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Insegnare a Jenny non risultò più difficile del previsto. Magari era andata male veramente per la sbornia. La osservai, mentre orgogliosa si apprestava a fare il suo primo cuore con la panna del cappuccino- un po’ rovinato- ma comunque bello, per la decima volta.

Mi sorrise, “non è poi così difficile!”

Avevamo deciso di non aprire il negozio, così potevo concentrarmi solo ad insegnare a lei le cose che bisogna saper fare per lavorare al Cafè du Acta. Per una volta avevamo deciso di mantenere un’ atmosfera tranquilla. Se il negozio fosse stato aperto e se ci fossero stati i clienti, avrei anche dovuto servirli. In ogni momento.

Jenny si portò una ciocca di capelli dietro alle orecchie, rivelando sei orecchini, solo sull’orecchio sinistro. Era una ragazza solare e simpatica. Andavamo d’accordo- dopo aver superato il primo momento di totale imbarazzo- e cominciavo a capire perché Ari l’aveva assunta. Era giovane, ma anche matura, a modo suo. Però diceva parolacce come una scaricatrice di porto.

“Magari la prossima volta non farò impazzire… ehm… come cazzo si chiama… Eric.” Rise, bevendo un sorso del caffè, come le avevo detto di fare. In quel modo poteva capire se lo aveva fatto bene o no.

“Lui non è poi così male- sono sicura che fosse solamente stanco. Scommetto che sarebbe felice dei tuoi miglioramenti,” sollevai la mia borsa per cercare il telefono, per controllare tra quanto sarei dovuta andare da Aria.

“Lo spero-,” versò il resto del caffè nel lavandino, “ma, cavolo. Grazie. Grazie mille. Non so nemmeno come ringraziarti! Aria mi ha detto che ti ha chiamato all’ultimo minuto per farti venire qui.”

Avevo un sacco di tempo- erano solo l’una e cinque.

“Non c’è problema, sul serio. Mi sono anche divertita,” le sorrisi, pensando onestamente quello che le avevo detto. Anche se il mio cuore si era appesantito, leggendo il diario, la giornata con lei mi aveva aiutato a non pensarci.

Scoprii che Jenny studiava filmografia- immaginai che anche la coppia che era venuta a farle una sorpresa, ieri, andava lì. O magari l’università aveva diversi indirizzi. Lei si era trasferita da New York, non mi aveva detto il perché, però. Ma ora viveva con un'altra persona in un appartamento condiviso.

“Amber, seriamente- mi hai salvato il culo. Magari se non hai nulla da fare venerdì sera, puoi venire da me? Diamo una festa. Niente di speciale. Potrebbe esserci una quantità abnorme di alcool, una bella compagnia e un sacco di divertimento. Ecco qua,” mi inviò il suo indirizzo, “vieni se vuoi. Non devi portare niente- ci penso io.”

“Davvero?” la mia voce uscì più alta di un ottava.

“Cazzo, sì. Mi piacerebbe tanto se venissi.” Sorrise. Questa ragazza mi piaceva ogni minuto di più.

Mi salutò prima di uscire e io sorrisi. Una festa era un’idea allettante. Specialmente se tutti i suoi amici erano accoglienti come lei e quella coppia, della quale ancora non conoscevo i nomi. Non glieli avevo menzionati, dato che mi avevano detto che volevano farle una sorpresa. Sospirai e mi preparai una tazza di tè- visto che avevo già bevuto troppe tazze di caffè. Mancava mezzora al mio appuntamento con Aria.

Anche se provai a non pensarci. Non potevo. Mezzora per esplorare il passaggio che cominciava con la parola ‘Benjamin’. Mezzora per esplorare quelle pagine ispirate. No, non dovrei. Non dovrei leggerlo- non erano fatti miei. Eppure, poco dopo, mi ritrovai seduta su uno dei divani, con in mano la tazza fumante e la soffice pelle del diario. Trovai velocemente la pagina. Rilessi la prima parte e la prima parola di quello che veniva dopo.

“Non sarei dove sono oggi se non mi fossi impegnato così tanto, Harry. Non lo capisci, stupido ed ignorante ragazzo?”

Benjamin Franklin disse una volta: siamo tutti nati ignoranti, ma uno deve lavorare sodo per rimanere stupido.

Se quello è vero, lui crederebbe che sto lavorando sodo per la causa sbagliata, visto che sono ignorante, giusto? E sono stupido. Non sono intelligente come lui. Non sono così ben educato. Non sono adatto. Non sono giusto. Non sono abbastanza. Non lo sono. E non lo voglio essere. Non voglio essere come lui- come loro. Con i loro cazzo di principi conservativi, e buone maniere senza senso, che servono soltanto a vantarsi. Un sacco di buone maniere solo per apparire. Sempre. Tutto il cazzo di tempo. Perché è sbagliato fregarsene di quelle cazzate? Lo odio. Odio loro. Non mi piaceranno mai. Mai. No. Non mi piaceranno.

Se essere ignoranti e stupidi mi darà una vita piena di felicità, allora preferisco una vita come quella, piuttosto che una come la tua. Voglio vivere la mia vita, felice.

La scrittura era irregolare, tremolante. Non calma ed elegante come quella delle pagine precedenti. Questa era praticamente illeggibile e le parole erano state scritte con troppa forza, sulla pagina.  Inoltre, non c’erano disegnini o citazioni su questa pagina, dove il cuore di una persona si era aperto, riempiendo queste righe di dolore. Disperatamente. Chi aveva detto queste cose a lui? Chi poteva chiamare questa persona, stupida, ignorante e farla reagire così intensamente?

Anche se ogni parola bruciava, fu l’ultima parola a farmi sussultare. La ‘e’ di felice era stata prolungata per tutta la pagina, come se la punta della matita si fosse rotta per la troppa pressione.

Come a rallentatore, il diario mi cadde dalle mani. Rigirandosi durante la caduta e atterrando a terra rumorosamente. Ero senza fiato e mi pentii di aver letto. Mi sarei dovuta fermare. Non lo avrei dovuto leggere. Ero stata curiosa. La curiosità mi aveva reso ignorante e negligente. Queste parole non erano state scritte per essere lette dai miei occhi- non erano nemmeno state scritte per intrattenere uno sconosciuto né per soddisfare la sua curiosità. La persona dietro a queste parole, queste frasi, questi pensieri, era una persona vera. Non un personaggio immaginario.

Realizzai che il contenuto del diario non erano fatti miei. Non per i miei occhi e che non avrei dovuto leggerlo- né continuare a leggere oltre. Non avevo idea di come avrei trovato il proprietario… trovato Harry, mi suggerì la mia mente. Ma sapevo che non potevo leggere un’altra parola- non potevo invadere lo spazio personale di qualcuno così. Non potevo irrompere nei suoi pensieri più vulnerabili e… e leggerli.

Concludendo, il mio cuore era diventato ancora più pesante, ancora infestato dalla disperazione delle parole. Ma non era la mia disperazione per cui ci si doveva preoccupare. Ma alla disperazione di qualcun altro.

Voglio vivere la mia vita, felice. Non sono bravo abbastanza. Non lo sono. Don’t let me go.

Harry.

Sono felicissima che la storia vi stia piacendo :) Siete davvero tenerissime! Ah e quando cominceranno le vacanze, aggiornerò più di una volta alla settimana, non temete! ;)

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