Capitolo 19

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Anastasya

Alla fine mi sono appisolata per poi essere subito risvegliata da Irina. Ha messo la sveglia che ci hanno gentilmente offerto, non posso che essere sarcastica. Abbiamo i turni come in carcere e non posso che ripetermi ancora che è tutta colpa mia. Sospiro prima di tirarmi su per affrontare questo primo giorno. So già cosa mi aspetterà e devo fare in modo di evitare a mia sorella la sofferenza a cui assisteremo. Vorrei trovarle qualcosa da fare che le permetta di non vedere le condizioni con cui gli uomini arriveranno per le cure.

Mentre io rifletto sulla giornata le mie compagne di tenda hanno i loro motivi per lamentarsi. Ad Hanna manca il suo cellulare e a Irina il suo, perché così non potrà più chiamare Andrew. Io le ascolto distrattamente mentre finiamo di vestirci. Indossiamo la loro uniforme per evitare di dare troppo nell'occhio e per quanto siano di una taglia piccola ci stanno comunque enormi. I pantaloni e la giacca mimetica sono di diverse tonalità di verde. Mentre spingo i bottoni nelle asole mi sento di tradire il mio paese. La tristezza è immensa per questa realtà in cui il noi è scomparso ormai esiste il mio e il tuo con risentimento e paura.

«Come potrò lavorare con queste maniche giganti.» Irina cerca di girare le maniche troppo grandi

«E io non posso neanche camminare, sono troppo lunghi.» Hanna si tira su con un piede alzato e mostra il pantalone adagiarsi a terra. Con un mezzo sorriso mi armo di buona volontà e cerco di trovare una buona soluzione a entrambe.

Aiuto Irina con le maniche. «Pensi che andrà bene?» impaurita mi domanda.

«Ne sono certa, dovrete seguire quello che vi dirò. Okay?» Guardo le mie dita mentre cerco di mantenere un tono sicuro, che possa tranquillizzarla.

«Comunque, so che ti senti in colpa per il fatto che ora siamo qui.» Mi porta una ciocca dietro l'orecchio destro e anche se non la guardo la sto ascoltando con attenzione. «Ma sappi che non è così. Niente è più in nostro potere ormai.» Continua dolce.

«Sì, ma avrei potuto evitare questo.» Parlo piano, non voglio farmi sentire da Hanna.

«Non potevi far nulla. Okay?» mi alza il mento per guardarmi in viso. «Le cose vanno come devono andare e nemmeno tu che hai sempre controllato tutto, puoi tenere sotto controllo questi eventi.» Storcio la bocca poco convinta. «E poi dopo questa nottata e dopo aver ascoltato il comandante, Dimitri, Vasilii e Aleksander comincio a credere che con la loro protezione riusciremo davvero ad andare dai miei, senza pericolo. Mi fido di Aleksander.»

«Sì.» Come se avesse capito che stiamo parlando di lui, la sua voce profonda mi fa tremare le mani. Mi blocco un attimo giusto il tempo di riprendere il controllo e sotto il sorriso di gratitudine della mia amica finisco.

«È Aleksander...» La voce squillante di mia sorella mi infastidisce.

«Hanna! Vuoi che ti senta?» porto l'indice alle labbra. «Non capisco il tuo entusiasmo.» Fin dal primo momento lo ha trattato come un amico, fatto molto strano per lei, che è sempre stata molto diffidente.

«È molto gentile, okay.» Risponde con il suo solito tono scocciato.

«Non lo conosciamo, dobbiamo mantenere le distanze.» Cerco di farla ragionare, non voglio che si lasci coinvolgere troppo.

«Buongiorno.» Un altro brivido a quel saluto rivolto alla mia amica.

«Mi fido di lui.» Risoluta chiude il discorso e io decido di tacere, non è il momento di discutere e poi qualunque cosa le direi dovrei prima convincere me stessa. Cosa avrà mai di così particolare questo uomo da aver suscitato in tutte noi la stessa fiducia nei suoi confronti.

«Ecco fatto.» Ho sistemato anche i suoi pantaloni, alzo le braccia per tirare su i miei capelli per la solita coda alta, mentre mi avvicino a Hanna seduta sul letto. «Girati che ti faccio una treccia.»

Irina lo invita a entrare e posare qualcosa dentro e dall'aroma di dolci capisco che ci ha portato la colazione. Fisso i capelli di mia sorella come se stessi facendo un intervento a cuore aperto, non sono pronta a guardarlo in viso, a incontrare i suoi occhi. Mi sento a disagio per il nostro piccolo incontro di ieri notte e allora provo a evitarlo, ma dal formicolio alla nuca sono certa che lui invece mi stia guardando.

Entusiasta mia sorella lo saluta e lui la ricambia con molta gentilezza e attenzione, quando la sento ringraziarlo per le stampelle la voce di Hanna è davvero felice. Lui è riuscito a risvegliare in lei quel qualcosa che si era spento al suo risveglio in ospedale e che fino a ieri non avevo più visto.

Seguo i due fino al bagno, al mio fianco Irina si guarda intorno commentando le file di tende che attraversiamo, io, invece, guardo dritta davanti a me qualcosa di molto interessante: le spalle di Aleksander. Il suo braccio sostiene Hanna che lo guarda sorridente per qualcosa che lui le ha detto.
I capelli corti brillano al pallido sole del mattino e il suo sorriso è così sincero da invogliare anche me a sorridergli. Non posso non notare le attenzioni per mia sorella, avrà capito come lei ne abbia bisogno? Avrà capito quanto io ne ho bisogno?

«Siamo arrivate finalmente, devo proprio andare in bagno.» Irina accelera e io la seguo per evitare un possibile contatto. Una volta dentro nonostante l'acqua sia talmente gelida da far male alle dita, mi sembra bollente a contatto con le mie guance. Finisco velocemente il bagno e il resto, non mi piace stare in quel posto mi sento troppo esposta.

«Andiamo ragazze. Il tempo è scaduto.» Fortunatamente mi danno retta e in poco tempo siamo già fuori, sono pronta a continuare la mia sceneggiata quando con immensa delusione mi accorgo che ad attenderci non c'è più lui ma Dimitri.

«Salve ragazze.» Ci saluta sorridendo.

«Buongiorno Dimitri.» Rispondiamo a turno.

«Se siete pronte andiamo.» Porge il braccio a Hanna che lo accetta ma non con lo stesso entusiasmo che riserva al biondo. Dimitri è altrettanto gentile e disponibile ma gli manca quel qualcosa... quel qualcosa che è bene dimenticare.

«Okay, seguitemi. Io vi accompagnerò fino all'ospedale, è comunque così che lo chiamiamo, ma poi dovrò andare, ho il turno di giorno.» Ci hanno spiegato ieri questo discorso dei turni in battaglia e provo la nausea a sapere che presto Dimitri dovrà andare a combattere contro la mia gente.

«Perché lo fai?» Mi fermo a porre lui questa domanda. Io non capisco.

Lo vedo fermarsi e lentamente girarsi verso di me. Continua a sorreggere mia sorella che per uomo grande come lui è quasi una bambina. «Tu vuoi sapere perché?»

«Si vorrei?» chiedo con coraggio.

Il suo triste sorriso è già una risposta che non sono brava a leggere. «Perché niente è facile mia piccola Anstasya.» Non distolgo lo sguardo da lui. «Non tutti hanno possibilità di scelta. E allora ho scelto la vita o almeno lo spero.» Non so perché ma mi giro alla sua destra e gli occhi si posano su di una sagoma molto familiare. Sta camminando fra due ragazzi. Ha l'aria stanca e distratta e proprio quando sto per perderlo di vista si volta verso di me. Le persone sembrano scomparire.

«Perché questa non è vita.» Non posso che vedere la realtà delle sue parole sul volto di Aleksander. Se è speciale così, cosa avrei provato a incontrarlo un giorno per caso?

«Siamo uomini mandati al macello, a nessuno che ci comanda importa se mai torneremo. Ma a me importa di tornare.» La voce di Dimitri è così piena di sentimento, di dolore fin troppo simile al mio. «Di tornare dalla mia famiglia.» E tu Aleksander hai da chi tornare? Io no, non ho più nessuno.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora