La mattina di quel sabato era soleggiata come non mai, i raggi del sole mi punzecchiarono il viso implorandomi di svegliarmi. Stirandomi i muscoli, ancora con gli occhi chiusi, mi protesi verso Henry, ma la mia mano tagliò l'aria al posto di posarsi su di lui.
Tastai il letto, per poi aprire gli occhi e non vederlo accanto a me; mi misi a sedere, guardandomi intorno con la vista ancora annebbiata per il sonno.
Il mio telefono segnava le otto di mattina, dove poteva essere andato così presto? Scrollando le spalle, mi alzai dal letto stringendomi nella maglietta che Henry mi aveva dato. Andai nel salotto, ma non era lì. Forse aveva qualcosa da fare, sarebbe tornato presto.
Per svegliarmi completamente, mi feci una doccia veloce e mi vestii, indossando dei jeans chiari, un maglione rosso scuro e i soliti stivaletti neri.
Dal mio borsone presi dei libri per studiare e percorsi il corridoio fino al salotto, così almeno avrei fatto qualcosa di utile. Proprio mentre mi stavo sedendo su uno dei due divani bianchi, la porta dell'ingresso si aprì ed entrò Henry, sudato e in tuta "Ehi" mi salutò con un sorriso storto, entrando e andando dritto verso la cucina per bere da una bottiglietta d'acqua.
"Ciao" feci io, posando il libro che avevo in mano sul tavolino di vetro davanti a me "Dove sei andato?"
Bevve un paio di sorsi e poi mi rispose "A correre" bevve ancora "Dovresti provarci, ti piacerebbe"
"È già tanto che mi sono abbonata ad una palestra, a Cambridge. Le mie amiche mi hanno costretta"
"Ci sono altre attività fisiche che si possono fare"
Gli sorrisi ammiccante "In alcune sono molto attiva"
"Con mio immenso piacere" Henry mi strizzò l'occhio "Vado a farmi una doccia"
Mi diede un bacio veloce sulle labbra e poi sparì nel corridoio, dietro la porta del bagno; continuai a studiare per una decina di minuti, poi feci un lungo sospiro e osservai le grandi vetrate, notando per la prima volta che c'era una porta di vetro di cui non mi ero accorta la sera prima. Fuori c'era una grande veranda, con dei divanetti e dei tavolini. La mia attenzione, però, si spostò sulle scale nere e mi chiesi dove portassero, così le salii.
Mi ritrovai in una grande stanza, con una vetrata che faceva entrare una meravigliosa luce naturale, ma ciò che mi colpì di più fu cosa c'era dentro.
Al centro c'era un cavalletto da pittura bianco, con una tela sopra che era a metà dalla realizzazione, mentre delle tele completamente bianche erano ordinatamente posizionate su degli scaffali, mentre le tele completate erano appese alle tre mura disponibili.
Con la bocca semiaperta per lo stupore, mi avvicinai a quei bellissimi dipinti, leggendo la firma di Henry nell'angolo in basso a destra. La maggior parte di quei dipinti erano paesaggi, mentre due raffiguravano rispettivamente un uomo e una donna. Non avevo la minima idea che Henry fosse un così bravo pittore.
Dovevo essere rimasta a fissare quelle opere per un bel po', perchè non mi ero accorta di Henry che era appoggiato al muro con le braccia incrociate, fissandomi.
"Oh!" esclamai sussultando "Non ti ho sentito"
Henry si avvicinò a me, con le mani nelle tasche, entrambi avevamo gli occhi sui due ritratti appesi al muro con tanta solennità.
Volevo chiedergli chi fossero, ma avevo la sensazione che fosse una cosa privata. Lei era così bella, i tratti del viso erano dolci, mentre i tratti di lui erano più duri e aveva, come Henry, il profilo del mento ben definito.
"Chi sono loro?" chiesi infine, continuando a guardare i dipinti.
Henry ispirò profondamente prima di rispondere, come se fosse a corto d'aria "I miei genitori" anche lui aveva gli occhi fissi su i visi di quelle persone.
I suoi genitori morti.
Come la notte del suo compleanno, sentii l'esigenza di confortarlo con tutte le mie forze, di far sparire via tutto il suo dolore. Ma non era un dolore facile da scacciare.
"Sono morti il giorno del mio compleanno" parlava piano e con un tono di voce basso, quasi cercasse di non svegliare qualcuno presente nella stanza.
Ora capii ancora meglio il motivo per cui non voleva festeggiare il suo compleanno.
"Dylan mi aveva raccontato di come, col passare degli anni, il volto di suo zio morto fosse svanito dalla sua mente" scosse appena la testa "Non volevo che accadesse lo stesso con i miei genitori"
Prima che io potessi anche solo provare a dirgli qualcosa, lui scrollò il capo e sospirò rumorosamente "Basta con i discorsi tristi, non li sopporto" si avviò veloce verso le scale, ma la mia voce lo stoppò prima che scomparisse "Henry?" gli sorrisi "Un giorno farai un dipinto per me?"
Il viso di Henry si addolcì per un momento, per poi ritornare alla sua solita espressione beffarda "Devi guadagnartelo"
Alzai gli occhi al cielo, mai una volta che stesse al gioco e rispondesse con tenerezza.
"Vedremo" disse infine.
Prima di uscire di casa, aveva una telefonata di lavoro da fare ed io, mentre aspettavo che lui finisse, sistemavo ordinatamente i miei libri universitari sul tavolino di vetro.
"Ciao, Williams" sentendo quel cognome, alzai di scatto lo sguardo "So che non volevi essere disturbato perchè sei con tua sorella ma..." si bloccò, per poi riprendere più autoritario "Williams, ascoltami. Mi servono quei documenti del 2016, mandameli il prima possibile" chiuse la telefonata e si rivolse a me "Pronta per andare?"
Nel frattempo mi ero alzata e lo guardavo incrociando le braccia sul petto "Era Luke Williams?"
Henry mi lanciò un'occhiata leggermente confusa "Perchè?"
Non mi aspettavo che mi capisse al volo, di certo la questione non era al primo posto tra le sue priorità ed ero certa che se ne fosse già dimenticato "Federica" iniziai a spiegargli "Era venuta qui a Londra per lui, ma Williams le ha fatto capire di non volerla con lui.
"Ah, giusto" Henry prese le chiavi di una delle su tante auto "Probabilmente perchè la sorella è venuta a trovarlo, lei abita ad Amsterdam e non hanno molte occasione per vedersi"
"Oh" iniziavo a capire Luke, però non era giustificato il modo in cui aveva risposto a Federica.
"A chi stai telefonando?" mi chiese mentre cercavo il numero della mia amica nella rubrica.
"A Federica"
Lui mi prese il telefono e se lo mise in tasca "No, no, no!"
"Henry!"
"No, non se ne parla. Non ho intenzione di subirmi mezz'ora di telefonata tra te e la tua amica, soprattutto se l'oggetto della conversazione è Williams"
"Ma è importante! Probabilmente lei ci sta ancora male, conoscendola. Questo potrebbe risollevarla"
"Non pensi che forse se la dovrebbero sbrigare da soli? A te piacerebbe se le tue amiche si intromettessero tra noi?"
Non riuscii a non trattenere un sorriso, come una stupida: era la prima volta che lo sentivo dire noi riferito a noi due come coppia, era una sensazione piacevolissima.
Comunque, riuscii a riprendermi dal mio momentaneo stato di beatitudine e lo guardai seria "Ridammi il telefono"
Vedendo che avanzavo, lui fece un passo indietro, tenendosi con la mano la tasca dove aveva messo il mio telefono.
"Non la chiamerai?"
Sbuffai "No"
"D'accordo" mi ridiede il telefono, convinto di aver vinto lui.
Una volta che quell'aggeggio fu di nuovo al sicuro tra le mie mani, mi allontanai di scatto gridando "Solo un messaggio!"
"Evelyn!"
STAI LEGGENDO
Le sfumature del tramonto
RomanceHenry ed Evelyn. Lui CEO di una delle società più importanti di Londra. Lei una studentessa italiana prossima ad entrare nella prestigiosa università di Cambridge. Due persone, due vite, due menti e due cuori, che verranno fusi da un sentimento fo...