Anastasya
Approfittando della tranquillità di oggi accompagno Maryna al supermercato. Le provviste scarseggiano ma per fortuna essendo vicini al confine qualcosa si riesce a trovare ancora. Hanna è voluta rimanere sul divano riprendendo la sua vita tra telefono e televisione. Come sempre questo mi infastidisce ma allo stesso tempo sono felice di rivederla più tranquilla.
Il terzo giorno che eravamo qui l'ho trovata a piangere rannicchiata sul nostro letto. Abbiamo così parlato dei nostri genitori e in un certo senso li abbiamo lasciati andare, anche io. Ho pianto con lei accettando finalmente quella perdita che avevo solo accantonato in un angolo perché troppo dura da sopportare. Ho chiamato il mio vecchio ospedale e ho scoperto che li hanno seppelliti a Kiev nel luogo destinato alle vittime di questa orribile guerra. Hanno fatto una lapide unica per loro, ricordando così il loro legame. Il saperli vicini per sempre mi ha confortata, non potevo neanche pensare al fatto di non sapere dove fossero. Siamo dovute scappare via così velocemente che non ho avuto modo neanche di pensare alla sepoltura. Grazie a Hanna ho avuto la forza di fare quella chiamata e di non sentirmi più in colpa per averli abbandonati.
Da quel giorno Hanna ha continuato a rifiorire lentamente, il suo colorito è migliorato e sono anche riuscita a toglierle il gesso che non le serve più. Ieri sera è saltata su di me, mentre eravamo coricate, perché tramite facebook ha ritrovato i suoi amici. Grazie a Dio stanno tutti bene quelli che ha risentito e molti di loro sono andati via dall'Ucraina riportando me al mio dubbio. Dove andremo?
«Oh mio Dio! Guarda Anastasya: i pomodori e le patate, erano settimane che non le vedevo.» Sorrido all'entusiasmo di Maryna e l'aiuto a spingere il carrello.
«Sei sovrappensiero, vero?» Non posso negarlo. Abbasso lo sguardo sulle mie mani strette al carrello.
«Sì, io non ho ancora deciso cosa fare.» Le confesso prendendo dallo scaffale l'ultimo dentifricio della mia marca preferita.
«Sai che potete rimanere qui tutto il tempo che volete.» Maryna mi accarezza il capo. Siamo alte uguali e lei come mia madre è una bella donna, con lunghi capelli biondi che tiene stretti in uno chignon sulla nuca. Purtroppo questa guerra ha aumentato le rughe anche sul suo gentile volto.
«Sì, lo so, ma ho fatto una promessa a mio padre Maryna. Devo portare Hanna al sicuro e purtroppo di quello che sentiamo in televisione nessuna parte dell'Ucraina lo è.» La sua mano trema prima di tornare alla frutta. Distoglie gli occhi perché questo argomento fa soffrire tutti.
«No, non c'è paese o città al sicuro. Quando hanno bombardato qua...» La voce le si affievolisce. «È stato tremendo.» Torna a guardarmi con gli occhi lucidi.
«Sai che non avrei dubbi se fossi solo io, voi per me siete una famiglia. Siamo venute subito qua senza pensare a nessun parente ma...»
«Lo so cara. È giusto che quella ragazza viva senza paura.» Riprende a camminare e io sono felice nel saperla al mio fianco. È vero tutto ciò che ho detto, voglio bene loro come a una famiglia e poi rimanendo potrei aiutare il mio popolo ma Hanna viene prima di tutto.
«A quali paesi hai pensato?» Continuiamo a chiaccherare in quel supermercato mezzo vuoto. Gli scaffali non sono forniti, le persone si muovono velocemente come vogliose di ritornare a casa. Anche se qui sembra tutto più tranquillo la paura c'è comunque, è inevitabile.
«Ho pensato all'Italia perché conosco molto bene una ragazza che ci abita. Siamo riuscite a metterci in contatto e lei mi ha subito offerto la sua ospitalità.» L'ho conosciuta durante un viaggio universitario all'estero di sei mesi. Abbiamo legato subito e poi lei è anche venuta a Kiev da me, sarebbe un'ottima possibilità. «Oppure in una nazione limitrofa così da poter io lavorare per gli aiuti umanitari e Hanna sarebbe comunque al sicuro.» Potrebbe comunque essere una buona soluzione.
«Non mi piace molto questa possibilità. Anche gli aiuti umanitari rischiano e lasceresti sola Hanna tutto il giorno.» Nega sicura che per lei non vada bene. «Se devi farlo, cambia completamente, dimenticati della guerra e di questa nazione e cerca di crearti una nuova vita. Potresti usare la tua laurea?» siamo quasi arrivate alla cassa dove si è creata una piccola fila.
«Credo di sì. Se non sbaglio la mia laurea è riconosciuta a livello internazionale.» È una cosa sulla quale devo informarmi. Se non riuscissi a trovare un lavoro in ospedale sarei comunque disposta a fare qualunque cosa, purché mi permetta di mantenerci.
«Bene, non voglio saperti a fare la donna delle pulizie o la badante dopo la fatica che hai fatto.» Mi guarda seria e se potessi sceglierei neanche io farei altro se non quello per cui provo un'immensa passione ma dovrò mantenere me e Hanna.
«Maryna, farò quello che serve.» I suoi occhi mi rimproverano ma alla fine sospira affranta.
«In questo momento mi sembra davvero un mondo ingiusto.» Inizia a posare ciò che abbiamo preso sul rullo della cassa. «Prego per avere pazienza e fiducia anche se è difficile. Sai i miei nipoti.» Si ferma intristita. «I figli di mia sorella?» annuisco. Mi ricordo dei gemelli di cui parla, due splendidi ragazzi.
«Certo, non li vedo da tanto. Ora quanti anni hanno? Più o meno ventiquattro se non sbaglio.» Mi ricordo i natali passati tutti insieme.
«Sì. Sono entrambi dei soldati ora. Hanno lasciato l'università e si sono arruolati.» Sento il sangue raggelarsi. «Di Petro non si hanno notizie da una settimana.» È evidente la disperazione e la rabbia nella sua voce. E anche io la sento vibrare dentro di me. «Ecco io non ho messo al mondo dei figli per far fare loro la guerra. Sono così felice di avere una figlia femmina e questo non è giusto. Odio quei soldati russi che non riescono a ribellarsi e ci fanno tutto questo.» La commessa attira la nostra attenzione e mentre Maryna va avanti io sono pietrificata.
Non posso darle torto. Capisco la sua sofferenza come quella delle persone che mi stanno attorno. Vedo sui loro volti smorto la paura. Nessun sorriso, nessun momento di distrazione, siamo tutti in attesa. In attesa di sapere se per noi domani sarà un altro giorno oppure no. Mi porto la mano alla gola, mi manca l'aria e sono costretta a uscire fuori, lasciando dentro la mia amica sorpresa.
Chiudo gli occhi in cerca di aria. Mi sento combattuta tra l'effetto che mi fanno le parole di Maryna e il peso che ogni giorno mi stringe sempre di più il cuore. Le sue parole mi girano in testa torturandomi e non riesco, non riesco a provare il suo stesso odio per quei soldati. Non posso perché nonostante siano sette giorni che non parlo di lui. Che faccio finta di niente. Che mi alzo al mattino fingendo di stare bene. Io sono piena di amore per uno di quei soldati. Ho provato affetto per quelle persone che in fondo sono state buone con noi. Nonostante le cose brutte che ci sono capitate. Maryna e suo marito non sanno molto di ciò che ci è successo perché abbiamo deciso di non raccontare la nostra parentesi da prigioniere per non farli soffrire ulteriormente. La scusa che le condizioni di Hanna ci hanno trattenutenli ha convinti perché comunque siamo stati in quel campo pochi giorni. Un attimo che a me ha cambiato la vita.
Quindi no, non provo odio per loro. Perché so bene cosa anche quegli uomini stanno passando. Provo pena. Una pena infinita per tutti noi. E dolore, un dolore che giorno dopo giorno aumenta perché mi allontana sempre di più da lui.
«Tutto bene?» Affannata Maryna mi raggiunge. Ho gli occhi lucidi e vorrei gridare di no. Vorrei avere la possibilità di mostrare tutto quello che non mi fa stare bene.
«Sì, scusa. Ho avuto un capogiro.» Le sorrido con le guance che mi fanno male e afferro uno dei sacchetti che porta in mano. «Andiamo.» La seguo fino all'auto tornando a fare finta. Finta che io non abbia perso l'amore.
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Con la Forza di un Carro Armato
RomanceAnastasya è una laureanda in medicina piena di sogni e di speranze. Ha appena finito la sua prima settimana all'ospedale di Kiev, la sua città ed è pronta a festeggiare con la sua famiglia il contratto a tempo indeterminato. Per realizzare il suo so...