Capitolo 68

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Aleksander

«Ciao, Aleksander.» La cosa strana è che sembra così reale. Il sorriso le trema sulle labbra rosse catturando la mia attenzione. Sono immobile, intimorito dalla possibilità che tutto svanisca nell'attimo stesso in cui il mio corpo facesse un lieve movimento. Credo di aver smesso anche di inalare l'aria, incollato in quel sogno che per una volta mi sembra talmente reale da far male.

Non so se il tempo stia scorrendo ma io voglio restare nel mio paese delle meraviglie. Sono Alice e ho davanti il coniglio bianco che voglio raggiungere con tutto me stesso.

«Lo so, è strano ritrovarsi qui...» imbarazzata abbassa le palpebre. No, ti prego, continua a guardarmi. Adoro il modo in cui il legame che ho sentito la prima volta con lei sembra luccicare in quella misera stanza. Ingoio la saliva che ho in bocca con difficoltà. Non so davvero cosa fare. Ma forse in questo sogno che cerco da giorni ormai, potrei anche toccarla, parlarle. È stato difficile anche dormire in questi mesi e quindi ho avuto così poche occasioni di ritrovarmi come adesso con la sua pelle rosata davanti a me. È così deliziosa, irresistibile. Chiudo gli occhi, anche in questo mondo onirico le emozioni mi tormentano l'anima quando anche il suo dolce profumo sembra solleticarmi i sensi.

«Aleksander, ti prego...» apro di colpo gli occhi alla sua voce supplicante. La vedo muovere un passo verso di me. «Ti prego...» Ancora uno e poi come un moto irrefrenabile il suo corpo è stretto al mio. «Ti prego...» bisbiglia ancora nel mio abbraccio.

«No, ti prego io, non svanire.» È così calda, morbida, vera. Il suo respiro solletica il mio collo e io sospiro sconvolto da quanto è tutto reale. Il desiderio di guardarla ancora mi da la forza di allontanarla leggermente per rivedere il suo dolce viso e i suoi occhi lucidi, sono così trasparenti, come i vetri che si trovano in mare sotto i raggi del sole.

Irrefrenabile il desiderio di stringere quel volto fra i palmi mi fa compiere quel gesto in automatico. Accarezzo le sue guance e lei sembra sciogliersi sotto le mie dita. È così vera. «Sei il sogno più realistico che io abbia mai fatto. Sei così bella Ana e quello che abbiamo vissuto è talmente lontano nel tempo che mi sembra un ricordo talmente fragile...» ora è la mia voce a tremare. «che ho paura di perderlo per sempre.» Le sue labbra si stendono in un dolce sorriso e l'azzurro dei suoi occhi diventa velluto caldo.

Torna a stringersi al mio corpo e mille brividi mi investono quando le sue labbra sfiorano la base del mio collo, proprio lo spazio lasciato libero dalla camicia e dalla giacca, proprio quel punto che sembra ora il centro del mio essere. Un lieve suono di piacere e dolore esce dalle mie labbra. È come una lenta tortura che ti consuma fino a renderti folle. «Se solo...»

«Se solo fosse vero, amore mio...» Sento le sue braccia circondarmi la vita e le sue piccole mani stringere la camicia sotto la giacca sulla mia schiena. «Anche a me sembra tutto un sogno.» La mia mano destra le sorregge la guancia dolcemente mentre la sinistra scivola ad accarezzarle le spalle e poi più giù per stringerla meglio, eliminando anche il lieve spazio fra noi.

«Pensi che possiamo restare per sempre qui, non mi sembra male.» La sua risata riempie lo spazio e io colpito sollevo il capo che avevo appoggiato al suo. «Credo di non averti mai sentito ridere.» Sono davvero stupito. «Conosco ogni forma del tuo sorriso, ogni leggera increspatura delle tue labbra ma non ne ho mai sentito il suono ed è un peccato, perché è la musica più incantevole che io abbia mai sentito.» Sincero le mostro il mio stupore per quel semplice gesto. «Allora è vero. Sei davvero qui.»

«Sì, amore mio.» Il suo volto è proteso verso il mio e io non me ne capacito.

«Ma come?» Scuoto la testa portandomi la mano che le teneva il viso ai capelli. «No, è che ieri ho parlato di te e poi ti ho pensata così intensamente che ora sono a un passo dalla follia.» Mi allontano allungando le mani in avanti come a tenere lontano non lei ma le fantasie della mia mente stanca.

«Aleksander, io sono qui.» Fa un passo verso di me intenzionata a riprendere il suo posto sul mio petto.

«No, ferma. Ti prego, io ne soffro troppo, lasciami andare.» Mi volto verso la finestra e chiudo gli occhi cercando di svegliarmi. Questa volta é talmente asfissiante il bisogno che potrei davvero impazzire.

«Aleksander...» È ancora più vicina.

«Ti prego, lasciami andare. Lei non è qui, non è possibile.» Mi porto entrambe le mani a spingere sui miei poveri occhi che non vogliono vedere. Non vogliono più vedere, perché la realtà senza lei è sempre così grigia.

Piomba il silenzio nella stanza e mi convinco di aver vinto, di aver sconfitto le immagini perverse del mio inconscio. Libero gli occhi e porto le mani ai fianchi pronto a girarmi e a uscire da questo luogo e da questo palazzo. Ho bisogno di qualcosa di forte. Di molto forte.

«L'hai voluto tu.» Spalanco la bocca sorpreso a quelle parole e al suono di stizza che precede le sue mani che afferrano le mie braccia e un fastidioso dolore al lobo destro.

«Ahi!» esclamo girandomi di scatto.

«Ecco, ora mi credi stupi...» Non le do il tempo di finire che le mie labbra sono sulle sue e le mie mani la stringono a me con possesso. Le stringo la nuca e le cingo la vita, unendo i nostri petti che si alzano e abbassano in contemporanea.

Le sue labbra sono morbide come le ricordavo e un fastidioso lucidalabbra mi impedisce di sentirne il vero sapore che ho tanto adorato. «Non mi piace il tuo rossetto. Non metterlo più.» Le sue labbra si aprono stupite ma prima che il luccichio nelle pupille possa farle dire qualunque cosa, la sto baciando ancora e questa volta sul serio.

Unisco le bocche e cerco la sua lingua con la mia, desideroso di farle capire quanto mi è mancata e quanto la desideri. Un gemito vibra tra noi e non so a chi dei due è sfuggito perché la sua risposta sensuale al mio assalto mi manda fuori di testa. Le sue dita giocano con i miei capelli sulla nuca e il suo corpo danza con il mio al suono dei nostri ansimi.

La sospingo indietro fino alla parete poco distante, al contatto con il muro freddo lei si innarca verso di me facendo strusciare le nostre parti intimi e un fremito accende la fiamma rimasta sopita in questi lunghi e freddi mesi.

Assalto nuovamente la sua bocca con sempre maggior ardore e scendo con la mano ad accarezzarle il fianco fino a stringere la sua natica con soddisfazione fra le mie mani, avvicinandola sempre più al mio fuoco.

I suoi denti stringono il mio labbro inferiore con ardore. «Anastasya!» sono ormai fuori di testa e dalle labbra vado qqverso il collo che lecco, mordo e succhio fino a marchiarla. Ammiro la mezzaluna vicino al suo orecchio sinistro come Picasso poteva fare con un suo quadro, con un mezzo sorriso pieno di soddisfazione.

Lei capovolge la situazione e ora sono io spalle a muro mentre lei spalmandosi su di me apre i primi bottoni della mia camicia, dopo aver allentato la cravatta, e con il mio stesso ardore ricambia il mio gesto impulsivo, facendomi ansimare con il capo rilassato all'indietro. Felice che lei senta il mio stesso desiderio di segnarmi come suo le afferro il sedere spingendola verso la mia erezione ormai dolente. I suoni che fuoriescono dalla sua bocca sono deliziose armonie e io tornando a sorridere le stringo il volto per guardare i suoi occhi languidi e le sue guance ormai porpora.

«Sei così dannatamente bella.» Con un suono che sembra un ruggito mi riapproprio della sua bocca ritrovando il paradiso.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora