Capitolo 56

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Anastasya

Sovrappensiero mi ritrovo all'ospedale. Non so come sono arrivata qui. È come se si fosse aperta una voragine e mi avesse fatta ripiombare a mesi fa. L'equilibrio che ho raggiunto a fatica si è sgretolato alla sola possibilità che potesse essere.

«Cara mia, sembra tu abbia visto un fantasma.» Gabriella alza gli occhi dalla scrivania. Stava compilando delle cartelle ma l'espressione di Maurizio la fa alzare e venire da me.

«Che è accaduto?» Anche lei insiste e quindi penso proprio di avere un'aria sconvolta. Sospirando butto la borsa sullo sgabello accanto al mobiletto dove tengo le mie cose.

«Buongiorno, ragazzi.» Li ignoro indossando il camice. Ma entrambi non si arrendono standomi praticamente addosso. «Non so se avete notato che è agosto e che fa molto caldo fuori.»

«Nah, è qualcos'altro.» Maurizio si avvicina ispezionando il mio viso.

«Ehi, non è comunque gentile far notare a qualcuno che non è in forma.» Lo allontano con la mano e indosso il camice ringraziando il ventilatore che arieggia finalmente.

«No, cara, non ho parlato della tua bellezza, anche perché lo sei sempre anche ora con quell'espressione strana in viso.»

«Ma che dici.» Mi lego i capelli nella speranza che la finiscano.

«Maurizio, hai visto ha le guance rosa, e gli occhi sembrano più grandi. Secondo me centro un uomo.» Ci mancava lei.

«Gabri. Dai aiutami almeno tu.» La supplico, ma niente.

«È strano vederti così distratta, sei sempre con quel cipiglio di chi ha tutto sotto controllo.» Magari fosse vero, forse un tempo lo credevo.

«Si, hai ragione, è per un uomo. Respiro accelerato...» Maurizio con la mano sotto il mento indica Gabriella come se fossi un mistero da svelare.

«Fiatone da ritardo.» Sottolineo.

«Ma tu non arrivi mai in ritardo a lavoro.» Alzo gli occhi al cielo e prendo il mio stetoscopio.

«Questo suo negare e sfuggire alla discussione.» Li osservo e sono io a essere preoccupata adesso.

«Voi siete pazzi.» Mi si piantano davanti con le braccia incrociate.

«Arrivano le prime persone.» Li avverto guardando alle loro spalle.

«Non ci casco. Forza bella, parla.» Alla fine mi arrendo a Maurizio. Non ne posso più di questa insistenza, ma poi per cosa, non ho praticamente niente da dire. «Okay, ho visto da lontano una persona che mi ricordava molto qualcuno che ho conosciuto. Contenti. Ecco.» Indico l'ingresso facendo capire loro che è tutto qui e che possiamo iniziare.

«Una persona...» Gabriella è insoddisfatta dalla mia spiegazione.

«Qualcuno...» Anche Maurizio in realtà. «Ma che razza di racconto è.» Mi passo la mano sul viso. E dire che volevo subito dimenticare.

«Poco prima di tornare dall'Ucraina, ho incontrato un ragazzo e...» come continuare. La mia mente vaga nei ricordi risvegliando ogni emozione nascosta. Loro pendono dalle mie labbra, forse il tono diverso della mia voce ha fatto capire che è qualcosa di importante. «Beh, mi piaceva molto, moltissimo, ma la cosa non aveva un futuro.» Sistemo le matite nel portapenne mentre il silenzio ci avvolge. Non mi dispiace parlare con loro, li considero degli amici.

«E lui?» Gabriella quasi bisbiglia immedesimata nella storia.

«Lui... lui mi ricambiava ma è un militare, quindi capirai che non potevamo fare altro se non dirci addio.» Concludo rassegnata. Velocemente ho rinnegato i sentimenti, il suo sorriso e i suoi occhi.

«Cazzo. Ed è vivo?» guardo il mio amico scuotendo la testa.

«Non lo so. Non so più niente di lui.» È difficile mantenere la voce ferma. Lotto con le lacrime che vorrebbero uscire, perché il fatto di non sapere nulla è come una goccia che corrode una pietra lentamente ma inesorabilmente. «E oggi, quel tipo, gli somigliava così tanto...» Non ho altro da dire.

«Mi spiace piccola mia.» Gabriella mi abbraccia. Mentre Maurizio si guarda le scarpe quasi colpevole di avermi costretto a ricordare.

«Beh, questa sera ti porto qualcuno che ti farà dimenticare tutti.» Di scatto mi allontano dalla mia collega fissando Maurizio.

«Tu cosa?» annuisce soddisfatto con un sorrisino che mi fa venire voglia di prenderlo a schiaffi.

«No, scusa, ma avevamo detto che stasera portavo io il socio di mio marito.» Anche Gabriella viene fulminata dal mio sguardo.

«Ripeto: voi siete matti.» Alzo le mani e mi allontano arresa. Li sento discutere su chi avesse ragione e poi credo siglare una scommessa con una stretta di mano. «La cena è cancellata.» Ma cosa hanno intenzione di fare?

«Dai Ana, non te la prendere. Sei un così bel bocconcino che non è giusto tenerti nascosta. Il mondo deve ammirarti.» Questa poi.

«Ma ti senti Maurizio.» Faccio cenno al primo paziente di entrare.

«È vero Ana.» Insiste convinto. «Fa bene frequentare persone, lasciarsi andare. Peccato che tra noi non possa funzionare perché ti assicuro che sei veramente una bomba.» Fermatelo. «Sai che un pensierino l'ho fatto anche io quando ci siamo conosciuti.»

«Ho cercato di dimenticare i tuoi imbarazzanti approcci.» Inizio la visita.

«Poi per non mischiare lavoro e sesso mi sono...» mi ignora.

«Se non la pianti ti mischio io.» Lo minaccio con un termometro facendo ridere anche il signore sulla sessantina che si è appena disteso sul lettino.

«Sei davvero minacciosa.» Lo guardo storto. «Va bene, va bene. Stasera ci ringrazierai.» Alzo gli occhi al cielo, credo di essere castata in una trappola.

Fortunatamente non ho molto tempo per pensare a questa follia di due appuntamenti al buio nella stessa serata. Doveva essere solo una serata fra amici.

Non ho neanche il tempo di pensare al fatto che io non ho nessun desiderio di mettermi in gioco. Non sono interessata a conoscere nessuno in quel senso. Non sento la mancanza di un rapporto a due, non nel senso fisico almeno.

E non ho modo di ripensare neanche a quel ragazzo della metro. Somigliava veramente tanto ad Aleksander o forse era ai miei occhi che volevo trovare quella somiglianza. La malinconia mi accompagna fino a casa in quel torrido pomeriggio di agosto. Roma è piena di turisti e io mi sento i vestiti appiccicati addosso dall'afa che mi ha investita appena uscita dall'ospedale. Cerco di darmi un pò di sollievo sventolandomi con un foglio che avevo in borsa. Mi alzo la coda in un tupè sul capo.

Apro il portone di alluminio e vetro del mio palazzo. Salgo le scale e rifletto sulla mia attuale vita, su quello che abbiamo e mi viene difficile anche solo paragonarlo con quello che avevamo, che ero.

All'ultimo gradino, con il fiatone per la salita, torno a quella parentesi piena di amore e morte, di sorpresa eppure difficoltà. Una vita intera racchiusa in pochissimi giorni. Mi sciolgo i capelli e cancello ogni pensiero, non me lo posso permettere.

Poso la borsa e i vestuti sulla poltrona in camera da letto. Hanna non è ancora tornata e io mi sento così accaldata che non resisto a fare una doccia prima di cominciare a preparare per la serata.

Rifletto sul menù che vorrei proporre, ho pensato a una serie di antipasti così da poter conversare senza preoccuparmi delle cotture. Spero sia tutto gradito, gli italiani sono molto esigenti.

Mi spoglio e a piedi scalzi e nuda cammino sul parquet fino al bagno. Accendo la doccia impostandola sul freddo e con un sospiro entro dentro. Gemo a quello sbalzo di temperatura a cui ben presto mi abituo. Chiudo gli occhi alzando il viso verso il getto e un cielo scuro, il gelo della notte, l'odore del fuoco e i rumori mi riportano a una sera al campo.

Un fremito lungo la schiena esprime la trepidazione di sapere che presto lo rivedrò nei miei sogni perché posso obbligarmi a non farlo durante il giorno ma di notte, di notte siamo nuovamente insieme.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora