Capitolo 79

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Svegliai Henry a forza di baci, perchè avevo lanciato uno sguardo all'orologio e, se volevamo fare tutto come programmato, dovevamo darci una mossa.
"Lasciami stare" Henry prese un cuscino e se lo mise sulla testa.
La notte precedente non avevamo quasi dormito: avevamo preso sonno verso le sette, ma la sveglia era suonata alle sette e mezza.
"Dobbiamo muoverci" iniziai a scuoterlo "Non eri tu quello che diceva di essere abituato a non dormire?"
"Ma essere svegliato dopo venti minuti di sonno profondo è una tortura psicologica"
"È colpa tua se non abbiamo dormito"
Lanciò via il cuscino e si mise a sedere "Mia? Ma se mi sei saltata addosso non appena entrati in casa!"
"Ci siamo saltati addosso a vicenda" lo corressi "E forse abbiamo rotto qualcosa"
"Sul serio?"
"Ho sentito qualcosa frantumarsi"
Lui scrollò le spalle e si alzò per infilarsi i boxer, permettendomi la vista del suo bellissimo fondoschiena scultoreo.
Il giorno prima, avevo lasciato nella nostra casa a Cambridge le valigie per partire, Henry invece aveva la sua in macchina.
Mi alzai anche io "Vado a farmi una doccia"
"Vengo anche io" si affrettò a seguirmi, giustificandosi con "Così impiegheremo meno tempo"
Mai cosa più sbagliata fu detta, perchè alla fine ci mettemmo in auto con dieci minuti di ritardo.

"Arriveremo in tempo all'aeroporto?" chiesi insistente mentre Henry guidava verso casa sua, a Londra.
"Il tempo si piega in base al mio volere" aveva ripetuto quella frase per circa tre volte ed io, per l'ennesima volta, roteai gli occhi "Fidati" aggiunse "Ne vale la pena"
A causa del traffico, giungemmo verso le dieci al suo palazzo ed Henry parcheggiò velocemente l'auto  e mi condusse velocemente all'interno.
"Forse siamo un po' in ritardo" ammise mentre l'ascensore saliva "Ma cos'è la vita senza il brivido di perdere l'aereo?"
"Non è che mi piaccia molto, questo brivido"
"Finalmente" mormorò quando le porte dell'ascensore si aprirono.
Il suo appartamento era in ordine come sempre, ma Henry non mi concesse molto tempo per guardarmi intorno, perchè mi prese la mano e mi trascinò sulle scale, dritti verso il suo studio di pittura.
"È vero che ti avevo detto di volerti vedere dipingere" iniziai a dire con l'affanno "Ma non intendevo ora!"
Lui non mi ascoltò e si avvicinò al cavalletto da pittura, che era posizionato in modo tale da non farmi vedere la tela.
"Non mi piacciono i discorsi romantici, perciò te lo faccio vedere e basta" mi disse lui, girando il cavalletto e mostrandomi il dipinto.
Le mie labbra si schiusero per la sorpresa: il dipinto rappresentava il paesaggio dei Muretti a Verona, illuminato da un cielo intriso dei colori del tramonto. Il prato era pieno di fiori, dei più svariati colori.
Guardando quel dipinto, provai un'immediata sensazione di casa, oltre che all'ammirazione per la bellezza di quella tela.
"Henry..." mormorai, facendo un passo in avanti cauta, come se la mia vicinanza potesse in qualche modo rovinarlo.
Lanciò uno sguardo alla sua creazione "Così lo guarderai quando avrai nostalgia di casa, possiamo appenderlo nella casa a Cambridge o nel tuo alloggio"
Volevo dire qualcosa, ma dalla gola mi uscirono solo dei gorgogli incomprensibili.
Si grattò la nuca "Buon Natale, anche se in anticipo, ma non potevo portarmelo in giro"
"È..." deglutii, incapace di descrivere a parole quanto fossi felice di quel regalo, così con due passi ampi fui davanti a lui e lo baciai di slancio, buttandogli le braccia al collo.
Lui mi strinse le braccia attorno alla vita e scoppiò a ridere "Se questo è il risultato, devo dipingerti qualcosa più spesso"
Quella tela era così bella che non esporla in una galleria d'arte sarebbe stato uno spreco, ma al tempo stesso era un qualcosa di così intimo che condividerla mi avrebbe reso gelosa.
"Beh" mi staccai da lui, frugando nella mia grande borsa nera che avevo poggiato a terra "Volevo aspettare fino a Natale ma..." estrassi un set di pennelli con il manico in legno e con sopra inciso H.C.
Josie aveva un amico artigiano e mi aveva fatto ottenere uno sconto; portavo il suo regalo nella borsa perchè mi ero dimenticata di metterlo nella valigia e l'avevo afferrato all'ultimo, infilandolo nella borsa.
Henry scartò il regalo con uno sguardo curioso e, quando vide il set di pennelli, non parlò per cinque lunghi secondi.
Quando lo avevo comprato, pensavo che fosse il regalo perfetto per lui, ma in quel momento mi ricredetti. Aveva un'espressione imperscrutabile.
"Non ti piace" mormorai, un po' amareggiata.
"No" scosse la testa ed esaminò più attentamente l'incisione, che prima non aveva notato "No, è che nessuno mi aveva mai fatto un regalo così azzeccato"
Con un sospiro, rilasciai tutto il fiato che non sapevo di star trattenendo "Davvero?"
Mi posò la mano libera dietro la nuca e mi tirò verso di lui, baciandomi, per poi ridere e guardarmi divertito "Ti ho fatto spaventare, vero?"
Lo spintonai con una risata "Molto, la prossima volta dillo subito che ti piace"
Si allontanò per posizionare il set di pennelli in un contenitore cilindrico di vetro, appoggiato su un tavolino accanto al cavalletto di pittura.
Aveva un sorrisetto sul volto mentre camminava e mi guardava di sottecchi.
"Che c'è?" gli chiesi mentre uscivamo dal suo appartamento.
Scrollò le spalle e chiuse la porta dietro di noi "Sto ricordando cosa voglia dire sentirsi felice"
Mi voltai verso di lui e lo guardai senza una precisa espressione, a metà tra stupita e interrogativa, tra triste e felice. Triste perchè, a giudicare dalle sue parole, aveva sofferto molto, felice invece perchè aveva iniziato a stare bene di nuovo.

Atterrammo all'aeroporto di Verona-Villafranca alle tredici del ventidue dicembre. Il viaggio in aereo era stato abbastanza tranquillo: io avevo dormito con la testa sulla spalla di Henry per tutto il viaggio, data tutta l'attività fisica della notte precedente che mi aveva tenuta sveglia. Anche Henry doveva aver dormito, a giudicare dalla espressione riposata che aveva al mio risveglio sullo scomodo sedile.
Henry, con i suoi mezzi a me sconosciuti, ci aveva fatto recapitare all'aeroporto una berlina nera per guidare fino a casa mia. Anche il viaggio fino in Puglia lo avremmo fatto in quell'auto, dato che altrimenti saremmo stati stretti nella macchina dei miei genitori.
"Fammi guidare!" gli dissi mentre lui sistemava le valigie nel bagagliaio "Non guido da così tanto! E ho la patente, visto che siamo in Italia"
Dopo altre insistenze, sospirò esasperato e mi diede le chiavi.
Avevo detto ai miei genitori che saremmo arrivati verso la sera, perchè volevo fare loro una sorpresa, sperando di trovarli a casa.
Accesi la radio e mi sintonizzai su una stazione che riproduceva canzoni rock, in quel momento stavano trasmettendo i Led Zeppelin.
"C'è qualche raccomandazione che vuoi farmi?" mi domandò Henry "Riguardo alla tua famiglia? I tuoi nonni e così via?"
"Fermiamoci ai miei genitori, il resto della mia famiglia richiede un discorso tutto per sé"
"Così mi incuriosisci"
"Inizia a tremare" sogghignai "Comunque i miei li hai già incontrati"
"Sì, ma ora dovrò viverci insieme per dei giorni interi"
"La mattina non parlare a papà" dissi di getto "Non è molto loquace appena sveglio, aspetta che sia lui a rivolgerti la parola"
"E tua madre?"
"Lei è sempre disposta a conversare, non avrai problemi con la mamma"
"Qualcos'altro?"
"Che c'è? Hai paura?"
"Non la conosco quella parola"
"La imparerai quando conoscerai il resto della mia famiglia"

Le sfumature del tramontoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora