Capitolo 7

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Anastasya

Le strade sono intasate di auto, detriti, soccorsi. I rumori esterni mi terrorizzano come anche le immagini e quelle interne... quelle interne sono devastanti. I lamenti di mia sorella sovrastano il dolore per la perdita dei nostri genitori. Le stringo la mano sussurrandole parole di conforto mentre prego Dio che ci faccia arrivare velocemente. Osservo quelle mani giunte e non le riconosco. La nostra carnagione chiara e sporca di terra e sangue. Mi accorgo di stare battendo i denti quando Irina accende il riscaldamento dell'auto. Sono zuppa come anche le altre.

Con lo sguardo perso mi sento in un incubo. Non riesco a credere a tutto ciò che è appena accaduto ma non posso lasciarmi andare allo sconforto. «Non si lamenta più.» Irina sembra sollevata ma io so che non è un buon segno dobbiamo fare veloce.
Lascio un attimo la mano di Hanna e mi volto verso la strada, fortunatamente l'insegna dell'ospedale è ora visibile.

«Dobbiamo fare presto.» La mia voce è talmente gelida e roca che stento a riconoscerla.

«È grave?» Quella di Irina è invece incerta e spaventata. Le poso la mano sul braccio.

«Andrà bene, ma dobbiamo arrivare.» La ferita alla testa forse è più grave di quello che pensavo.

Il mondo intorno a noi è impazzito mi sembra che tutti siano per strada. Volti stravolti, occhi sgranati e il suono dei nuovi bombardamenti ci tormenta verrebbe da tapparsi le orecchie nella speranza che finisca. Chi poteva immaginare tutto questo.

L'arrivo in ospedale mi fa tirare un sospiro di sollievo. Mentre Irina va a posteggiare io approfitto della mia posizione per farmi aiutare. Porto Hanna in un reparto meno affollato e con l'aiuto di Natalya, un'infermiera del mio reparto, inizio a controllare mia sorella.
Ha sicuramente la frattura alla gamba che avevo già appurato e una lieve commozione celebrale questo mi mostrano la tac e le radiografie.

Corro a mostrarle ai miei colleghi per farmi dare la terapia, mentre Irina fa compagnia a Hanna che dorme in un lettino. Le ho trovato una stanza per farle una flebo e i controlli.

L'ospedale è in fermento, i tanti feriti, i familiari, chi forse non sa semplicemente dove andare, affollano il pronto soccorso. Io stessa mi sento tirare lungo il cammino. Dopo i consigli su come procedere con Hanna torno da lei con le terapie e due divise asciutte e pulite.

«Allora?» Irina mi apostrofa non appena varco la porta. È seduta accanto al letto e tiene una mano alla giovane ragazza irriconoscibile tra quelle lenzuola bianche. Il suo colorito è simile a quel pigiama grigio che le hanno messo addosso.

«Sta bene. Ha bisogno di riposo e tempo.» Poso i farmaci sul comodino. «Tieni.» Porgo a Irina il cambio. «È una divisa da infermiera, almeno starai asciutta.» Lei si alza e prende il cambio dalle mie mani. «La c'è un bagno puoi anche rinfrescarti, starò io qui e poi mi cambierò a mia volta.» Le mostra la mia divisa blu che stringo in mano, la sua è invece rosso scuro.

Mi siedo accanto a mia sorella e ben presto il peso di quelle ora si mostra sulle mie guance. Lascio scendere silenziosamente quelle lacrime troppo trattenute. «Siamo rimaste sole Hanna.» La voce si spegne. «Ma io mi prenderò cura di te.» Poggio la testa sul lenzuolo accanto al suo viso in cerca di conforto.

La mano di Irina sul mio capo mi desta da quello stato di trans. «Puoi andare.»

Un suono di allarme attira la nostra attenzione verso fuori. Mi alzo per aprire la finestra e così capisco che è l'allarme antiaereo. Mi è chiaro dalla voce che aleggia sopra tutti.

«Non uscite da casa!»

«Ma perché?» Mi volto verso la mia amica e mi rendo conto che sta per avere un attacco di panico. Corro subito ad abbracciarla e tento di calmarla.

«Andrà bene, Irina. Siamo insieme. Andrà bene.» Lei scuote la testa iniziando a piangere, le escono parole sconnesse.

«La neve... Hanna... paura... i tuoi genitori... bombe... aiuto.... Andrew...» le sue dita stringono la mia maglia fino a farmi male.

«Sta calma Irina. Andrà bene, sono io con te.» Le accarezzo la schiena, continuando a mormorare quelle parole fino a quando capisco che sta meglio.

«Scusa.» Si allontana da me abbassando gli occhi.

«Ehi, va tutto bene. È normale, chi ha mai affrontato tutto questo.» Uso un tono rassicurante, ho troppo bisogno di lei non posso permetterle di crollare. «Grazie, per quello che hai fatto.» Ci stacchiamo del tutto.

«Ma io non ho fatto nulla. Solo andare nel panico come hai visto.» Si aggiusta i capelli portandoli dietro l'orecchio.

«Hai fatto moltissimo, siamo qua e senza di te non ci sarei arrivata.» Ci stringiamo le mani ancora giunte.

«Affronteremo tutto insieme Ana, okay?» lei sa bene che non sono solita chiedere aiuto.

«Okay.» Annuisco con il capo, stavolta non posso affrontare tutto da sola, ho anche Hanna. «Ora mi cambio e vado a vedere se c'è bisogno di aiuto. Per qualunque cosa suona e mi avviseranno.» Ora è lei a farmi sì con il capo.

Mi chiudo in bagno e sono un disastro. Ammucchio i miei vestiti bagnati in un angolo e mi sciacquo il viso intriso di fango e fuliggine. Passo la mano fra i capelli induriti dallo sporco e li attacco stretti sul capo in una specie di cipolla. Il profumo del sapone mi fa sentire un po' meglio e sono pronta a indossare la divisa. È bene che Hanna stia almeno ventiquattro ore in osservazione e invece di stare lì a guardarla rischiando di impazzire, mi decido a scendere al pronto soccorso.

Guardo un'ultima volta il mio viso. Le occhiaie nere circondano i miei occhi azzurri che al momento sono spenti e lucidi, mi fanno ricordare quelli di mio padre. Quando ho avuto un momento, sono andata a chiedere se avessero ricoverato i miei genitori ma purtroppo non era così. La receptionista non aveva il coraggio di guardarmi in viso quando le è arrivata la comunicazione che erano entrambi morti.

Respiro a fondo trattenendo tutto dentro ed esco dal bagno.

«Vado giù, okay?» Irina mi sembra serena.

«Sì, vai tranquilla. Io proverò a chiamare Andrew.» Ma certo chissà se avranno attaccato altre zone.

«Ma hai capito se hanno attaccato solo Kiev?»
Lei scuote la testa.

«Non lo so. Ma quella funziona?» Mi indica una vecchia tv appesa al muro.

«Non lo so. Vediamo.» Cerco il telecomando mentre lei prova a chiamare.

«Non c'è linea. Gli mando un messaggio, speriamo gli arrivi.» La sento molto preoccupata ovviamente, le vedo passarsi le mani sulla guance ad asciugare qualche lacrima quando vengo distratta dalla voce del nostro presidente.

La situazione è molto grave, come pensavamo. Ci sono stati più attacchi e non si sa bene cosa accadrà nelle prossime ore. I russi rivendicano questa guerra come un'azione tesa alla liberazione ma sono stati condannati dal mondo intero. Altre informazioni riempiono le nostre orecchie ma niente di confortante. Sarà lunga e siamo in guerra questo è chiaro. E noi che faremo?

«Che facciamo Ana?» Irina da voce ai miei pensieri. Ci guardiamo preoccupate. Vorrei risponderle che non lo so, ma non posso permettermelo devo portare in salvo tutte e tre.

«Mentre sono giù cerca di capire come pensano che procederà la guerra.» Ho un unico piano. «Andremo a Leopoli a prendere Andrew e poi scapperemo via nel posto più sicuro, anche fuori dell'Ucraina, se serve.» Lei mi ascolta attentamente e sembra rassicurata dal vedermi decisa. Peccato sia solo una facciata. Cosa ne sarà di noi?

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora