Capitolo 9

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Anastasya

Più tranquilla sulle condizioni di mia sorella scendo al pronto soccorso per dare una mano. L'ospedale è nel caos come tutta la città. L'attacco continua come il suonare delle sirene e non trovo conforto neanche dalle parole del nostro presidente. Intorno a me disperazione e sconforto. Alcuni giovani che attendono qualche parente ferito inneggiano all'Ucraina e sono intenzionati ad arruolarsi volontari. Sembra presto. Sembra assurdo.

Mi guardo attorno dopo aver corso a destra e sinistra per tutto il giorno. Sono salita da mia sorella almeno ogni due ore ma l'ho sempre trovata addormentata. È il sedativo che le hanno dato, da domani mattina dovrebbe iniziare a stare sveglia. Irina era invece sempre al telefono, i suoi stanno bene ma di Andrew nessuna notizia. Lei continua imperterrita a chiamare e la capisco perfettamente, anche io mi sentirei in ansia per il mio uomo in una situazione simile. Lui è anche un poliziotto non credo proprio che possa venire con noi, né che lo voglia. Sarà una brutta notizia per la mia amica. A me non resta più niente, se non quella piccola donna rannicchiata in quel letto.
Ed è un incubo. Un incubo senza fine.

Il mio nome viene chiamato in continuazione dai miei colleghi che pur non essendo in servizio sono venuti per aiutare. Le stanze sono tutte piene e non abbiamo più lettini a disposizione, ma cerchiamo di mantenere la calma. I pazienti hanno bisogno della nostra professionalità. La passione per ciò che faccio mi spingerebbe a restare quu, ad aiutare in ospedale, ma la promessa che ho fatto a mio padre vale molto di più. Devo portare in salvo mia sorella. Abbiamo saputo che hanno colpito pure ospedali e questo ci fa capire che non ci sono posti sicuri qui in città. È una follia. Come possono seguire gli ordini di un folle. Odio quegli uomini che eseguono ciò che gli viene chiesto senza protestare. Dovrebbero insorgere. Dovrebbero ammazzare colui che è al governo.

La sera è scesa sulla città, mi affaccio un attimo dalla finestra del corridoio che porta nella stanza di Hanna. Vedo vari incendi illuminare di rosso le case e in cielo delle lucine lampeggiare sono aerei e sono bombe. Mi appoggio al parapetto portando le mani al capo. Cosa devo fare? Cosa posso fare?

Prima di rientrare in stanza cerco di trovare davvero un'idea sul come affrontare questa cosa più grande di me. Più grande di tutti.

Spingo la porta bianca e trovo la luce gialla sopra il letto accesa, la stanza è in penombra e Irina ha due vassoi davanti con della minestra e carne. Mi avvicino subito al letto. Tocco la fronte di Hanna, ma è fresca. Controllo la flebo e la velocizzo un po'.

«Come va?» mi chiede la mia amica. Sospiro prima di rispondere cercando di cancellare la pesantezza di ciò che ho visto.

«Non abbiamo più posto.» Non c'è molto altro da aggiungere. «Qui, cosa hai scoperto.» Le indico la televisione mentre mi siedo accanto a lei.

«Stanno attaccando diverse città.» Mi elenca i nomi è sono tantissime. «Andrew ti ha risposto?» I suoi occhi diventano lucidi.

«Sì, stanno decidendo dove intervenire se restare a Leopoli o spostarsi. Hanno attaccato anche la.» La voce le trema. «Ho paura Ana. Io...» la stringo in un abbraccio.

«Lo so, Irina. Lo so. Ma è il suo lavoro. Lo ami anche per questo.» Le accarezzo la schiena.

«Sì, ma non pensavo certo potesse andare in guerra.» Continuo a muovere le mani su e giù sulla stoffa spessa della divisa. E li mi viene l'idea. Potremmo andar via fingendoci operatori sanitari. Potrò così portare tutte e tre fuori da Kiev e forse anche dall'Ucraina.

«Potremmo provare ad andar via Irina. Dobbiamo sicuramente andar via da qua e poi io e Hanna forse anche dall'Ucraina. I tuoi genitori potrebbero ospitarci?» Mi sembra non abbia nominato Sarny tra i luoghi sottoattacco.

«Certo potremmo andare là.» Sembra d'accordo anche lei, anche se al mio accenno di lasciare la nostra nazione gli occhi le si sono inumiditi nuovamente.

«Domani mattina dobbiamo trovare il modo di mettere benzina e di comprare qualcosa da mangiare. Io prenderò qui il necessario per curare Hanna e appena possibile andremo via.» Più serene iniziamo a mangiare. Ascoltiamo il telegiornale che ci mostra dove i militari russi si sono fermati. Minuto dopo minuto le notizie cambiano con immagini sempre più terribili che scorrono davanti a noi. Alla fine ci addormentiamo entrambe con il capo poggiato sul tavolo. Troppo stanche anche per rimanere sveglie.

Dopo una settimana tutto è purtroppo più chiaro, gli scontri sono aumentati di intensità l'esercito russo è alle porte di Kiev dove scontri continui anche con civili arruolati gli impediscono di entrare. Altre città sono in lotta. La comunità internazionale invia armi per aiutarci e non si ha idea di quanto questo conflitto possa durare.

È una settimana che restiamo chiuse dentro l'ospedale. Hanna sta migliorando ogni giorno. Non ricorda bene quello che è accaduto ma la televisione accesa sul canale nazionale le ha subito mostrato quello che è ora il nostro mondo.
Ogni giorno mi ha chiesto dei nostri genitori e alla fine le ho dovuto dire la verità, perché io avrei voluto saperla se fossi stata al suo posto. È stato un momento terribile e ancora oggi non riusciamo neanche a guardarci negli occhi. Non riusciremmo a trattenerci e anche se giovane Hanna ha compreso che non è il momento per piangere i nostri amati.

Se non stavo sopra con loro ero in reparto a lavorare. Il sapere che sto aiutando il nostro popolo mi fa sentire meglio ma gli attacchi sono sempre più insistenti e ho capito che non possiamo più stare qui.

«Potremmo affidarci a un corridoio umanitario per uscire dalla nazione.» Cerco di convincere Irina che ha cambiato idea e non vuole più andare via.

«Non posso Ana. Non posso lasciare Andrew combattere qui e andare via.» Restiamo in silenzio, non vorrei dividermi da lei. «Forse dovrei andare anche io a combattere come fanno in tanti.» La guardo come se fosse impazzita. «Quando sono andata al supermercato mi sono anche fermata a uno di quei banchetti ma poi ho avuto paura e sono andata via.» Si sente in colpa per questo e tortura le sue mani senza tregua.

«Ascoltami Irina.» Le prendo le mani fra le mie. «Non è colpa tua se non sei quel tipo di persona. Aiutare me ti fa già più che onore. La vita che hai condotto fino a poco tempo fa, ti fa onore quindi non metterti mai in dubbio, sei una persona splendida. Okay?» Lei fissa le nostre mani unite. Siamo nella solita stanza con Hanna che già dorme. È mezzanotte passata ma in questo luogo il tempo sembra essersi fermato. «Sei splendida.» Le ripeto in tono più deciso, deve capire che per me il suo appoggio è fondamentale.

«Ma tu aiuti. Hai lavorato ininterrottamente ma io cosa faccio se non scaldare questa sedia.» Devo convincerla, non potrebbe mai sopravvivere per strada.

«Ti ripeto, aiuti me. Non potrei affrontare tutto questo se non ti avessi accanto. Se non vuoi andare via, non ci andremo. Domani partiremo per Sarny.» Sono risoluta nella mia decisione e riesco a convincere anche lei, che annuisce più soddisfatta della mia proposta.

Ben presto anche Irina si addormenta sdraiandosi accanto a Hanna. Ora che mia sorella sta meglio condividiamo per quanto possibile quell'unico letto a nostra disposizione. Approfitto della notte fonda e vado nel dispensario per prendere alcune cose che potrebbero servirci: bende, disinfettanti, aghi, filo siringhe un po' di tutto. Non ho idea di come sarà il viaggio, si sentono già voci di persone scomparse e di donne violentate e siamo solo all'inizio. Afferro altre tre divise spero che con quelle ci lascino andare.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora