Capitolo 62

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Aleksander

Osservo la sala con aria distratta, sono già stato salvato un paio di volte da delle domande inopportune che riguardavano la mia presunta partecipazione attiva alla guerra in Ucraina. Mauro è intervenuto ancor prima che mi potessi rendere conto che la richiesta era per me. Quindi me ne sto buono in silenzio ad aspettare. Il tempo della conferenza stampa e la presentazione del lavoro che farò passa lentamente ed è per me un incubo. Odio questa giostra su cui vengo sospinto come un burattino e quando il mio limite è vicino, Mauro pronuncia le parole che ho sperato di sentire nelle ultime due ore. Sento male alle cosce per il su e giù incessante a cui le ho sottoposte per scaricare la tensione.

«Signori, per noi è ora di andare. Ci aggiorneremo fra una settimana.» Si alza strisciando leggermente la sedia per terra, un suono meraviglioso per me che scatto in piedi come una molla. Il mormorare dei giornalisti e il flash dei fotografi accompagna la nostra uscita da quella sala. «Come va signori? Aleksander, tutto bene?» mi giro verso di lui allentando la mia cravatta.
Siamo nella stanza accanto alla sala conferenze, diverse sedie sono disposte ai lati e in questo momento il sole di tarda mattina inonda il posto che risulta molto caldo.

«Ora sì.» Rispondo sincero togliendo anche io la giacca come vedo fare anche a lui, non sono il solo che inizia a sudare.

«Bene, ora possiamo rilassarci per una mezz'ora e dopo ti porterò all'Esa così potrai prendere familiarità con il posto.» Mi passo la mano fra i capelli in realtà fremente di iniziare. Il lavoro è sempre stato il mio passatempo preferito.

«Hai parlato della mia équipe...» Non vedo l'ora di rivederli e di sapere chi è qui a Roma.

«Ah sì, sono già a lavoro da una settimana, inizialmente si sperava di poter risolvere con loro il problema visto che il tuo capo non voleva darci la tua disponibilità, eri troppo indispensabile in battaglia...» i suoi occhi si oscurano un attimo. Non posso che accettare il suo pregiudizio nei miei confronti, sono un russo che ha ucciso persone e purtroppo è fin troppo vero.

«Capisco.» Il timore di essere rimandato in guerra mi fa stringere la mascella.

«Ma per fortuna ora sei anche tu qui ed è perfetto.» Batte le mani entusiasta e mi colpisce alla spalla con familiarità. Forse non è proprio il tipo che pensa che siamo tutti uguali ai nostri rappresentanti. Credo che mi piacerà quest'uomo, è molto sincero e loquace. Credo sia nel mio destino trovare dei chiacchieroni che riempiano i miei silenzi. Il volto di Dimitri mi appare e con esso il desiderio di portarlo fuori da quel dannato conflitto, ma non so se ne avrò pietà modo.

Percorriamo i corridoi di un bellissimo palazzo antico, regna il silenzio assoluto e si sente l'eco delle parole che pronuncia Mauro seguirci come cerchi di luce. Nel tempo che mi conduce da quel luogo, che capisco essere al centro della città, alla sede spaziale più in periferia vengo a conoscenza praticamente di tutto quello che lo riguarda. La moglie: Luisa; il figlio: Luca; la sua carriera e infine il progetto di cui è stato incaricato da un mese e per il quale ha scelto lui stesso gli esperti da chiamare e io ero al primo posto. La sua tranquillità nel parlare mi mette subito a mio agio mi sembra di conoscerlo da sempre e lui si comporta con me allo stesso modo nonostante io non abbia spiccicato parola, solo qualche domanda per farlo continuare.

Per le strade c'è molto traffico, il mio accompagnatore impreca in italiano contro tutti i guidatori che incrociano la nostra via facendomi sorridere. Osservo le vie, gli uomini e le donne vestiti alla moda, le auto fiammanti e respiro la serenità e il caos tipico di una città in cui non si sente la paura di un possibile attacco. Mi sembra quasi manchi qualcosa quando aspettando con il fiato sospeso non riesco a sentire il suono tipico dei bombardamenti e delle sirene che li precedono.

«E quindi ci siamo trasferiti a Roma...» Sbatto le ciglia cercando di riportare l'attenzione al mio interlocutore. Il paesaggio sta cambiando intorno a noi e quando varchiamo un cancello di ferro una distesa verde circonda una costruzione molto moderna che stona con l'ambiente tipico della città eterna. Mauro mi annuncia di essere arrivati, ma l'insegna dell'agenzia spaziale italiana lo aveva già preceduto. Sento l'adrenalina tornare a scorrere nelle mie vene e ne sono felice, respirare quell'aria mi fa sentire nuovamente me stesso.

Mi sembra di avere finalmente recuperato la vista, dimentico di tutto quello che ho visto fino a ieri mattina e come se mi fossi tolto degli occhiali da sole e ora sono in grado di vedere la luce.

«Se ti va prendiamo un caffè al bar laggiù e poi saliamo agli uffici.» Vorrei rifiutare ma vedo che ne ha bisogno e allora annuisco sorridendogli cordialmente.

«Certo, andiamo.» Continuo a seguirlo come un cagnolino ben addestrato, non so come muovermi in questa città e in più sento ancora la confusione per quei gesti che fino a qualche mese fa erano normali.

Quando finalmente siamo dentro l'ingresso l'aria condizionata mi fa sospirare. «Fa caldo, eh?»

«Molto.» Sicuramente non sono abituato a questo clima a settembre. Mi ritrovo dentro un ascensore in vetro in un palazzo molto simile al nostro centro spaziale. È fatto in metallo e vetro proprio come da noi solo che questo si sviluppa in orizzontale mentre il nostro in verticale.

«Allora, direi di andare prima agli spogliatoi a mettere il camice e poi ti accompagno finalmente dagli altri.» Mentre faccio come mi dice mi viene il desiderio di riassaporare la vita, comprare dei vestiti, un auto, una casa, una donna. Come una spinta febbrile verso quel mondo che voglio nuovamente mio.

Un'ultima porta in vetro mi separa dal mio passato, riesco già a distinguere le sagome di molti dei miei colleghi e quando Mauro richiama la loro attenzione vengo investito da abbracci e pacche che ricambio puntualmente.

«Bene, siete proprio tutti qui.» Con orgoglio guardo i volti familiari dei miei ragazzi e non vedo l'ora di iniziare. «A che punto siete?» Il resto del giorno vola come ai vecchi tempi, mi ritrovo in auto con Mauro stanco ma soddisfatto.

«Come va?» Tengo il braccio sul finestrino e il capo poggiato sul palmo aperto.

«Bene.» Ed è assolutamente vero. Lui sorride soddisfatto.

«Aleksander, se mai avrai voglia di parlare di qualunque cosa, sappi che io ci sono. Non posso immaginare cosa tu abbia vissuto ma ho bisogno di averti concentrato al cento per cento su questa missione, dobbiamo far rientrare quei ragazzi.» Mi gratto la testa e mi giro verso l'uomo trattenendo a malapena un po' di fastidio che sento crescere nel petto, ma non appena vedo i suoi occhi sinceri, mi rendo conto che anche questo discorso fa parte del suo lavoro. Mauro è una persona professionale ma molto attenta umanamente e se pur non conoscendomi ha capito che non sto bene.

Sospiro mordendomi il labbro prima di rispondergli sinceramente.

«Hai ragione Mauro, èdifficile per me essere qui come lo sarebbe non esserlo, ma giuro che la mia priorità è far terminare questa missione nel migliore dei modi.» Cerco di essere convincente.

«Grazie.» Lo guardo stranito, dovrei essere io a ringraziarlo. «Domani ti toccherà incontrare i rappresentanti degli altri stati. Ti avverto che un collaboratore americano è scettico della vostra collaborazione, come stato intendo, ma sia io che il suo responsabile abbiamo più volte ribadito che non vogliamo discussioni politiche dentro queste mura e fra questo gruppo. Se dovessi avere problemi non esitare a contattarmi.» Credo di essere fortunato ad averlo incontrato. È più grande di me di una decina di anni e mi sembra quasi di aver trovato un fratello maggiore.
Qualcuno di cui fidarmi.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora