Capitolo 32

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Aleksander

La situazione a Mariupol è peggiore di quella che mi aspettassi. Raggiungiamo il luogo prestabilito con Lukyan che ha una crisi di panico. È un giovane ragazzo circa ventiquattrenne e mi preoccupa molto. Lo tiro per il giubbotto antiproiettile facendolo sedere su una pila di scatole. Mi segue senza protestare ma continua a tremare oltre che bisbigliare cose senza senso. Faccio cenno a un militare poco distante di portarmi dell'acqua e quando il bicchiere arriva gliela lancio in faccia ottenendo la reazione voluta. Con il freddo è come se lo avessi colpito.

«Che cazzo!» Salta in aria rabbrividito e finalmente vigile.

«Puoi ben dirlo. Lukyan mi hai fatto venire un mezzo infarto. Ti ho praticamente trascinato fino a qui, sotto i cecchini nemici. Da quanto?»

«Cosa?» Mi osserva guardingo.

«Da quando hai attacchi di panico?» faccio finta di non aver capito che non vuole semplicemente rispondermi, se né vergogna è evidente.

«Da quando sono arrivato in questo posto di merda.» Colpisce un sasso con un calcio che rimbomba su di un secchio di metallo vuoto poco distante, non appena ci sbatte sopra. «Mi ritrovo a non capire più un cazzo.» Si porta le mani ai capelli mentre mi cammina davanti innervosito. «Ho una cazzo di ragazza incinta e invece di stare con lei sono qui a rischiare il culo. Rischio di non vedere mio figlio. Che cazzo!» Credo ne stia per avere un altro e tento di calmarlo.

«Pensa a questa cosa bella e cerca di concentrarti su cosa puoi controllare non su ciò che succede a prescindere da te.» Mi alzo e gli stringo le spalle con le mani. «Chiederemo se puoi prendere qualcosa al nostro rientro. Ora però concentriamoci a tornare a casa entrambi vivi.» Sembra convinto mentre mi annuisce e io lo lascio stare per prendere un po' d'acqua per me.

L'accampamento è molto scarno, niente a che vedere con quello a cui sono abituato che sembra un hotel a quattro stelle a confronto. Oggi piove e l'acqua ha inzuppato la mia tuta. Sento freddo, sono sporco e ho una fottuta paura in quei luoghi silenziosi che sembrano le scene di un film di guerra di basso livello. I nostri connazionali hanno gli occhi cerchiati di nero, talmente arrossati che sembra gli sia stato sparato dell'acido sulle pupille. Il responsabile della missione cerca di farsi spiegare cosa è stato deciso di fare ma il loro sergente è appena morto in uno scontro a fuoco lasciando in confusione il resto delle truppe. Non hanno tecnologie gli è stato distrutto tutto e se non fossimo arrivati noi... oggi molto probabilmente sarebbe stato il loro ultimo giorno su questa terra.

Ascolto il sergente chiamare il comandante e quando capisco cosa siamo venuti a fare devo trattenere la nausea che mi contorce lo stomaco.

Mi allontano un poco in cerca di aria. Porto le mani alla testa e mi viene da piangere. Guardo una vallata davanti a me e quando capisco che i sacchi in fondo a essa contengono corpi, rigetto lo schifo che ho mangiato. Mi asciugo la bocca quando mi libero completamente sto tremando sconvolto. Distolgo lo sguardo e me ne torno indietro cercando di mantenere il respiro regolare. Non sarò certo io ad avere un attacco di panico. Io so chi sono. Io so cosa voglio. Io so cosa mi aspetta al mio ritorno.

«Soldati, è una missione molto importante per il nostro paese. Non ci limiteremo a controllare ma siamo qui per combattere.» Ci guarda a turno alzando la voce. Cerca di spronarci ma è dura. «Salvatevi il culo facendo il vostro dovere. Dobbiamo conquistare questa città a costo della vita. A chiunque di voi che non tornerà stanotte dico: siete stati degli eroi. Vi festeggeranno come tali. Andiamo.» Batte le mani fra loro a farci coraggio. Qualcuno ridacchia pronto a seguirlo altri come me restano a guardare per terra in cerca di quella spiegazione che non avremo mai. Perché tutto questo. Mi ritrovo ad accarezzare quell'arma a stringerla come se fosse un tesoro.

Sarà una strage.
Sarà una pagina orribile della storia.
Sarà un altro pezzo della mia anima che si spegnerà.

Mi aiutano a posizionare le mie apparecchiature sotto una tenda. E mentre sistemo tutto mi viene comunicato che non si faranno differenze fra civili e soldati. Chiudo gli occhi in cerca del suo sorriso un'ultima volta prima di affrontare questa ennesima prova per me.

Sei diventata importante Anastasya.
Sei diventata la mia salvezza.
Sei quel qualcosa di bello che mi permette di dimenticare tutto questo schifo.

Stampo l'ultimo foglio e corro sull'elicottero che accompagnerà la mia missione stanotte. Mi sembra quasi come se non stessi vivendo io stesso tutto questo. Ho come l'impressione di guardare da fuori un uomo che fa il suo dovere con sguardo smarrito e l'aria confusa. Non è il mio mondo questo e quindi mi sento estraneo ai miei gesti. Alle parole che mi escono dalla bocca. Una nuova personalità fatta per questi luoghi, soffoca la mia natura, alimenta la parte primitiva che è in me.

Io vorrei solo tornare da te.

«Aleksander, dammi le indicazioni.» Il sergente aspetta i miei dati e io mi avvicino per comunicare le posizioni corrette. Traballiamo in volo e allora mi appoggio stringo al gancio che scende dal tetto vicino la mia testa.

«Sì, signore. Dobbiamo superare quel grattacielo...» E così ebbe inizio il mio momento più nero.

Bombardammo un teatro pieno di persone sotto le mie indicazioni e vederlo esplodere e poi bruciare fu come morire io stesso. Il rumore delle bombe che si staccavano dal velivolo le sentivo stridere nelle mie orecchie. Immaginavo la loro corsa verso l'obiettivo e il mio cuore si stringeva per il dolore. Nel mio cielo ero diventato complice di un massacro. Il luogo che mi aveva da sempre portato pace e gioia aveva contribuito a rendermi un mostro. Ordini e esplosioni ritmicamente si alternavano in quel viaggio. Immaginavo quelle povere persone stringersi fra di loro. Scambiarsi un ultimo abbraccio. Un ultimo bacio. Un ultimo sorriso al proprio figlio prima che tutto si spingnesse per sempre.

Resistevo, almeno fino a quando non giunse il peggio.

Tornati a terra avevamo altro da compiere.

«Aleksander, Lukyan avete due ore e mezza per bere quel caffè, mangiare questi panini e venire su quel camion dove io vi aspetterò.»

«Sì, signore.» Urliamo in coro afferrando i sacchetti che ci aveva lanciato.

«Io non ce la farò Aleksander lo so già.» Il ragazzo fissava il sacco fra le mani con sguardo perso.

«Sì, che ce la farai.» Gli colpisco la spalla. «Ce la farai alla grande e stasera mi racconterai della tua ragazza.» Aspetto un suo assenso e poi insieme raggiungiamo gli altri. Era tempo di andare, uno scontro armato ci attendeva quella notte.
Ascoltai gli ennesimi ordini e avvertimenti con la testa piena di pensieri. Cercai di ricordare tutto quello che dovevo fare per sopravvivere e quando mi ritrovai per strada ero pieno di odio verso chiunque. Verso la mia terra. Verso l'Ucraina. Verso me stesso, che stavo cambiando.
Non era una ronda ero stato lanciato nel gioco in corsa e ora dovevo pensare solo a me stesso.

La polvere mi riempie i polmoni mentre avanzo guardingo fra le strade e le carcasse delle auto bruciate. Riecco il suono del respiro come unico compagno verso quell'avanzata.
Passo dopo passo struscio silenzioso con gli occhi sbarrati attento a tutto quello che mi sta attorno. Lancio occhiate anche a quel nuovo compagno di viaggio che mi sono trovato, non potrei lasciarlo indietro.

E poi eccoci. Il fronte si mostra e le nostre orecchie vengono investite dal suono delle mitragliatrici.

«Avanziamo!» un ordine, una missione e poi il caos.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora