Capitolo 2

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Aleksander

Chiudo gli occhi frustrato nella speranza che quel gesto mi impedisca di sentire, oltre che di vedere. Maria sta ripetendo credo per la milionesima volta che sono un pessimo fidanzato.

«Sei sempre distratto, non mi ascolti mai. Io non ce la faccio più! Sono stanca di te, anzi, sono stanca della tua ombra. Pensi sempre e soltanto al tuo, cazzo, di lavoro.» Sbraita gesticolando davanti a me. Ogni tanto passeggia anche avanti indietro in quei pochi metri che sono il nostro salotto e io me ne sto fermo sul divano, con una mano stringo la mia coscia e con l'altra mi massaggio la tempia in cerca di sollievo. La sua voce mi giunge come un suono fastidioso e insistente.

«Non puoi vivere sempre sulle tue dannate stelle, io sono qui, sono qui da due anni, cazzo!» si spinge le mani sul petto in un gesto disperato che non mi suscita nessuno dei sentimenti che lei spererebbe. I suoi capelli castani dondolando sulle sue spalle seguendola nella sua danza e lasciando nell'aria quel profumo di vaniglia che mi aveva fatto innamorare. Innamorare... le guardo gli occhi tristi. Non avrei voluto andasse così. Quando l'ho conosciuta ero al bar con dei miei colleghi. Lei e le sue amiche si accomodarono nel tavolo vicino al nostro suscitando l'interesse dei ragazzi che ben presto unirono le nostre serate e le nostre vite. Il suo sorriso e le sue attenzioni mi convinsero a lasciarmi andare, ma non al punto da metterla al primo posto. Non è mai stata la mia priorità. Ho studiato e lottato per realizzare il mio sogno e ho dovuto fare delle scelte a un certo punto e lasciare andare qualcosa e qualcuno. Guardo la sua bellezza sciupata per un uomo che non la merita. Purtroppo, non ha torto, quello che avevamo non esiste più. Per rispetto ho cercato di tenere duro, di farla felice, sapevo che il suo amore era più forte e intenso del mio, mi è stata accanto per tanto tempo, non me la sono sentita di far finire tutto nel momento in cui mi sono reso conto di non amarla più, o forse più semplicemente di non averla mai, davvero, amata.
Le lacrime seguono la sua sfuriata ha gli occhi gonfi e il naso rosso, le guance bagnate sono vittime dei suoi gesti nervosi, non vorrebbe mostrarmi tutto questo. Si ferma davanti a me stringendosi le braccia sotto il seno, in un abbraccio, i nostri occhi si incrociano ed è tutto chiaro: lei mi ama ancora, sta lì a sbraitare perché vorrebbe da me quel qualcosa che non posso. L'ho fatto altre volte, ma ora non me la sento più. Non posso fingere ancora.

Lei percepisce un cambiamento in me, lo capisco dal modo in cui si butta ai miei piedi.

«Aleksander ti prego. Ti prego. Guardami!» Non riesco a guardarla, mi vergogno per quello che provo. «Ti prego.» Ripete senza sosta e allora alzo gli occhi dal tappeto di lana che stavo analizzando colore dopo colore. Incrocio i suoi occhi titubante, non vorrei farle vedere quello che ormai resta del nostro rapporto. «Io ti amo. Perché... perché non puoi ricambiarmi?» le lacrime scendono sulle sue guance.

«Tu meriti di più...» Le mormoro rauco, è difficile parlare in questi casi. Fino a ieri sera ho fatto sesso con lei e ora la sto lasciando. I suoi occhi si sgranano e la bocca si apre disperata, una mano corre a coprirla mentre un singhiozzo riempie la stanza. Lei si alza tornando al centro del salotto con gli occhi sgranati come se l'avessi colpita. «Mi dispiace per tutto.» Mi alzo a mia volta andandole incontro, ma lei fa un passo indietro, scuotendo la testa.
Ci riprovo, vorrei confortarla ma lei ripete il gesto e allora mi passo una mano fra i capelli biondi e prendo un grande respiro in questa stanza piena di rancori. «Ti darò il tempo di trovare dove andare, starò in ufficio.» Arretro verso la porta, afferro il cellulare e le chiavi, dal tavolo di legno, per poi girarmi un'ultima volta verso di lei che mi fissa terrorizzata. «Mi dispiace...» Mi volto per aprire e richiudere la porta alle mie spalle.

In quel corridoio bianco porto entrambe le mani ai capelli e cazzo, sento l'aria entrarmi dentro fino a farmi bruciare i polmoni. Il senso di colpa aumenta di pari passo con la meravigliosa sensazione di essere finalmente libero. Libero di vivere la mia vita e di dedicarmi alla mia carriera ed è lì che mi precipito scendendo di corsa le scale. Vado nel mio ufficio all'agenzia spaziale di Mosca la Roscosmos. In questo ha assolutamente ragione Maria, io vivo per il cielo e quel lavoro è il mio sogno. Ho viaggiato, studiato, fatto immensi sacrifici per poter poi tornare nella mia terra e nella mia città, ho vissuto per tre anni a Bajkonur, exclave russa in Kazakistan, dove si trova il cosmodromo, ed è stato meraviglioso... ma mi mancava la mia terra.

Sono arrivato in fretta, nonostante la neve, mi stringo nel cappotto mentre striscio il mio badge e saluto la guardia dietro il vetro della stanzetta alla mia destra. Il pavimento di marmo nero lucido e il vetro nei muri attorno a me riflettono gli ultimi bagliori del pallido sole che sta tramontando. La frenesia di quel luogo mi investe non appena spingo la porta dell'atrio. Gente che, a passo veloce e in assoluto silenzio, sfreccia in tutte le direzioni in quell'immensa costruzione che io venero. Con un sorriso saluto un mio collega ed entro in ascensore fino al piano del mio ufficio. Sono solo in quella scatoletta trasparente e per la prima volta non mi sento l'ansia di dover tornare presto a casa perché Maria mi aspetta, posso restare quanto voglio. Il palmo striscia sui miei occhi, sono stato ingiusto con quella ragazza. Avrei dovuto provare verso di lei anche una piccola parte di frenesia, dei sentimenti che mi scuotono quando entro in questo luogo, ma non ci sono riuscito. L'attrazione è scemata giorno dopo giorno fino a scomparire, provavo un affetto, certo, ma non può essere abbastanza. E allora non mi lascerò più distrarre, non voglio rivivere negli occhi di un'altra la stessa sofferenza. Il mio cuore è per lo spazio.

Poso il cappotto sulla spalliera del divano e ritorno a sedermi in quella poltrona che ho abbandonato solo qualche ora fa. Muovo il mouse sul tappetino e il lavoro che avevo salvato mi si mostra in un foglio word scritto a metà. Con entusiasmo inizio a digitare sulla tastiera le parole che fluide mi vengono in mente e lascio che il tempo trascorra senza distrazioni.
La notifica di un email interna mi si mostra in basso a destra dello schermo. Indeciso se aprirla subito o aspettare interrompo la mia scrittura, ma non appena il riquadro scompare torno a concentrarmi sul testo.

Mi stiracchio, dopo circa un'ora e mezza, piego il collo a destra e a sinistra, sentendo qualche piccolo scricchiolio. Ho bisogno di fare movimento. Entro nel mio bagno privato e indosso la tuta nera che il servizio di pulizia mi ha lavato e sistemato nell'armadio in metallo. Nella struttura c'è una palestra di cui usufruisco regolarmente ogni giorno. Mi piace tenermi in forma e con l'aiuto di Sasha il personal trainer ho un fisico asciutto e muscoloso, ben diverso dal tipico ingegnere.

Mi cambio velocemente e scendo con l'ascensore al meno due, gli attrezzi mi si mostrano dall'alto e noto che l'istruttore di arti marziali è libero, il che mi rende felice, ho proprio voglia di liberarmi di un po' di tensione.

Per quasi due ore mi scordo del lavoro e di tutto, rigenero il mio corpo e il mio umore. Ora ho bisogno di una doccia e di mangiare.

Risalgo nel mio ufficio che è quasi una suite, le fatiche affrontate mi hanno reso uno dei migliori nel mio campo ed è per questo che posso godere di tutti questi comfort.

Dopo essermi cambiato ordino la cena, in attesa, ho giusto il tempo di leggere quell'email che avevo trascurato e che, invece, mi cambierà la vita, costringendomi a venire a patti con la mia coscienza. Mi ricorderò per sempre quegli ultimi momenti di tranquillità in cui mi credevo parte del tutto, senza limiti. Me ne ricorderò bene quando mi toccherà provare il senso di repulsione verso la mia nazione.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora