Capitolo 5

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Anastasya

Passata la sorpresa per ciò che sta accadendo, nel tremore del mio corpo e di quello di Irina trovo la lucidità per pensare alla mia famiglia. Mi stacco dalle braccia della mia amica.

«Irina devo vedere come stanno i miei.» Scatto in piedi preoccupata. Le preghiere che fino a quel momento erano rivolte a noi ora riguardano i miei parenti. Spero con tutto il cuore che stiano bene, mentre con passo tremante mi avvio alla finestra che da sulla strada. Oltre quelle tende spesse potrò vedere cosa sta realmente accadendo. La luce accesa da ieri sera lampeggia incessantemente come se ci fosse un problema all'impianto. Quel gioco di cecità e vista è altrettanto allarmante dei suoni che si sono per un attimo zittiti. Sembra surreale quel silenzio dopo il forte frastuono che ci ha svegliate. Con il coraggio di chi teme per i suoi cari tiro via quella tenda.

Una pallida luce accende il cielo è appena apparsa l'alba, ma è un nuovo giorno triste. Per me il più triste. Il fiato mi si spezza alla vista della mia casa. Apro e chiudo gli occhi prima di precipitarmi in strada terrorizzata. Irina mi segue, nonostante la sorpresa per il mio gesto.

«Che succede?» Non la sento neanche. Corro in quella mattinata senza sentire il freddo che mi penetra in fondo alle ossa, vedo solo... vedo solo quello che non vorrei.

Un incendio sta bruciando parte della mia casa ormai distrutta. La porta d'ingresso fiera resta alzata a proteggere dall'esterno qualcosa che non esiste più, è tutto distrutto. Incurante del fuoco, del pericolo, delle mie condizioni mi avventuro in quelle macerie urlando.

«Mamma... papà... Hanna! Mamma... papà... Hanna! Mamma...» Cerco di capire dove potrebbero essere quando un lamento mi giunge alla mia destra. Evito in qualche modo di bruciarmi e avanzo velocemente, per quanto possibile. Cammino su resti di casa e mobili verso il mio nome. «Papà! Papà! Papà sto arrivando... Ahi!» Sento un dolore alla gamba sinistra credo di essermi tagliata ma non mi fermo, non lo farei mai. «Papà, sto arrivando!» Dai resti capisco che in quelle macerie c'è la camera da letto dei miei genitori. Riconosco l'armadio piegato verso il basso con resti di tetto che lo coprono. Mi guardo attorno non sapendo dove andare, quando mi sembra di vedere qualcosa muoversi: è una mano. A carponi mi avvicino fino a stringerla nel mio palmo. «Papà, papà sono io, sono qui.» Concitata parlo tra le lacrime e gli ansiti.

«Piccola mia.» Sento una leggera speranza alleggerire la morsa che mi stritola il petto. Sposto qualcosa che non riconosco e il volto sporco e sanguinante di mio padre mi si mostra sofferente. Solo quello riesco a liberare, il resto è sepolto chissà sotto a cosa.

«Papà...» Piango disperatamente. «Ora ti tiro fuori. Ora ti aiuto.» Mi agito guardandomi attorno con lo sconforto che mi investe, non ho molto da fare, mi sento inutile.

«Piccola mia, ascoltami. Noi ti abbiamo amata per la meravigliosa donna che sei...» il suono esce a fatica e io stringo nuovamente quelle dita, odiando quel discorso che ha così tanto di un addio da spezzarmi in due.

«Papà...»

«Anastasya... Anastasya ho trovato Hanna è viva!» l'urlo di Irina è una piccola gioia per mio padre.

«Sia ringraziato il cielo. Promettimi che ti prenderai cura di lei Ana, promettimelo!»

«Te lo prometto.» A fatica riesco a parlare. Mio padre tossisce per poi sorridermi confortante. «Portala in salvo e non pensare mai più a tutto questo. Voi crescerete forti e felici, figlia mia. Sarete per sempre il nostro orgoglio.» I suoi occhi riescono a essere fieri e brillanti nonostante tutto questo, nonostante le ferite, nonostante il dolore, nonostante mi stia lasciando. «Ti voglio bene, figlia mia.»

«Anche io papà, anche io.» Con un dolce sorriso i suoi occhi si chiudono lasciandomi in quella realtà che non posso accettare.

«Papà! Papà!» piango piegata in due dalla sofferenza.

«Ana, corri aiutami. Non riesco a tirarla fuori!» cerco la forza in me per deporre sulla terra la mano di mio padre. Gli lascio un ultimo bacio sulla fronte e corro a compiere la mia promessa. Non ho ancora alzato la testa oltre quei resti che mi appartengo, ma quando finalmente io e Irina riusciamo a liberare mia sorella, dai detriti del tetto che le bloccavano una gamba, comincio a sentire quello che ci circonda. In braccio portiamo Hanna fino alla strada, inciampiamo ogni tanto. Sento la mia pelle graffiarsi ma io e Irina non ci fermiamo.

Giunti fino al vialetto, resto con mia sorella stretta al petto in attesa che la mia amica recuperi le chiavi dell'auto. L'abbiamo seduta sul cofano e lei piange e si lamenta per il dolore. Le strappo il pigiama per vedere meglio la sua gamba che ovviamente è frarturata ma senza osse esposte. Il taglio sul capo perde ancora molto sangue che cerco di fermare con la stoffa strappata. Non mi sembra ci sia altro di grave almeno apparentemente. Le pupille non sono molto dilatate quindi penso che abbia una lieve commozione celebrale. In quei pochi attimi di attesa di Irina con il freddo che mi penetra la carne, alzo il viso sulla strada, sono tutta bagnata a causa della neve, ma poi non ha più importanza, per la prima volta mi giungono i suoni di quello che sta avvenendo.

Sirene di ambulanze, vigili del fuoco, urla di persone ferite o disperate come me. Corro verso un camion dei pompieri poco distante.

«Vi prego. Vi prego.» Trovo un signore che scioglie il nodo che tiene l'ascia legata al mezzo. «I miei genitori sono in quella casa.» Gliela indico con la mano. «La prego, mi segua.»

Lo sento chiamare tre uomini mentre insieme corriamo verso la mia abitazione. «Sono ancora vivi?»

«Mio padre mi ha parlato fino a pochi minuti fa, ma è intrappolato e poi sono corsa a liberare mia sorella, io non lo so...»

«Indicami il punto e allontanati. Come sta tua sorella?» Arrivano nel frattempo i ragazzi che ha chiamato.

«È viva, ha alcune ferite, devo portarla in ospedale.» Mi spiego velocemente.

«Bene. Hai un mezzo?» Mi distraggo dagli uomini che sono arrivati nel punto in cui ci sono i miei.

«Sì, sì la mia amica ce l'ha.»

«Bene, allora andate voi, così da lasciare spazio nelle ambulanze. Noi ci occuperemo dei tuoi genitori, okay?» Cerca di confortarmi, anche se in cuor mio già so.

«Grazie.» Lo lascio allontanare dopo che mi ha stretto una mano intorno al braccio. L'odore del fumo acre mi investe le narici che mi bruciano. Sento anche in bocca e in gola quel sapore di terra e carbone. Il sole è ora più alto e diverse case accanto alla mia sono distrutte da quello che credo sia stato causato dall'esplosione di un ordigno. La rabbia mi fa vibrare. Perché noi? Perché qui? Vorrei urlare a quegli aerei il cui rombo ci sovrasta da sopra. Me seguo uno con lo sguardo. Lo vedo avanzare fino all'aeroporto e qualcosa ne cade prima di vedere una luce abbagliante e un forte frastuono. Il loro obiettivo era quello, noi siamo solo un danno collaterale. Stringo i pugni con tutto l'odio che si impossessa di me. «Bastardi russi.» Sibilo minacciosa, pronta non so neanche io a far cosa.

«Eccole, le ho trovate.» Il bip dell'apertura segue la parole di Irina. Corro indietro e a fatica posiamo mia sorella sui posti di dietro per poi salire davanti. Tra i suoi lamenti che mi trafiggono il cuore, corriamo verso il mio ospedale per poterla curare.

Non mi resta che lei.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora