Capitolo 61

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Anastasya

Batto le ciglia senza riuscire a richiudere la bocca. Sono certa di sembrare impazzita agli occhi di Roberto, mi sta osservando stranito dalla mia folle reazione: prima correvo verso l'auto per tornare a casa e ora me ne sto ferma, in mezzo alla strada con il telefono ancora appoggiato all'orecchio, anche se mia sorella ha già chiuso da un po'. Non sono certa neanche di respirare mentre l'eco delle parole di Hanna mi riempie la testa.

Come si reagisce a una notizia del genere? Si sarà sbagliata. Che follia è mai questa. Perché Aleksander dovrebbe essere a Roma. E poi perché Hanna ne dovrebbe essere al corrente. Mia sorella si è inventata tutto per rovinarmi la serata, ne sono certa.

«Sì, è così.» Rimetto il telefono in borsa ormai certa che sia un modo per allontanarmi da Roberto, se solo avesse chiamato prima mi sarei risparmiata la figura che ho fatto con lui. Le parole vorticano nella mia testa sconnesse tra il riassunto della serata e quell'allusione ad Aleksander. Che follia, lui a Roma. Ma quando mai. E poi che ne sa lei. Lo ha fatto per Roberto che è pure un caro ragazzo se solo volesse capirlo. Se solo mi piacesse.

«Anastasya...» Quella stronza. «Anastasya, tutto bene?» mi sento toccare il braccio da un gesto incerto.

«Hmmm» Sbatto le ciglia confusa.

«Ti chiedevo se stai bene, non capisco cosa è accaduto.» Si è avvicinato e mi sospinge verso il marciapiede, mentre mi guarda in cerca di una risposta.

«Oh, scusa. No tutto bene. Mia sorella ha detto che è qui... ah che assurdità. Non è possibile.» Le sue sopracciglia si uniscono. «Ah, tutto bene. Mi ha fatto uno scherzo e mi sono preoccupata. Sì, è così. Andiamo.» Quella stronzetta la picchierò non appena tornata a casa.

«Sei sicura?» Non sono stata molto convincente. Mi accarezza una guancia e mi osserva con attenzione per capire se ho qualcosa che non va. Come può essere così gentile anche se l'ho rifiutato e se ora mi sto comportando come una pazza. È davvero un bravo ragazzo. «Vuoi sederti?»

Sedermi? No, voglio andare da quella piccola... «No, potresti accompagnarmi a casa?» Stringe le labbra prima di acconsentire.

«Certo, andiamo.» In auto non diciamo niente, io troppo persa nei mie pensieri, lui forse rattristato per il finale della serata.

Quando finalmente riconosco la strada di casa faccio un sospiro che camuffo con un colpo di tosse. Lui accosta e spegne il motore. Imbarazzata non so che fare ma alla fine decido che è giusto dargli la possibilità di chiarirci.

«Mi spiace che siamo dovuti rientrare di corsa.» Annuisco portandomi i capelli dietro l'orecchio con la mano destra. Ancora silenzio e i suoi occhi che cercano i miei con speranza. «Lo farò davvero Anastasya, aspetterò che sarai pronta.» Le sue dita afferrano le mie che tenevano la borsa sulle mie gambe. Quel contatto mi fa drizzare la schiena e seccare la gola. Come si rifiuta per la seconda volta una persona senza essere troppo crudele. «Per tutto il tempo che ti occorre.»

«Sei così caro Roberto, ma non credo sia il caso. Io, purtroppo, ho qualcosa da chiarire che richiederà molto tempo.» Sussurro dispiaciuta. «Non posso pretendere da te questa attesa ma ti voglio ringraziare, è stato bello passare del tempo con te e non mi pento di averlo fatto se non di averti illuso.» I suoi occhi fissano le nostre dita intrecciate che per me non hanno significato, non sento nessun calore in quel gesto.

«Okay, sei stata chiara.» Scioglie la stretta e si porta le mano ora libera ai capelli. «Non sono pentito di niente. Mi sei piaciuta subito e con queste uscite ho potuto apprezzare anche come sei oltre che la tua bellezza esteriore.» Sorrido a quelle parole gentili. «Non ti dimenticherò facilmente ma vorrei comunque che continuiamo a vederci, magari con gli altri se sei disposta.»

«Ma certo, con piacere.» Le sue labbra mi mostrano un triste sorriso. Gli accarezzo una guancia per poi deporvi un bacio lieve. «Buonanotte.»

«Buonanotte.» Scendo velocemente e quando mi chiudo il portone dietro le spalle posso rilassarmi finalmente, anzi no, la telefonata di Hanna mi fa correre fino al nostro piano. Apro la porta e come una furia urlo il nome di mia sorella.

«Hanna!» getto la borsa sul divano vuoto, la televisione è accesa ma di mia sorella nessuna traccia e dire che l'appartamento è fatto da tre stanze. «Hanna, vieni subito qua.» La vedo spuntare dal bagno tranquillamente mentre si lava i denti. «Che cavolo di telefonata mi hai fatto?» sono furiosa.

«Certo che ce ne hai messo di tempo.» Bofonchia. Torna in bagno a sciacquarsi la bocca. «Ti avevo detto che era urgente.» Siamo pazzi davvero, perché è impossibile che lei mi stia rimproverando.

«Ma secondo te, dovevo correre per la storia che ti sei inventata. Ma sei impazzita!» gesticola camminando avanti e indietro. «Sai come ho trattato il povero Roberto...»

«Il povero Roberto...» mi scimmiotta lei sedendosi sul divano.

«Sì, Roberto.» Mi blocco mettendo le mani sui fianchi combattiva.

«Non parliamo di lui. Chi se ne frega di lui. Abbiamo altro di cui parlare di molto più importante.» Insiste.

«Sei davvero fuori.» Non capisco perché continua con la farsa, ora sono a casa.

«La smetti. Mi dovresti ringraziare per la scoperta che ho fatto.» I suoi occhi brillano entusiasti. La vedo correre in camera per poi tornare con il telefono in mano. «Siccome ti voglio bene e sapevo che non avresti fatto in tempo ad arrivare e che non mi avresti creduta, ecco per te il video che ho fatto al televisore.» Parla tutto d'un fiato mettendomi davanti lo schermo con l'immagine del nostro televisore. «Forza premi play.» Scuotendo la testa decido di darle retta così da farla finita, sono stanca e voglio andare a letto.

Visto che perdo tempo e lei che preme il tasto e la voce di un giornalista riempie la stanza sovrastano anche la tv ancora accesa, Hanna scatta in piedi in cerca del telecomando per spegnerla mentre io osservo quel video con crescente apprensione. Un'emozione nasce in me e questo mi fa paura: comincio a crederle.

Capisco che stanno parlando della missione spaziale, a quanto pare ci sono delle difficoltà e hanno scelto Roma per riunire le migliori menti che hanno lavorato a questo progetto. Un elenco infinito di nomi e cognomi i cui volti vengono mostrati dalla regia con zoom ben definiti. È una conferenza stampa, sono incollata a quel telefonino e quando un ultimo nome viene pronunciato il mio cuore perde un battito.

«Dalla Russia l'ingegnere Aleksander...» non sento altro quando un volto teso mi viene mostrata nel dettaglio. Hanna corre a bloccare l'immagine, la vedo tornare indietro e lasciare ai miei occhi assetati il volto dell'uomo che non ho mai dimenticato. Non ho nessuna foto di lui e rivedere quel viso dopo averlo immaginato per notti intere mi fa sentire priva di forze. Mi lascio cadere sul divano.

«Vedi che dicevo la verità?» Hanna saltella per la stanza festosa. «È lui. È lui, Anastasya. Aleksander è qui.»

I capelli sono leggermente più lunghi, le guance più incavate, ma gli occhi azzurri sono sempre limpidi come l'acqua, riesco a vedere bene la sua tensione, il sentirsi a disagio, vorrebbe andare via è palese. Accarezzo con lo sguardo ogni dettaglio: il pizzetto biondo e infine le labbra le sue splendide labbra leggermente aperte come se volesse dire qualcosa, forse interrompere quel supplizio per lui.

Il colletto della camicia bianca stringe il suo collo muscoloso. È davvero elegante, non lo avevo mai visto in abiti civili ed è da perdere la testa.

«Sapevo che così mi avresti creduta e ora che facciamo?» credo di non sentire più il mio cuore. «Ana...» alzo gli occhi verso mia sorella senza vederla davvero. «Ti ho detto che facciamo?» che facciamo? Giusto. Che facciamo? La guardo interrogativa.

«Io non lo so.» Mormoro con voce afflitta.

«Certo che lo sai. Andrai da lui e te lo riprenderai.» Mia sorella mi stringe in un forte abbraccio a cui io non riesco a partecipare.

Me lo riprendo. E se lui non mi volesse?

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora