#15

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Ora sono qui che tremo e maledico me stesso per l'immane cazzata che ho fatto.
Nevica, fa freddo, è notte e ho anche un po' paura che possa arrivare un malintenzionato da un momento all'altro.
Le luci in casa, al quarto piano, sono tutte spente, così come nel resto del palazzo. Solo i lampioni in strada illuminano, anche se di poco.
La neve diventa un po' più fitta e comincia ad alzarsi il vento. Guardo l'orologio: è l'una di notte e sono lì da quasi un'ora e mezza, fermo al gelo.

Ma chi me l'ha fatto fare?
Sì, okay, il mio cuore, ma, cavolo, poteva scegliere, che ne so, la primavera. E invece no, il tredici febbraio doveva farlo. Stupido cuore.

Alzo di nuovo lo sguardo verso quelle finestre buie, quando mi sento chiamare e mi giro di scatto.
Lui è lì, avvolto in un cappotto nero, una sciarpa dello stesso colore, le mani nascoste nelle tasche e il naso rosso per il freddo. Credo anch eil mio naso sia rosso a causa del freddo.

Lo guardo. Lo guardo e tutto ciò che avrei voluto dirgli scompare. Scompare l'intero discorso ch emi sono preparato in aereo per le sei ore di volo. Scompaiono le frasi ad effetto, quelle sarcastiche e quelle troppo romantiche.

Scompare tutto, anche la neve. C'è solo lui che si avvicina.

"Cosa ci fai qui? Stai congelando!" mi dice, con tono e sguardo preoccupato, stringendomi le mani sulle braccia.

Io continuo a guardarlo, non riesco a parlare. Non riesco nemmeno a pensare. Ho solo la sensazione di essere bloccato in quel presente. In quell'attimo in cui lui è di nuovo qui, qui con me.

"Dai, vieni, saliamo" mi dice ancora, senza ottenere risposta. Mi guida nel palazzo, nell'ascensore e fino ad una porta in legno scuro che apre.

Dentro è buoi, poi accende le luci e tutto si fa chiaro.

Un salone in ordine, con un grande divano al centro. LE finestre da cui si vede la neve che mi stava imbrattando gli abiti e c'è anche un camino in un angolo.

Lui mi spinge a camminare, fino a farmi sedere proprio sul divano. Sento qualcosa sulle spalle e mi rendo conto ch emi ha avvolto in una coperta rossa. La mia coperta rossa.

Ha ancora la mia coperta. Sul suo divano. Ha la mia coperta sul divano nella casa in cui vive. Non ti avvolgi nella coperta di qualcun altro per caso. La coperta è un qualcosa di intimo e personale. E' un abbraccio privato, un odore inconfondibile.

Ora quella coperta non ha il mio odore, ma il suo. Quella casa ha il suo odore e sa di lui. Dal colore delle pareti, ai quadri e al tappeto verde su cui ho poggiato i piedi. Tutto parla di lui. Ma quella coperta, quel pezzo di pile rosso, quella parla di me. Parla di noi.

E' un pezzo di stoffa che racconta di serate a guardare serie tv, di macchie di cioccolata calda e talvolta anche di birra. Racconta di corpi nudi, stesi davanti ad un fuoco caldo, che si stringevano e si amavano. Parla di notti insonni, di incubi e di abbracci riparatori. Urla anche, a volte, e molto spesso pianti.

Mi passa una tazza, dentro c'è qualcosa di caldo che fuma.

"Camomilla" mi spiega. "Attento che è calda."

Lui è sempre stato premuroso e lo è ancora. NE sono felice.

Lo guardo, sperando legga un grazie nei miei occhi. Non riesco a pronunciarlo. Ero andato lì per vederlo, per parlargli, ma non riesco nemmeno a dirgli ciao.

Mi sento patetico, ma bevo la calda bevanda con calma, riscaldandomi lentamente. Ora mi sento di nuovo le dita dei piedi e le mano hanno smesso di far male.

Poggio la tazza vuota sul tavolino che ho da vanti; lui è seduto al mio fianco. Si è tolto il cappotto e indossa un maglioncino bianco. Credo di non averlo mai visto vestito di bianco. Gli sta davvero bene.

Lo guardo, lo guardo negli occhi e le mani mi tremano un po'. in realtà tremo tutto. Mi è mancato così tanto che quasi mi sembra irreale. Devo dirglielo, voglio dirglielo che mi è mancato, che lo amo, che voglio vivere tutta la mia vita con lui.

Sorrido e lui ricambia, poi cerco di parlare.

E la voce non viene fuori, mi tocco la gola, terrorizzato. Non riesco a parlare, urlo e nulla, nemmeno un rantolo.

Lo guardo, ma lui se ne sta lì, sorride ancora, come se non vedesse. Non vede che sto cercando di parlare e non ci riesco? Provo ad urlare ancora più forte, come quando ti brucia la gola per quanto hai urlato-

"AAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAH!"

Ho la fronte imperlata di sudore e il piumone attorcigliato intorno alle gambe. Sono seduto al centro del mio letto con il respiro corto e le mani che tremano davvero.

Afferro il cellulare per guardare l'ora. Le tre e quarantadue del mattino. Era solo un sogno, un brutto sogno.

Proprio quel pomeriggio avevo detto a Scott di sentirmi letteralmente pieno di parole. Di star quasi strabordando, perché non è da me non parlare, non dire ciò che penso. E capisco che devo farlo, che, ancora una volta, devo urlare i miei pensieri. Devo pensare a me, e io odio tenermi le cose dentro. Se senti una cosa, dilla, diceva mia mamma. E io non voglio avere rimpianti.

(Ore 03:42) Mi manchi. SS

Derek ferma la sua corsa a Central Park quando sente il cellulare vibrare. Dev'essere Cora che lo avvisa che non pranzerà a casa.

(Ore 09:42) Mi manchi. SS

No, non è Cora. E' Stiles che, a differenza sua, parla. Stiles non ha paura, mai, di esprimere ciò che pensa e, soprattutto, ciò che sente.

E Derek si concede di essere per un attimo come il ragazzo che ama. Che ha sempre amato. Può davvero andare così male ancora una volta?

(Ore 09:44) Mi manchi da morire anche tu. Voglio tornare. DH






La parola era "LAMPIONI".

365 Sterek (2021) vol.1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora