Capitolo 49

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Anastasya

Ascolto le parole di Dimitri che mi fanno sorridere, un bisbiglio di conforto da un uomo che sembra minaccioso nella sua imponenza ma che con noi è sempre stato saggio e gentile.

Lo saluto con dispiacere e mi giro ancora verso quell'auto che ha dentro il mio cuore. Non sapevo sarebbe andata così, quando l'ho visto quel giorno, ma avevo intuito che sarebbe stato speciale per me. Anche se lontana vedo la sua mascella stretta e il suo sguardo altrettanto disperato.

Ti farò felice Aleksander e andrò avanti ma mai ti lascerò andare perché so di essere tua.

Irina accende il motore e subito dopo si immette nella strada per continuare il nostro viaggio. Mi sembra di sentire strappare l'anima dal mio corpo, protesta, scalpita, vuole andare con lui e allora io la lascio andare. Portala con te Aleksander, a me non servirebbe comunque.

«Ana...Ana!» la voce di Irina mi riporta in quell'abitacolo e a quel viaggio. Sento in lei la trepidazione e anche se per me è solo un momento triste sono contenta per lei. In fondo noi non avevamo una storia né un futuro, Irina, invece, sta raggiungendo entrambi. Mi giro verso di lei che allunga la mano verso il cruscotto. «Prendi la mappa di cui parlava Aleksander e i telefoni.» Faccio come mi dice.

«Ana, per favore, dammi il mio.» Hanna non resiste più e allora le allungo il suo cellulare mentre allargo la mappa sulle mie gambe. Come in quella notte anche questa è molto semplice da seguire e mentre Irina chiama la sua famiglia, io le do le indicazioni per arrivare.

Il mio ricordo va al primo giorno in cui ci siamo messe in viaggio, ci ritroviamo su quest'auto come allora e dimentichiamo loro come se non fossero mai esistiti. Come se io non avessi mai assaporato le sue labbra.

«Ana, i miei ci aspettano.» La sua eccitazione è evidente. Gi occhi le brillano e la voce è più squillante. Le sorrido a fatica, celando il buio che mi avvolge dentro.

«Bene.» Non aggiungo altro, lei mi guarda un attimo e cerca la mia mano che stringe. So che le dispiace per me ma la vita va sempre e comunque avanti. Come vorrei mio padre con me in questo momento, il suo affetto. Anche se non è possibile mi sembra passata una vita da quel momento, li ho quasi dimenticati per tutto ciò che è accaduto. Un giorno avrò modo di piangerli. Ora stendo le labbra in un finto sorriso e faccio quello che mi è stato detto: guardo al futuro.

Le strade sono poco affollate ma più ci avviciniamo alla città e più sembra come se qui non ci fosse la guerra. I centri abitati si mostrano illuminati e non si respira la stessa area di tensione. Sbircio ogni tanto lo specchietto alla mia destra in cerca di qualcosa e di qualcuno e ogni volta che non vedo niente mi ripeto quanto io sia stupida.

Ormai manca poco e Irina ha ripreso la sua solita parlantina incessante l'ascolto annuendo ogni tanto, ma in realtà mi fa male il viso a far finta di nulla. Quel mezzo sorriso mi pesa come se qualcuno mi stringesse le guance con forza e allora ripenso a ieri notte e al perché ora siamo qui.

La fitta al fianco si fa sentire pungendo fastidiosa, non mi è passata ma non importa, il vero motivo per cui devo ringraziare Dio è che Irina e Hanna stanno bene.

Mi giro verso mia sorella che se ne sta sdraiata sul sedile a smanettare, quel graffio sulla guancia mi da la forza di andare via dalla nostra terra.

Stavolta poso lo sguardo sul volante, la maglia di Irina si alza mostrandomi il polso destro completamente nero. Potrei contare le dita del suo assalitore. So che sono riusciti a fermarli appena in tempo. Entrambe avevano quei viscidi esseri sopra e Irina aveva il busto già nudo, con solo il reggiseno.

Stringo gli occhi a quei pensieri che mi torturano e la casa dei genitori della mia amica sembra non arrivare mai.

Il cielo si tinge di rosso e non facciamo nessuna sosta desiderose di arrivare. Quasi a metà strada facciamo il cambio alla guida. Mi posiziono il sedile un po' più avanti e concentrata nella guida la mia mente torna a lui. Il suo volto rassicurante mi sorride, sento quasi la sensazione delle sue dita sul viso e resto senza fiato nella speranza di non lasciarla andare.

«Ana, siamo arrivate.» Sospiro alla sua interruzione che fa svanire il mio fantasma.

«Bene.» Ancora una volta fingo di essere felice anche io.

Arrivate mi aggiusto il sopra del camice e facendomi forza apro lo sportello con calma. Irina salta fuori come una molla ad abbracciare i suoi che le vengono incontro, io e Hanna ci stringiamo camminando piano verso quella nuova casa. Il suo profumo mi calma come il suo abbraccio.

Giunti davanti al portico restiamo in attesa che la famiglia appena riunita smetta di piangere. Nella penombra assistiamo in silenzio con gli occhi altrettanto lucidi. Sono davvero felice per loro, sono brave persone e si meritano questo momento di gioia.

La sera è ormai calata del tutto e il buio nella strada è illuminato dalla luce della casetta bianca alle nostre spalle. Il profumo dei pini che sovrastano la strada mi riempie i polmoni. Sarny è una città medievale piena di verde e costruzioni in pietra, un posto tranquillo e anche molto attrattivo per i turisti. Capisco perché i genitori di Irina si sono trasferiti qui, sicuramente Kiev è molto più caotica e frenetica. Il freddo mi gela il naso e anche Hanna mi si stringe addosso in cerca di calore.
Le bacio il capo e finalmente la madre di Irina si scioglie da quell'abbraccio per venire a stringere noi. La conosco da una vita intera, era amica di mia madre e tanti pomeriggi le trovavo in cucina a bere un tè insieme e quindi, è automatico per me, sentire nelle sue braccia un po' di calore della mia mamma.

«Mi dispiace infinitamente per la vostra perdita, Ana. Volevo loro un gran bene.» Annuisco fra i suoi capelli, stringendo il labbro inferiore fino a sentire il sapore ferroso del sangue. Non voglio piangere, troppo dolore ho oggi nel cuore, non riuscirei più a smettere.

«Lo so, Maryna. Anche loro per voi.» Mi accarezza il volto e poi come resasi conto che la notte è molto gelida ci fa subito entrare tutti in casa.

Ha preparato la tavola per tutti ed è piena di manicaretti. In tono affettuoso ci invita subito a sedere. «Io vorrei fare una doccia, prima.» Mi mormora mia sorella con il volto stanco.

«Maryna, ti dispiace se prima ci diamo una pulita?» anche io ne ho bisogno.

«Oh cielo. Certo ragazze andate pure di sopra. Irina, vai anche tu cara. Non preoccuparti, tengo tutto in caldo.» Il padre di Irina ci saluta con un sorriso triste. È sempre stato difficile per lui mostrare i suoi sentimenti e con una semplice carezza al capo ci fa capire che gli dispiace.

Accompagnate da Irina saliamo al piano di sopra in quella casa calda e luminosa.

«Non riesco a credere che siamo realmente in una vera abitazione.» Mia sorella sospira mentre inizia già a spogliarsi dei vestiti. Le divise russe le abbiamo lasciate al campo e indossiamo nuovamente l'uniforme dell'ospedale.

«Io faccio la doccia per prima!» La vedo correre per la stanza che ci ha mostrato Irina verso il bagno in camera.

«Ecco. Potete prendere questa, io sarò in quella qui di fronte.» La guardo spaesata, sento girare la testa per tutto quel cambiamento. Comincio a non riuscire più a far finta e la mia amica lo capisce. Mi si avvicina per abbracciarmi mentre l'acqua scorre in doccia e le urla di gioia di Hanna ci fanno sorridere.

«Non ci posso credere, finalmente, acqua calda.»

Scoppiamo entrambe a ridere strette l'una all'altra. «Almeno, lei è felice.» Mi scosta i capelli dal viso e io mi siedo sul letto matrimoniale alle mie spalle.

«Lo sono anche io, lo sai è che...» Mi trema la voce.

«Ti manca lui.» Beh, è riduttivo. «Sai che ti capisco.» La guardo e mi rendo conto che questa volta non è così.

«Lo so che anche tu stai soffrendo e non voglio neanche paragonare i miei sentimenti ai tuoi, ma, comunque, non è solo che mi manca...» Vorrei farle capire cosa intendo.

«Hai paura che possa morire.» Si siede accanto a me.

«Anche. Ma la vera differenza è che Andrew è tuo Irina, sai che tornerà da te. Aleksander, invece, io non lo rivedrò mai più e lo devo accettare.» Il fiato si affievolisce.

«Perché dici così? Vedrai...» La fermo subito.

«Non ci sarà un vedrai per noi. Non so neanche il suo cognome o dove viva, come lui non sa il mio. Non avremo mai modo di rivederci.
È stato un incontro casuale, in un posto che non fa parte della nostra vita.» Spero di essere stata chiara. «Non so neanche dove sarò io tra una settimana, come potrà lui ritrovarmi e lo stesso vale per me. Ora ho capito cosa voleva dirmi.» Si ora mi è chiaro. Mi stringo i capelli fra le mani portandoli indietro. Non avrebbe avuto senso darmi una speranza. «Non c'è futuro per noi.»

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora