Sete

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L'inferno è acceso nella mia gola, il veleno inonda a tratti le mie fauci mentre il desiderio di chiuderle attorno al collo morbido e pulsante di un umano sta diventando così martellante da non essere più ignorabile. Non cibarmi all'ultimo banchetto è stata definitivamente una pessima idea, gli avvenimenti si sono susseguiti rapidi scavalcando in priorità i miei bisogni primari e ora prendo coscienza del risultato osservando il mio riflesso allo specchio.

Il bagno rivestito in onice nera e smeraldi conduce alla bellissima vasca incastonata nell'adularia. Le mie mani stringono pallide e salde i bordi del piccolo lavabo a conca mentre studio con attenzione i miei tratti nel grande specchio ovale moderno. Il mio sguardo è attento e pungente sulla superficie riflettente, le iridi pece si perdono nella pupilla nera facendo sembrare il mio sguardo forse più inquietante del solito; le sopracciglia appena corrucciate gettano maggior ombra sullo sguardo e non fanno altro che evidenziare le occhiaie violacee e livide.

Ruoto appena il volto come a cambiare l'angolazione con cui studio sofferente i miei tratti. Non so quanto tempo ho trascorso a suonare il piano, forse quasi un giorno intero perché il Sole sta lentamente tramontando seguito dalla mia trepidazione per il pasto cui necessito visibilmente.

Mi son ritrovato a vagare sconsolato per la bella stanza, forse volevo solo buttarmi in quella vasca dove ho passato uno dei momenti più dolci e sinceri con Adelaide. Il mio profilo smunto e assetato mi ha però distratto ed ora eccomi qui. Concentrarmi sul mio essere risulta un'ottima distrazione dal senso di colpa e dalla sofferente astinenza che mi sto ironicamente autoinfliggendo.

Passerà, come ogni cosa passerà.

Mi ripeto questo mantra studiando dettagliatamente il mio volto, sono una creatura a cui il tempo non manca di certo e che è condannata molto spesso a non saper come 'riempire' il tempo di cui dispone.

Una condanna per alcuni, una benedizione per altri.

L'eternità è romanticamente poetica se viene associata ad un'esistenza con uno scopo, un obbiettivo, un amore o una vendetta ma l'eternità è una deleteria condanna se la si vive assetati di sangue, derubati dei sentimenti per una persona, senza poter avere giustizia o un motivo per esistere. Non mi ritengo in totale disaccordo con queste due interpretazioni ma credo manchino di qualcosa, forse le trovo semplicemente struggenti.

L'eternità è uno strumento.

Io ho reso la mia un impero, la mia esistenza ha uno scopo e un obbiettivo ultimo; la posso donare e sottrarre a mio piacimento secondo le mie regole. Ne sono il padrone?

Assolutamente no, ne sono vittima.

Ed ecco i segni che lo dimostrano sul mio viso, sulle labbra, sulla pelle e dentro lo sguardo. Il mio volto sembra un poco più vuoto e smunto del solito, come se gli zigomi fossero appena più taglienti e le guance più infossate, le labbra rosate ora tendono più al violaceo e livido come le occhiaie che hanno fatto prontamente capolino; la pelle non è pallida e candida ma spenta, malaticcia e appena grigiastra. I miei occhi tradiscono profonda sete, un luogo nero e vuoto che non si riempirà mai del tutto ma si evince qualcosa di più.

C'è desiderio di redimersi, di liberarsi del senso di colpa e dell'edera che sta crescendo dal centro del mio petto facendosi strada nell'alabastro con le sue potenti radici.

Passerà.

Scuoto appena il capo scacciando l'attenta analisi dei miei tratti che mi ha dato le forze per resistere alla sete ancora qualche ora, deglutisco sonoramente risoluto e pronto alla cena. Oramai il Sole è tramontato e non mi serve vederlo per saperlo, mi sento a mio agio perché l'astro notturno accompagnerà la mia caccia. In un guizzo colmo d'urgenza mi fiondo fuori dai miei quartieri mentre la gola si infiamma perché il mio corpo sa cosa finalmente sto per fare, ogni fibra di cui sono fatto si accende reclamando ciò che gli spetto di diritto.

La Corona del ReDove le storie prendono vita. Scoprilo ora