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Lasciò cadere la sua mano lungo il fianco, quando io mi allontanai. Mi allarmai di più quando vidi la sua espressione turbata. No. No. La stessa che avevo visto in precedenza quella sera- ma ora io ero la causa. Tipico. Sempre a rovinare tutto e ad infilare il naso negli affari degli altri. Sono sempre stata molto curiosa. Troppo curiosa su cosa significasse quella citazione, per lui. Che cosa rappresentavano le cifre? Dove era stato? Chi gli aveva detto di essere ignorante? Perché gli importava? Era felice?

Provai a rassicurarlo, sorridendogli, facendo sembrare il mio allontanamento una cosa casuale, quando in realtà stavo andando in panico. Non volevo rattristarlo, ma dopo aver realizzato quanto la mia inquietante ossessione per lui fosse inappropriata, sapevo che dovevo andarmene. Si sarebbe rattristato ancora di più se avessi cominciato a fare domande e... Provai ad immaginarmi una sua possibile reazione. Mi avrebbe gridato contro. Sarebbe ancora stato furioso con me. Se lo avesse scoperto. Sapevo che personalmente mi sarei arrabbiata se uno sconosciuto avesse cominciato a parlare della parte più privata della mia vita- e se poi mi avesse anche detto che non dovrei incolparmi. In quale mondo, qualcuno reagirebbe bene e ti ringrazierebbe? No, era nella natura umana di schermare la propria vita e i propri problemi. O almeno, alcune persone. Se avesse avuto bisogno di qualcuno con cui parlare, avrebbe chiesto.

Molti scenari continuavano a riflettersi nella mia mente. Un'immagine di lui, sorridermi dopo aver scritto sul suo diario comparve, mentre questa (altamente improbabile) visione mi si presentava nella mente, mi ricordai.

Stavo ancora tenendo il suo diario stretto al mio petto, allentai la stretta e senza darci troppo peso, lo appoggiai sulla superficie della scrivania, come se fosse sempre stato lì, come se non significasse niente lasciarlo andare. Facendo finta che non fosse passato da essere un semplice libro ad una porta verso la mente di qualcuno che volevo disperatamente salvare. O che almeno volevo fosse felice. Il cuore mi cadde nello stomaco, lasciandolo andare. Potevo ancora sentire al sua presenza sulle mie dita, allontanandomi.

Facendo tutto quello in mio potere per ignorare la sensazione di aver perso qualcosa di prezioso, mi voltai verso la porta. Le mie dita si sentivano vuote, il mio cuore si sentiva vuoto. In qualche modo ero attratta da quel piccolo libro. Lo avevo portato con me ovunque e ora non lo avrei mai più rivisto. Non avrei più avuto l'occasione di leggere il resto, di esplorare le pagine, le macchie di caffè, i disegni, i pensieri. I suoi pensieri. La sua storia.

A cosa stavo pensando? Ero in piedi vicino alla porta, distanziandomi da quel ragazzo con quei cavolo di occhi verdi e quella cavolo di mente misteriosa, che continuava ad infestare ogni mio pensiero. Era come se lui stesse bloccando ogni altra cosa dentro di me. Come se fosse un uragano, mettendo tutto in disordine.

Io ero ubriaca e lui era bello. Corpo e mente. Mi fermai per un secondo sulla porta, girandomi per guardarlo. Era ancora seduto sul letto, guardandomi con quegli occhi verdi che sembravano infiniti ed impossibili da leggere. Non potevo sapere cosa stesse provando né tantomeno pensando. Ma ero sicura che la felicità a cui avevo assistito era completamente svanita. Ogni traccia di gioia se ne era andata, rimpiazzata da quella smorfia e la pesantezza dei suoi problemi... qualsiasi essi fossero.

Volevo aprire la bocca per dire qualcosa. Qualsiasi cosa. Un ultima cosa prima di non poterlo mai più rivedere- e se lo avessi rivisto sarebbe stato come collega della sua coinquilina. Ma non riuscii a parlare. Non avevo niente. C'era solo il suo sguardo speranzoso, che al passare del tempo mi faceva sprofondare il cuore sempre più giù, più giù e più giù. Ma lui sembrava vedere dietro alla mia facciata- lo sapevo dallo sguardo nei suoi occhi. Mi girai sconsolata, sentendomi impotente e intorpidita, ma la sua voce mi raggiunse ancora una volta, con un tono di disperazione. "Amber?"

Sentii un brivido percorrermi il corpo al suono del mio nome, pronunciato dalle sue labbra. Era... giusto quando lo diceva lui. E volevo che lui lo dicesse, se avesse avuto bisogno di qualcuno. Qualcuno che potesse dirgli quanto fosse perfetto, quando si ritrovava nell'oscurità. Se si sentiva male e avesse il bisogno di tenere tutto a posto. Volevo essere quella che lo avrebbe tenuto a posto.

Non sapevo cosa aspettarmi, ma mantenni gli occhi fissi sul pavimento. Lo sentii alzarsi dal letto e avanzare verso di me. Sembrava che stesse succedendo a rallentatore. Le sue mani affondate nelle tasche dei suoi jeans neri, mentre camminava con le spalle basse.

Non sapevo dove guardare e per qualche ragione avevo paura di guardare nei suoi occhi. Avevo paura di trovarli ancora pieni di rabbia. O anche peggio: quella disperazione da cui non sarei mai riuscita a salvarlo.

"Tieni."

Stava tenendo il familiare diario con una mano e me lo stava offrendo, indicandomi di prenderlo.



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