Motti

15 0 0
                                    

Gian nella sua vita aveva tre motti:

"Meglio avercelo e non usarlo che non avercelo e averne bisogno." Era la frase standard quando si preparava lo zaino la sera prima per il giorno dopo ed era anche la risposta a qualsiasi domanda sul perché si portasse di tutto nello zaino.

Il secondo motto era quello che alla fine tutte le sue amiche, odiavano "Finché mi vedi in piedi, sto bene." Frase che Gian ripeteva dopo che gli chiedevano come stesse sia a livello fisico che a livello emotivo, quella frase era uno schermo, uno scudo dietro cui si nascondeva e chi lo conosceva bene sapeva perfettamente come fosse il Gian nascosto dietro quel fragile scudo.

E il Terzo motto era "Non ho fatto niente di che, l'avrebbe fatto chiunque." in risposta a chi lo ringraziava, cosa che faceva arrabbiare lo stuolo di persone che in qualche modo erano legate a lui, perché Gian nonostante avesse con mille problemi e andasse sempre in cerca di cespugli di rovi per infilarcisi dentro di testa.

Era quella persona che le persone che aveva aiutato quando credevano di aver raggiunto il fondo e lui era stato al loro fianco a mettere loro una mano sulla spalle e a dire "Secondo me il fondo è ancora più in basso e se orami siamo sul fondo c'è una sola direzione in cui guardare ed è in alto." frase che poteva avere diverse connotazioni come:

- "Ci vediamo dopo ogni messa se hai bisogno." 

- "Non importa se non vuoi leggere adesso, lo farai quando ne avrai voglia." 

- "Un giorno ti insegnerò a giocare a scacchi."

- "Qualsiasi cosa accada, avrai sempre il mio supporto."

- "Starò sempre al tuo fianco se lo vorrai." "Sempre"

Ale, Giulia e Merida odiavano come Gian fosse capace di prendersi una pallottola per il prossimo e accorgesi di star sanguinando dopo secoli. 

Era diventato adulto, cosa significasse non l'aveva ancora capito, certo, poteva bere in ogni paese, ma era semi astemio, aveva iniziato ad avere tante responsabilità, dubbi, domande, perplessità che spesso lo confodnevano o lo lasciavano interdetto per esempio le mitiche domande di una certa animata quando la sera la riaccompagno a casa che si divertiva a rinfacciargli certe frasi usate per evitare fururi disastri o quando una bambina al dopo scuola gli aveva domandato "La gola è nel collo vero?" mentre facevano i compiti di scienze.

Sapevano anche che nonostante dicesse "Non ci voglio più avere a che fare." ci sarebbe sempre stata una seconda/terza/quarta/centesima possibilità a qualcuno. 

Era capace di rimanere in silenzio a fissare il nulla di fianco a una persona che stava male aspettando che dicesse qualcosa. 

Aveva capito di essere un numero 19 nel bene e nel male, il 19 è un numero fortunato, magari non in amore, ma fortunato perché ha tante qualità, è un blocco compatto, un numero dispari quindi non può essere diviso, era un numero 19 e ne andava fiero.

Inoltre aveva capito che alla fine molte persone si erano affezionate a lui e quindi se mai fosse caduto, loro l'avrebbero preso al volo, o magari consocendo alcune persone l'avrebbero prima fatto cadere, poi dirgli "Io te l'avevo detto"  e poi gli avrebbero teso la mano per aiutarlo a rialzarsi.

E quindi quella sera, Gian fissò il telefono e fece un respiro profondo prima di inviare un messaggio a otto contatti "Io non mi sento bene, ho bisogno di una mano." 

Forse aveva un nuovo motto da scriversi nell'agenda "Con la fiducia e la fede negli amici, gli amici diventano famiglia."


Random - L'ordinario in mini raccontiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora