Capitolo 4

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Aleksander

Mai mi sarei aspettato di ricevere un'email del genere. Mai avrei creduto nel nostro secolo che, l'ignoranza, potesse portare ancora allo scoppio di una guerra in una civiltà evoluta come la nostra. Sono consapevole delle tante guerre che si stanno combattendo in questo momento in molti continenti, ma mai avrei creduto che questo potesse capitare in Europa. Dopo la devastazione del millenovecentoqurantacinque e il lungo periodo della guerra fredda, che ha visto soffrire il mio popolo, pensavo che questo fosse servito a tutti per rendersi conto che nulla di buono può nascere da una guerra. Che nulla di buono può portare uno scontro tra genti, non è forse questo scontro conseguenza di quella prima invasione per garantire la "dignità " dei russi in Crimea. Cosa ci portò quell'annessione se non rancori e dissidi.

Incredulo torno all'inizio di quel breve testo dove la parola guerra non viene mai scritta ma che aleggia sopra il termine liberazione. Ma di che cazzo di liberazione mi parlano, come posso liberare con la violenza. Nella nostra realtà con un semplice click riesco ad essere in qualunque luogo e mondo. Non esistono più limiti per la socialità, siamo solo un grande mondo globalizzato e non posso credere che la mia terra stia facendo questo.

Non ho mai accettato il governo che ci rappresenta, non ho mai creduto nel sistema. È palese che in Russia non ci sia una democrazia ma ho sempre voluto sperare che un giorno, con la forza di tutti, questo potesse cambiare. Non posso abbandonare la mia storia perché non mi sento rappresentato, ma è certo, che tutto è destinato a finire ed io ero certo che anche per la mia nazione ci sarebbe stato il momento della rinascita e invece... e invece tutto il rammarico per la stupidità dell'uomo sta in quelle parole che ufficialmente mi comunicano che domani mattina alle cinque la Russia attaccherà l'Ucraina.

Vengo avvisato come responsabile del settore, perché in caso di necessità sarà mio obbligo prendere parte alla campagna di liberazione accanto ai miei concittadini che si immolano per il bene della patria.

Un senso di nausea mi investe costringendomi a chiudere gli occhi. Non solo mi dovrò macchiare del sangue delle vittime in quanto russo, lo dovrò fare anche attivamente partecipando alla "campagna". Un altro conato mi costringe a correre in bagno. Non ho mai sopportato la violenza.

Mi sciacquo la bocca e mi lavo i denti. Il viso provato, con gli occhi rossi che mi fissano dallo specchio e quasi quello di un fantasma. La lettera concludeva annunciando un richiamo alle armi per tutti gli uomini dai diciott'anni in su. Ragazzini mandati al macello. Io sono figlio unico e miei genitori sono entrambi morti ma questo non mi impedisce di provare pietà per tutti coloro che vedranno i loro affetti, sparire con una divisa indosso.

Torno nel mio ufficio e mi avvicino al mobiletto del bar, prendo una bottiglia di whisky e un bicchiere e con quelli in mano mi siedo nuovamente alla scrivania. Vedo la casella di posta ancora aperta, riempirsi di e'mail in arrivo. Il fermento per ciò che avverrà a breve ci ha colto tutti alla sprovvista. Il direttore dell'RKA ha indetto una riunione nella sala conferenza fra un'ora e anche io come tutti i capi reparto accettiamo l'invito. Porto il bicchiere alle labbra e lascio che quel liquido mi bruci la gola, in questo momento in cui lo sconforto lascia il posto alla paura. Alla paura di sapere cosa ne sarà di me.

Passo quel poco tempo sorseggiando il liquore ambrato e passeggiando avanti e indietro nel mio ufficio. Mi manca l'aria e così decido di aprire la finestra nonostante i meno venti gradi dell'esterno ed è così che mi trova Ivan, l'unico amico che io abbia e che lavora con me nel reparto meccanico.

Ci guardiamo entrambi stravolti. «Hai saputo?» gli mostro come risposta il bicchiere che tengo in mano. «Ne daresti uno anche a me?» Apro il mobiletto di legno alla mia destra e prendo un secondo bicchiere.

«La bottiglia è ancora sul tavolo.» Torno a fissare la Russia che dorme ai miei piedi.

Sento i passi di Ivan avvicinarsi per poi fermarsi al mio fianco. Il suo sguardo come il mio si perde in quelle strade buie rischiarare dalla neve che brilla alla luce dei lampioni. Sembra un paesaggio incantato, da favola di babbo natale e invece e la pace prima della tempesta.

Alzo il polso per guardare l'orologio. «Credo dovremmo avviarci.» Poso il bicchiere sul mobile e chiudo la finestra.

«Sì, andiamo.» Ivan ha la mia stessa età, a trentacinque anni non ti aspetti di dover andare in guerra, al massimo ti aspetti di diventare padre, è questo il passo successivo dopo la carriera che finalmente funziona. Non di rischiare la vita per qualcosa che non condivido, ma purtroppo questo mondo non ti permette di tirarti indietro.

Arriviamo alla sala riunioni e un brusio ci fa subito capire che non siamo i primi, ci sono già venti persone e quindi siamo quasi al completo, i responsabili sono venticinque.

Il direttore è seduto al suo posto al centro del tavolo che parla al telefono in modo concitato. È una brava persona, penso che anche lui non sia d'accordo per quello che sta per avvenire. È un sognatore come me e Ivan, noi siamo qui per lo spazio, solo per quello, ma alcuni dei miei colleghi sono invece entusiasti di quello che gli è stato comunicato. Adorano di avere la possibilità di dimostrare chi è il più forte. Hanno un ego talmente smisurato che ucciderebbere a mani nude pur di vedersi classificare come eroi.

Mi siedo accanto a Ivan nel lungo tavolo di metallo e vetro. Ognuno di noi ha davanti una cartellina bianca con la scritta rossa top-secret che io non ho il coraggio di aprire. Non voglio venire a conoscenza di fatti segregati, io voglio solo continuare a vivere la mia vita. Avvicino la sedia con un rumore stridulo che fa alzare i peli delle braccia, ma non sono l'unico a procurarlo nella stanza molti altri, come me, strisciano involontariamente la sedia a terra, come se in quel gesto mettessimo la nostra repulsione per quello che ci chiedono di compiere.

Il discorso del direttore comincia centrando subito il punto. Stiamo per entrare in guerra, anche se questo appellativo non dovrà essere usato. Come centro spaziale siamo obbligati a partecipare e alcuni di noi lo faranno operativamente accompagnando l'avanzata dell'esercito in Ucraina. Ci si aspetta uno scontro breve di poche settimane e quindi con poche possibilità di perdite umane.

«Aleksander tu andrai alla base russa che è sorta vicino il confine. Ti chiederanno di sorvolare l'Ucraina con un aereo militare, ma il tuo ruolo principale sarà quello di individuare tramite i satellite tutti gli obiettivi strategici da colpire.» Lo ascolto annuendo mentre il moto di protesta cresce in me.

«E se mi rifiutassi?» vedo gli egocentrici guardarmi indispettiti dalla mia folle domanda e poi vedo in quelli come me, accendersi una speranza negli occhi.

«Non è contemplata questa possibilità.» Taglia corto il direttore zittendomi.

«Per quale motivo io non posso rifiutarmi.» Sospirando lo vedo accarezzarsi i capelli bianchi e i suoi occhi azzurri guardarmi con tristezza dietro la montatura nera dei suoi spessi occhiali.

«Perché non ci si può rifiutare Aleksander. Noi siamo in russia ed è nostro dovere rispettare gli ordini della nazione. Lo dovresti sapere sei un ex militare.» Le sue mani giunte sul tavolo anno le nocche bianche, in quel gesto mi mostra quanto gli pesi quel discorso, perché la vera risposta è che se mi rifiutassi nessuno sa cosa mi potrebbe accadere.

«Quando dovrò partire?»

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora