Allison Julia Grey, 18 anni.
Cade Scoot, 19 anni.
Il loro destino è legato da una tragedia di cui ignorano la sua esistenza.
Le loro vite sono intrecciate più di quanto credano.
Il loro incontro non è pura coincidenza ma è la risposta a tutte le l...
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Tre mesi dopo
Piove a dirotto, senza sosta, da ore.
Guardo fuori dalla finestra del mio appartamento le strade bagnate e vuote.
Tutto è vuoto attorno a me, mentre gli altri vanno avanti io resto ferma.
Ho litigato con mio padre, il giorno del mio compleanno, si, ora ho 19 anni e credo di averli passati a piangere. Ora non ricordo bene.
Ero sola però, Michael aveva un lavoro a Seattle, doveva tornare in tempo e invece il volo gli era stato cancellato. Gli ho urlato contro, piangendo, dandogli colpe che non aveva. Non gli ho risposto per tutto il giorno.
Mi sono isolata da tutto, solo Livia a tenermi compagnia. Non ho parlato. Non mi sentivo di averne il diritto. Volevo solo starle accanto, e mi sono sentita in pace, poi però il dolore, quello di quando realizzi che la persona che ti sta dando tranquillità è morta, che mai vedrai, che mai sentirai, mi ha devastato.
Quel giorno d'estate pioveva.
Ero fradicia, ma non me ne sono andata.
Volevo Livia, nessun altro.
Io e la mamma.
Dopo il diploma sono tornata a casa a casa sua. Ricordo di non aver versato una lacrima. Sono andata in camera. Ho preso la play e l'ho sbattuta a terra. Ho preso i suoi orologi costosi e gli ho lanciati al muro, i suoi vestiti da centinaia di euro ridotti a brandelli. La tv, ci lanciai contro il casco della moto. In bagno buttai tutti i suoi profumi a terra. Le sue scarpe le lanciai dalla finestra mentre distruggevo qualsiasi cosa gli appartenesse. Avevo una rabbia dentro disumana. Lo odiavo. Lo volevo vedere solo per urlargli contro che lo odiavo a morte.
Ricordo di essermi guardata allo specchio per sbaglio. In quel momento odiai me stessa però. Ero distrutta, così non sopportando quell'immagine presi il porta sapone in ceramica e lo lanciai contro lo specchio.
Persino la Tv in soggiorno si assunse le conseguenze di quel bastardo.
Quando iniziai ad urlare e rovesciare tutto, sentii due braccia forti tenermi da dietro. All'inizio mi dimenai, ero aggressiva, senza nemmeno sapere chi avessi dietro. Poi mi arresi al nervoso e il pianto mi soffocò, fino a lasciarmi andare a terra. Mai però Jason mi lasciò. Mi stringeva solo più forte, mentre Piage cercava di sistemare i miei danni.
Traslocai la sera stessa, mentre tutti i miei compagni festeggiavano il diploma. Mi ero mostrata forte davanti a loro, mentre da sola stavo crollando su me stessa.
Odiai lui, fino a non volerlo mai più sentire, ne vedere o sapere sue notizie.
Dopo un mese di silenzio però mi arrivò una lettera. Non era la solita pagina, erano cinque fogli. Nero su bianco. Parlava di me e di se in terza persona, come se fosse un romanzo, come se lo stesse raccontando a qualcuno.