferrò il caffè immediatamente, iniziando anche a berlo mentre ascoltava una delle sue amiche che parlava.
Sbattei le palpebre, chiedendomi se fosse il caso di iniziare una litigata con una sconosciuta.
Non devo più uscire da solo se sono di cattivo umore, finisce sempre male riflettei silenziosamente.
Mi voltai verso la ruba-caffè pronto a dirgliene quattro sul rispetto del proprio turno e sulla concentrazione riguardo a ciò che la circondava, ma dalla mia bocca non uscì altro che un sospiro strozzato non appena i miei occhi si posarono su quella ragazza.
Dopo qualche breve sorso, la ragazza fece una smorfia che trovai adorabile e disse "Il caffè italiano però è più buono"
Ritrovai la voce, cercando di mantenere un'espressione indifferente "Peccato che quello fosse il mio caffè"
Colta di sorpresa, la ruba-caffè si voltò molto lentamente, quasi come se si aspettasse di trovare un assassino dietro di lei (cosa che trovai molto divertente) e mi lanciò uno sguardo confuso, per poi abbassare lo sguardo sul bicchiere che aveva in mano prima di rialzarlo su di me.
Mi guardò con gli occhi sgranati in un'espressione imbarazzata. Aveva due occhi bellissimi, verdi come un prato in primavera.
"Ah" esclamò, con il sangue che le affluiva alle guance "Scusami, io..." cercai di non scoppiare a ridere "Aspetta" ed io aspettai mentre lei si infilava una mano nella tasca della giacca. Mentre armeggiava con qualunque cosa stesse prendendo, si morse inconsapevolmente il labbro inferiore e io strinsi la mano destra in un pugno, reprimendo l'istinto di alzarle il viso verso di me per studiarlo e memorizzare ogni singolo particolare. Sbattei le palpebre, confuso da quel mio istinto improvviso, ma i suoi occhi erano così belli e quelle labbra a cuore così invitanti...
Estrasse dalla tasca una moneta palesemente italiana, ma lei non se n'era accorta "Ecco" mi disse con un tono di voce più sicuro, come se con quell'insignificante moneta potesse eliminare l'imbarazzo.
Alzai la mano e scossi la testa "No, tranquilla... Vado di fretta" non avevo bisogno che mi ripagasse il caffè. Se avessi voluto, avrei comprato l'intera catena Starbucks.
Mi scrutò con attenzione, probabilmente si stava chiedendo perchè sembrassi inglese ma parlassi in italiano. Trattenni una risata, era divertente confondere le persone.
"No, davvero, ti prego" non accontentandosi, mise la moneta sul bancone e mi guardò decisa, incitandomi a prenderla.
"Non c'è biso-"
"Accetta" mi interruppe autoritaria e io le scoccai un sorriso fugace.
"E scusami ancora" finì di parlare e lasciò il mio caffè sul bancone, prima di scappare via dal locale seguita dalle sue amiche.
La seguii con lo sguardo finché non scomparì dal mio campo visivo, chiedendomi perchè mi sentissi così entusiasta e, al tempo stesso, scombussolato.
"Certe volte accadono cose strane" commentò il barista, preparandomi un altro caffè "Bisogna accettare ciò che la vita ci dà... Carpe Diem, hai presente?"
Annuii incerto, pensando a quei bellissimi occhi verdi di quella ruba-caffè "Già, ma sono sicuro che domani me ne sarò già dimenticato"
Una voce dentro di me, però, mi urlava che sarebbe accaduto l'esatto opposto.

Le sfumature del tramontoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora