Aleksander
L'acqua mi bagna il volto e scende in rivoli dalle spalle al mio torace fino a perdersi sulle gambe e concludere la corsa in una pozzanghera ai miei piedi. Ho le mani fra i capelli e li massaggio con lo shampoo nel silenzio di questa nottata di agosto. Sento un fremito correre lungo la mia schiena fino a sparire in quell'acqua limpida. I muscoli si irrigidiscono. La malinconia mi stringe la gola e irrefrenabili le membra si perdono in ricordi sopiti, nascosti.
Stringo le palpebre per trattenerli.Giorni e notti infiniti. La paura e la lotta per sopravvivere mi sfianca. Vorrei solo lasciarmi andare. Sarebbe così semplice. Così risolutivo a questo incubo perenne.
Insapono il petto e le braccia sentendo le varie cicatrici che ora popolano la mia pelle. Piccoli segni quasi invisibili della sofferenza che mi fa sperare in quel buio risolutivo per raggiungere la pace.
Un sospiro graffia la mia gola, spingo i palmi sugli occhi sono stanco, stanco di vedere questo schifo. Il dolore dentro di me cresce annientando il mio essere che si spegne inesorabilmente. Sono il fantasma di me stesso, un uomo orribile che per sopravvivere ha dimenticato la via dell'amore.
Accarezzo l'idea della morte come un dolce sollievo. Nel buio non si vede e si dimentica. Sarebbe così facile. Sento montare la rabbia per una luce fastidiosa che disturba i miei pensieri, troppo radiosa una stella appare, in questa notte, colorando il cielo e riscaldando il mio essere contro la mia volonta: la speranza.
La speranza: di farcela, di ritornare ad assaporare la vita, di poter essere nuovamente me stesso, di poterla rincontrare, di poterla avere. Ecco brilla incontrollata, non voluta, quasi odiata, ma c'è ogni sera, a ogni smarrimento, in ogni luogo lei appare dandomi la forza di stringere i denti e lottare per il mio futuro che non è russo o ucraino appartiene solo a me.«Ale, ci sei?» Dimitri mi richiama da vicino. Apro gli occhi infastidito da quell'intrusione, per una volta vorrei essere solo, avere uno spazio per me. «Dai Ale, per favore tocca a me, anche le altre sono impegnate e io non posso più aspettare.» Agitato chiudo l'acqua gelata ed esco fuori sbuffando.
«Eh che cazzo Dimì, ero appena entrato.» Afferro l'asciugamano e lo annodo alla vita.
«Che è, ti stavi facendo una sega?» mi risponde sarcastico lui mentre si infila nello spazio che ho lasciato vuoto.
«Fanculo.» Gli intimo a denti stretti.
«Siamo proprio di buon umore. Una festa.» Decido di non rispondergli, non ne ho voglia e poi vedo uscire un uomo dalla doccia accanto e non è il caso di dare spettacolo.
Al solito mi avvicino allo specchio per rasarmi la barba che copre il mio mento. Non riesco neanche a guardarmi negli occhi, mi basta vedere le mie guance scavate per sapere che sto di merda. «Cazzo!» Mi taglio vicino al labbro superiore, sulla parte destra ed esce una fottuta quantità di sangue.
Impreco contro il mondo intero mentre cerco di tamponare il guaio. La lemetta è ormai andata, è una fortuna che non mi prenda il tetano. Rimetto tutto nel beauty con gesti frustrati. Guardo la carta colorarsi di rosso e mi decido a passare dall'ospedale per un cerotto. Afferro le mie cose e a passo deciso cammino nella notte calda. Odio andare in quel luogo ma non posso certo stare con la carta igienica in faccia per tutto il tempo.
Ringrazio l'infermiere che mi aiuta e torno verso la mensa. Arrivo che anche Dimitri sta entrando e senza che se ne accorga gli cammino dietro fino a sedermi davanti a lui.
«Cazzo! Mi hai fatto venire un infarto.» Si porta la mano al cuore. «Ma da dove cazzo sei sbucato.» Sorrido alleggerendo la tensione di poco prima. Con lui andiamo d'accordo proprio per questo, ci capiamo, non c'è la necessità di molte parole. «E che cazzo hai fatto alla faccia?» Storcio la bocca e sento un dolore pulsare.
«Mi sono tagliato con la lametta. Pensi che ci faranno mangiare?» Mi volto a guardarmi in giro e non c'è molta gente, forse siamo solo quelli appena rientrati dall'uscita pomeridiana.
«Hanno detto che avremo del pollo.» Dimitri torna a poggiarsi alla spalliera e mi guarda stancamente. Ricambio con lo stesso sentimento e un leggero sorriso appare sulle labbra di entrambi ma non è certo di gioia, forse, più che altro, rassegnazione o pietà per noi stessi.
«Oggi ho parlato con il comandante, forse ci sposteranno ancora.» Annuisco, continuando a guardarmi attorno con la gamba destra sotto il tavolo che si alza e abbassa nervosamente. «Mai una volta che ci dicano che questa guerra del cazzo sia finita.» Si lamenta lui stesso, facendo eco ai miei pensieri.
«E dove ci porteranno?» Lo vedo scuotere il capo.
«Non lo so, forse più a nord. Cambierebbe qualcosa?» stavolta sono io a muovere la testa.
«No, affatto.» Vedo il cuoco uscire con il pentolone e i ragazzi che lo aiutano iniziare a porgergli i piatti. Tutti i presenti si alzano, in un turno non scritto, vedo i soldati avvicinarsi c'è chi zoppica e chi scherza, un paradosso come la nostra realtà. Alla fine tocca anche a me. Mi spingo in su poggiando i palmi sul tavolo in legno e percorro quei pochi metri sempre con la stessa insofferenza.
A ogni alzata di sole e a ogni ritorno della luna c'è solo un posto che mi da pace un sacco a pelo vicino a un fuoco nella notte. Riesco a percepire il suo profumo nell'aria, mi sembra di sentire i suoi soffici capelli sfiorarmi il viso e giurerei che il calore che sento sotto i polpastrelli è la sua pelle liscia e bianca, ad ogni sogno lo è sempre di più quasi a diventare un fantasma. L'eco del mio nome bisbigliato nella notte riempie le mie orecchie. Come sarebbe bello se... se solo... spero che tu sia felice mia dolce Anastasya, ovunque tu sia, spero tu abbia ripreso in mano la tua vita.
Vorrei urlare la frustrazione che sento dentro, non avrei mai potuto immaginare che la mia si riducesse a questo.
«Non stai dormendo, vero?» La voce del mio amico allontana i miei tormenti. Apro gli occhi ma resto sdraiato.
«No.» Sospiro.
«Bene.» Mormora stendendo il suo prossimo letto accanto al mio. «Perché neanche io e non mi andava di stare solo.» Mi passo i palmi sul viso.
«Ti va di parlare?» gli propongo, forse farà bene anche a me.
«Ho sentito dire, da alcuni soldati, che poco fuori dell'accampamento ci sono delle donne che si prostituiscono per qualcosa da mangiare o protezione.» Un silenzio pesante come il piombo cala fra di noi, forse lui non ha il coraggio di continuare e io di ascoltare.
Alla fine come arreso da quello che lo agita decide di continuare. «Pensi possa essere una soluzione? Mi sembra una vita che non provo quella sensazione.» A occhi spalancati fisso una luce percorrere la tavola nera sopra di noi. «Non potrebbe valerne la pena un'ultima volta prima di morire? Cioè... cazzo. Vorrei riuscire a perdermi.» Capisco da cosa nasca il suo discorso fin troppo bene. Scava anche dentro di me fino ad annientare i miei valori. Sarebbe un altro passo o forse l'ultimo verso la fine.
«No, credo di no.» Porto il polso a coprirmi gli occhi. «Non c'è soluzione a questa irrequietezza.» Ancora silenzio.
«Immaginavo.» Bisbiglia. Sembra forse più tranquillo e poco dopo sento il respiro pesante. Si è addormentato.
«No, una c'è. Ha gli occhi azzurri e profuma di vita.»
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Con la Forza di un Carro Armato
RomanceAnastasya è una laureanda in medicina piena di sogni e di speranze. Ha appena finito la sua prima settimana all'ospedale di Kiev, la sua città ed è pronta a festeggiare con la sua famiglia il contratto a tempo indeterminato. Per realizzare il suo so...