Capitolo 46

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Aleksander

Affondo la mano destra fra i suoi capelli, cercando di dare un ritmo a quel bacio che mi sta togliendo il fiato. Cazzo, la desidero più della mia stessa vita. Lei si agita al mio fianco facendomi impazzire con le sue carezze volute e non volute. Riesce a farmi dimenticare di dover fare attenzione. Ha dei lividi ed è dolorante ma quando il suo bacino spinge sul mio fianco e la sua gamba sulle mie cosce e anche più su, mi viene difficile da ricordare. Le stringo la coscia gemendo per la sua pressione. Mi sta facendo impazzire.

«Ana... Ana dobbiamo fermarci.» La supplico prima di dimenticare veramente dove siamo e unire finalmente i nostri corpi. Al solo pensiero sento un brivido. Potrei venire anche così. Gemo disperato quando i suoi denti stringono il mio labbro.

«Cazzo.» La rovescio sulla schiena e i suoi occhi pieni di lussuria sono un colpo basso per il mio già sottile controllo. Resto sospeso a guardarla: ha i capelli arruffati, il respiro accelerato alza e abbassa il suo petto freneticamente e io devo chiudere gli occhi un momento. Cerco di ritrovare l'autocontrollo ma quando mi sento spingere nuovamente verso di lei, che si accarezza le labbra con la lingua, sento il mio desiderio esplodere dolorosamente.

«Cazzo, Ana, aiutami io sto per perdere il controllo.» La supplico.

«Io l'ho già perso.» Mi sorride sulle labbra.

Come faccio a lasciarla andare. Mi viene da urlare all'idea di quello che sarà domani.

«Come vorrei avere quel superpotere.» Le ricordo quello che ci siamo detti qualche sera fa.

«E io vorrei che tu ce lo avessi.» Mi accarezza il capo. «Vieni con me.» Mi supplica. «Vieni con noi. Fuggi anche tu. Ci rifaremo una vita insieme. Nuova, solo nostra.» Sorrido amaramente.

«Lo farei, non sai quante volte ci ho pensato, ma non posso. Non potrei più tornare in Russia e la c'è la mia vita.» La vedo incupirsi, pensa di non essere abbastanza importante da farmi cambiare idea.

«Capisco.» Si allontana.

«No, non capisci. Intendo il mio lavoro, quello che ho costruito. Dovrei abbandonare la mia essenza e non ti piacerei più.» Non posso gettare al vento quello che ho costruito, me ne pentirei, perché non è una soluzione. «Sarei un ricercato e non è la vita che voglio darti.»

«Ma saresti vivo e non ci dovremmo lasciare ora.» Capisco le sue motivazioni.

«Non sarebbe una soluzione e non perché tu non ne vali la pena, perché la vali, ma perché ci impedirebbe di essere felici.» Ne sono convinto.

Restiamo in silenzio, torno a stendermi e lei poggia nuovamente il capo sul mio petto. La stringo a me fino ad addormentarci. Purtroppo non si possono fermare gli eventi.

La mattina arriva troppo presto. Mi sveglio per primo e guardo incredulo la donna che ho accanto. Mi sembra di aver vissuto con lei mesi interi, così pieni e intensi da far invidia a chi davvero ha tempo da poter vivere con la persone che il destino ha scelto per lei ma non lo fa per remore inventate. Io qui ho imparato a non perdere tempo, perché non sempre ne abbiamo. Ora, io sono certo che sia lei la mia metà ma, purtroppo, non so se avrò mai modo di sapere come sarebbe stato viverla giorno dopo giorno, finché morte non ci separi.

Il lieve respiro che mi solletica il collo cerca di alleviare il mio umore malinconico. È stato bello, cazzo, se lo è stato. «Mi ricorderò per sempre di te. Di ogni tua sfumatura, di ogni dettaglio che ti ha resa così speciale per me.» Bisbiglio piano alla donna addormentata che tengo fra le braccia. Mi godo quegli ultimi momenti prima della sveglia che ci farà rivivere un finto giorno normale prima della loro partenza. Dopo gli eventi di ieri sera il comandante si è raccomandato di accompagnare oggi le ragazze fuori da qui. Ieri erano solo sette ma se fossero stati di più, e potrebbero esserlo, non ci sarebbe stato scampo per loro.

Un ultimo bacio nei capelli prima di svegliare Anastasya. Inspiro il suo profumo e le bisbiglio il buongiorno nell'orecchio. Cerco di non pensare alla pesantezza che sento dentro.

«Hmmm...» la sua risposta mi fa sorridere e tornare a posare le mie labbra su di lei.

«Forza, è già tardi, dormigliona.» La prendo in giro, ma lei non fa neanche caso a me e mi sembra particolarmente felice di stare su di me.

«Hmmm...» ripete soddisfatta posizionandosi meglio ma il movimento la fa gemere ed era un lamento di dolore.

«Come stai?» Le accarezzo una spalla preoccupato.

«Come se un treno mi fosse passato sopra.» Stringe gli occhi. «Credo non ci sia punto che non mi faccia male.» La rabbia mi ribolle dentro ma un bacio di Ana la fa riassopire.

«Non puoi prenderti qualcosa. Un analgesico.» Alza gli occhi nei miei.

«Non abbiamo abbastanza pillole per poterle usare per stupidaggini.» Corrugo le sopracciglia.

«Pensavo fosse chiaro che se stai male non puoi curare chi ne ha bisogno con tranquillità.» Le bacio ancora la fronte, non resisto a starle lontano. Il suo sorriso mi fa capitolare e alla fine dopo un leggero bacio da parte sua che avrebbe dovuto calmarmi iniziamo quella giornata che invece sembra volare via. Come se le ore divenissero minuti. Anastasya è nervosa e così anche Hanna e Irina ma per quest'ultima penso sia più dovuto al timore del viaggio che al nostro distacco. Ma la capisco, presto rivedrà la sua famiglia.

Sarà un viaggio lungo circa quattro ore, trecentodieci chilometri, e noi le accompagneremo per la metà. Giusto il tragitto di superare i luoghi di scontro. Ho studiato il percorso alla perfezione, ogni pericolo, posto di blocco, guerriglia, tutto è scritto sulle carte che stringo in mano dove la via indicata in rosso è quella che le porterà sane e salve alla meta.

Mentre loro sono impegnate all'ospedale, Dimitri è in giro con la ronda diurna e Vasilii si occupa di controllare la situazione al campo. Io faccio benzina alla loro auto. Carico nel portabagagli l'acqua e qualcosa da mangiare. Nel cruscotto poso i loro cellulari, sono tentato di lasciarle un bigliettino con il mio indirizzo russo ma desisto dal farlo, nonostante faccia male e meglio per tutti se la chiudiamo qua.

Non ho dubbi sul fatto che io la penserò ogni momento, ogni attimo della mia giornata e della nottata... sospiro, perché il peso che ho nel petto mi opprime.

Vasilii avanza verso di me, che sto tornando nella mia tenda.

«È tutto pronto?» Camminiamo insieme in quel tramonto dai colori spenti.

«Sì. Quando andremo?» Lo vedo alzare il braccio per guardare l'orologio.

«Tra un'ora le riporterò in tenda.» Annuisco perché non ho più voglia di parlare. Sento solo il mio respiro diventare sempre più pesante. I polmoni sembrano non avere più spazio.

«Ieri sei stato incredibile se non fosse stato per te...»

«Ti prego Vasilii, non voglio parlarne.» Stringo i pugni nelle tasche, lei sta per andare via.

«Okay.» Sembra arrendersi ma poi continua a parlare. «Volevo anche dirti che... che non ho potuto fare a meno di innamorarmi di lei.» Non lo guardo, anche se lo capisco, lui per me rappresenta quello che lei presto incontrerà e che le farà dimenticare il soldato russo. «Lei è così... ma ho capito subito di non avere chance, il suo pensiero è sempre su di te. E ora che vi ho visti insieme capisco che è ricambiata in pieno e volevo dirti che nonostante tutto sono felice che sia tu a piacerle perché sono certo che non la prenderai in giro.» Mi sembra un discorso assurdo.

«Non esisterà un futuro per noi, Vasilii.» Dopo essere rimasto in silenzio alla fine non riesco a resistere e faccio questa sofferta precisazione. Lui si ferma e allora lo faccio anche io. «Lei andrà via e io resterò bloccato qui ancora chissà quanto.» Guardo le punte nere dei miei stivali.

«Questo è vero ma sono certo che lei ti aspetterà.» Alzo gli occhi nei suoi.

«Non sarebbe giusto.» Scuoto la testa mentre mi torturo dentro. «Potrei non tornare mai.» Riprendo il cammino verso quegli ultimi istanti di noi.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora