Alksander
Vedo da lontano quegli occhi grandi che ho desiderato incontrare tutta la mattina farmi domande di cui non conosco le risposte. Mi sembra di sentirmi rinascere ogni volta che lei mi guarda così. Come se vedesse in me qualcosa che mi è sconosciuto. Mai nessuna mi ha fatto sentire così. Vorrei attraversare la strada per capire cosa si stanno dicendo. Vedo Dimitri parlare e lei restare lì ad ascoltarlo incapace di distogliere lo sguardo dal mio. Si morde il labbro inferiore, lo vedo da qua, e sono certo lo stia facendo per non farlo tremare. Mi sono subito accorto di come nasconde i suoi sentimenti, davanti sua sorella e Irina si mostra sicura, quasi tranquilla ma stanotte ho percepito tutta la sua paura che ora fa parte anche di me.
Purtroppo la riunione sta per iniziare e vengo richiamato perché mi stanno aspettando. Un'ultima occhiata e entro in quella tenda che ogni giorno mi sembra più scura. Alcune sedia sono posizionate una accanto all'altra in file da tre. Al centro un monitor con la mappa dell'Ucraina già in proiezione, in realtà potrei non guardarla e ormai impressa nella mia mente. Il colonnello generale sta parlando via radio con il maggiore che guida le truppe fuori in questo momento e con Vasilii, che mi fa un cenno con un mezzo sorriso prima di riportare l'attenzione allo scambio via radio.
Mi guardo intorno e scambio due chiacchere con un tenente nell'attesa di iniziare l'incontro. Mi racconta della difficile nottata.
«Hanno creato dei fortini lungo le strade, ci sono civili armati un vero incubo.» È molto provato ha gli occhi rossi di uno che non dorme da giorni.
Poi tutto inizia, è non c'è nessuna bella notizia per noi. Stiamo avanzando via mare, via terra e via aerea, abbiamo già raggiunto le maggiori città. La nostra pressione continua su tre fronti a nord verso la capitale, a est verso Kharkiv, a sud sia verso la città portuale di Odessa che verso Dnipro, sia verso il Donbass. Osservo quel grafico che ci viene mostrato mentre sono obbligato a prendere nota degli aggiornamenti che mi chiedono. L'aria è pesante, la stanchezza già palpabile. Vorremmo tutti o quasi essere da qualche altra parte. In fondo i ruoli più tecnici sono svolti da civili obbligati a partecipare a questo disastro.
«Colpiremo anche le centrali nucleari se fosse necessario, o almeno dovranno credere che saremmo in grado e in voglia di farlo.» Continua serio il colonnello.
«Ma è come se ci suicidassimo.» Qualcuno esprime il mio pensiero.
«Sì.» Non aggiunge altro l'uomo con i capelli bianchi che ieri si rivolgeva alle ragazze come un padre.
«Anche stanotte abbiamo riportato molte perdite e di feriti cinquanta persone, come potremo resistere in queste condizioni?» chiede qualcun altro.
«Ora abbiamo altro aiuto sanitario e per il resto è stata richiesta la collaborazione di mercenari che arriveranno da diverse nazioni come la Macedonia.» Con riluttanza veniamo a conoscenza di quest'altra orribile mossa. Per l'ordine e il comportamento già la situazione era drammatica così, ma avere ora questo tipo di aiuto ci renderà ancora più dei mostri. Mi sento accapponare la pelle all'idea di quello che faranno. Sono uomini senza onore ne patria. Un pericolo. Mi gratto il capo in cerca si un attimo di pausa, è un incubo che peggiora giorno dopo giorno. Il colonnello riprende a proiettare le prossime mosse e io lotto con me stesso per evitare di spingere quella sedia e andare via.
«La conquista della capitale è lenta: dalla Bielorussia abbiamo conquistato Chernobyl e, costeggiando il fiume Dnepr...» Lo vedo segnare i posti con il Laser rosso. «Siamo arrivati alle periferie di Kiev. L'accerchiamento della capitale si è esteso sui dintorni, ma abbiamo incontrato grande resistenza da parte dei locali oltre che dall'esercito ucraino. In giornata proveremo a distruggere l'aeroporto di Hostomel, ma abbiamo problemi di benzina e attendiamo l'arrivo dei rifornimenti.» La riunione continua ancora per ore. Abbiamo consumato un pasto veloce e solo a sera siamo liberi di rientrare nelle nostre tende.
Per tutto il giorno sono stato così impegnato che non ho avuto molto tempo per pensare a Anastasya o alle altre ma ora è il primo posto in cui mi reco. Hanno portato diversi feriti avevano detto e infatti mi accoglie l'inferno.
Urla, dolore, tanfo di morte. Vorrei aiutare anche io, noto subito in difficoltà Viktor ma per prima cosa il mio pensiero va alla ragazzina. Devo portare via da lì Hanna, il prima possibile. Ha già visto troppo.
La cerco in quella confusione. Irina sta dando delle pillole a vari ragazzi posti in piedi su di un lato. Non sembrano avere nulla di grave forse per questo sono stati gli ultimi ad essere curati. La ringraziano mestamente e chi zoppicando, chi con varie escoriazioni e fasciature va via da quel supplizio. I lamenti si sommano fra loro riproducendo un suono strappanima. Avanzo, salutando qualcuno e pregando per qualcun altro. L'infermiere sta ingessando un uomo con la barba bianca sporca di sangue e un altro con i capelli biondi a spazzola e a fianco che si tiene il braccio. Starà aspettando il suo turno.
«Ho sete! Aiutatemi! Ho sete!» Mi fermo per aiutare un soldato con una benda sugli occhi a bere un po' d'acqua.
«Ecco, tranquillo.» Mentre che gli sorreggo la testa e lui poggia le labbra sul bicchiere, vedo Anastasya uscire dal separé. Ha il viso sporco di sangue, i capelli arruffati e l'aria stravolta. La vedo togliersi i guanti imbrattati e portarsi entrambe le mani al capo prima di alzare gli occhi e incrociare i miei. L'espressione di dolore viene sostituita in fretta da una maschera di freddezza. Aiuto il soldato a stendersi e avanzo in fretta verso di lei che sta già indossando dei nuovi guanti di lattice.
«Anastasya...» La vedo girarsi e fare finta di non vedermi. «Ehi, Anastasya.» Le afferro un braccio tirandola verso di me, stava per andare via.
«Scusa, ho da fare.» Non capisco tanta freddezza, ma oggi si è da subito comportata in maniera strana.
«Come stai?» Lei fa un sorriso amaro.
«Come pensi che stia?» mi fissa un attimo e io non so che dire. Lascio la presa e metto le mani in tasca.
«Lascia stare.» Mi sembra rimanerci male. «Non trovo Hanna, vorrei portarla via.» Una luce di sorpresa illumina i suoi occhi, resta a staccarmi l'anima prima di fare un sospiro.
«L'ho costretta a tagliare garze e a preparare siringhe. In quell'angolo laggiù.» La vedo indicare una zona in disparte meno illuminata.
«Okay, vado allora.» Vorrei portare anche lei via, ma non posso. Vorrei farle almeno una carezza, ma non avrebbe senso. Vorrei almeno sapere di averla aiutata, ma la sua espressione è ancora impassibile. La oltrepasso per raggiungere sua sorella.
«Aleksander...» Mi giro al suo richiamo, la voce leggermente incrinata mi dice quello che il suo volto ha imparato a celare. Sfugge al mio sguardo. «Grazie.» Bisbiglia mordendosi subito dopo un labbro come se le fosse costato dirlo. E poi mi ricompensa con le sue iridi azzurre luccicanti di lacrime che incrociano i miei occhi.
«Non è niente. Io ho solo pensato.. .» Riesco a dire anche se incantato dalla trasparenza del suo sguardo.
«Grazie.» Torna a dire prima di voltarsi e tornare dietro il separé. Io resisto all'impulso di seguirla e dopo aver ripreso il controllo del mio respiro mi volto per raggiungere velocemente la piccola Hanna.
«Hanna!» La chiamo quando ormai sono vicino. La sua testa scatta verso la mia voce. Le sorrido e lei senza perdere tempo zoppicando mi viene incontro in cerca di conforto. La stringo fra le mie braccia. «Shhh...» Le sussurro all'orecchio per placare il suo pianto e lei si stringe, spingendo il suo viso nel mio petto. Le accarezzo i capelli e quando capisco che è più calma la sollevo per le gambe e la porto via da quell'inferno.
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Con la Forza di un Carro Armato
RomanceAnastasya è una laureanda in medicina piena di sogni e di speranze. Ha appena finito la sua prima settimana all'ospedale di Kiev, la sua città ed è pronta a festeggiare con la sua famiglia il contratto a tempo indeterminato. Per realizzare il suo so...