Capitolo 30

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Aleksander

Mi perdo nel nero del cielo, lascio che le luci che ormai lo popolano diventino per me speranza, il viso di lei, i suoi occhi. Disteso in quel giaciglio mi sento nel posto migliore al mondo. Il profumo di Anastasya è ancora nell'aria, è su di me. Sospiro incredulo: è su di me. Sui miei vestiti, sulla mia pelle, sulle mie labbra ne sento il sapore. Sono un folle e lei una pazza ne sono certo, mi copro il viso con le mani e le labbra che si stendono in un sorriso mi solleticano i palmi. L'ho baciata e questo è impossibile. No, era impossibile. Le mani mi liberano la vista e si poggiano sul mio petto rendendo ancora più forte la percezione del mio cuore impazzito.

Dovrei cercare di dormire ma non voglio. Non voglio che arrivi domani. Non voglio che lo schifo insudici la perfezione di lei nelle mie braccia. Cullato da quelle immagini finalmente mi addormento. Ho lottato ma alla fine ho placato la tempesta di emozioni che quella ragazza mi aveva scatenato. Poterla baciare, sfiorare è stato come tornare a respirare per me in questo giorno così pesante. Avevo bisogno di lei, non ho resistito a dirglielo e lei è stata fantastica e sorprendente.

Come avrei potuto dormire subito quando avevo stretto fra le mie braccia Anastasya, in quel modo così naturale e coinvolgente da lasciarmi senza fiato e stordito. Mi sento come ubriaco, sopraffatto da quella donna così inattesa e unica per me. Fin dal primo giorno qualcosa in me è cambiato alla sua vista e come se ci fossimo cercati una vita intera e ora, finalmente, ci siamo ritrovati in questo inferno. Il dolore, la rivalità, niente hanno potuto contro quel qualcosa che è già scritto.
È così che capita? È così che all'improvviso tu non ti basti più? È così che un giorno qualcuno diventa più importante di te, più importante di tutto. Non ho mai vissuto niente di lontanamente paragonabile e questo mi dispiace per Maria, come sono stato stupido in questi anni e come è stato ingiusto da parte nostra costringerci in quel qualcosa. Mai, mai, mai mi sono sentito così con Maria.

Anastasya, invece, è inesorabilmente il mio centro. Lei con quel dolce profumo. Con i sorrisi imbarazzati e con la forza di combattere tutto questo con il mento alzato. Mi arriva appena alla spalla ma mi sembra in grado di difendere la sua famiglia e forse ora anche me contro tutti. Non riesco a crederlo vero. Non riesco a credere che le sue labbra erano davvero unite alle mie. Erano così morbide e inebrianti. Come avrei voluto rimanere per sempre a baciarla e come avrei voluto che lei restasse a baciare me. Sento i brividi in tutti i punti in cui la sua bocca mi ha toccato o sfiorato.

«Forza Aleksander, che cazzo ti prende oggi, sembri imbambolato.» Il sergente che mi porterà in missione cerca di riportarmi alla grigia giornata che mi attende.

«Sì, scusi.» Mi abbasso a recuperare un sacco che devo portare in elicottero.

«E anche quello!» me ne indica un altro alla mia destra. «Forza, non è la giornata per sognare. Dobbiamo stare concentrati.» Si rivolge serio a tutti. L'alba non è ancora sorta e alle luci artificiali delle lanterne gialle carichiamo l'occorrente sull'elicottero militare che ci porterà a Mariupol. Avrei dovuto avere un risveglio migliore. Non l'avrei potuta toccare ma l'avrei vista, avrei sentito la sua voce, avrei permesso alla sua voce di risvegliare pensieri e sogni e invece...

«Cazzo, Ale!» sbatto contro il sergente che mi colpisce alla spalla stringendola subito dopo. «Ragazzo, è successo qualcosa?»

«No, signore. Mi scusi, signore.» Mi osserva attentamente prima di lasciare la presa.

«È una missione molto pericolosa Aleksander e abbiamo bisogno di stare tutti in guardia. Possiamo fidarci solo della nostra squadra. Possiamo fidarci di te?» Resto ferito dalle sue parole, non ho mai dato modo di dubitarne.

«Lo sa bene, signore.» Dico risoluto allargando il petto.

«Si, lo so bene, per questo ti ho scelto. Ora sbrighiamoci. Partiremo tra un'ora al massimo.» Mi oltrepassa per controllare con la lista in mano se abbiamo tutto caricato sul velivolo. Sospiro e cerco di togliermela dalla testa. Non è tempo per lei. Non è tempo per l'amore per quanto dolce e avvolgente possa essere. La richiudo in fondo alla mente e comincio a concentrarmi per la giornata che mi attende.

L'ora passa troppo velocemente e ben presto ci ritroviamo venti uomini seduti ai lati del mezzo con i paracaduti alle spalle. Il mio palmare è nella tasca dei cargo e l'ho appena messo via, ho inviato le coordinate del luogo di atterraggio al guidatore. Ora siamo davvero pronti. Stringo le cinghie che mi tengono legato e cerco di controllare il respiro, qualcuno scherza ma i più stanno in silenzio come me. Lo sguardo perso verso la lamiera che ci circonda in attesa di quel via che ci lancerà all'inferno.

Mariupol è un punto molto strategico e la resistenza è molto tenace ma gli ordini che ci sono stati dati sono terribili. Non dobbiamo fermarci davanti a nulla. Nessun sentimento, nessun segno di umanità resterà al nostro passaggio. Siamo qui per distruggere e conquistare ed è quello che faremo perché per quanto orribile ne vale della nostra vita.

Mi concedo qualche altro attimo di noi. La rivedo su di me guardarmi sorridente e ripenso alle mie parole "potrei morire pur di fare l'amore con te..." e cazzo come è vero. Quello sarebbe il mio destino non quello di stringere in mano il fucile che mi hanno appena dato. Elmetti, divise marrone terra, siamo venti robot mandati a compiere il destino di qualcun altro.

Con un po' di vergogna ho lasciato quella busta a Dimitri, il quale mi ha guardato ma non ha detto nulla, credo che non sia sfuggito al mio amico il nervosismo che avevo indosso e spero che ne abbia frainteso la natura. Non era per la partenza ma per quello che contiene la busta.

«Aleksander, è il tuo turno.» Mi avvicino al portellone e con l'arma stretta in petto mi lascio andare in quel cielo illuminato dai primi raggi del sole. Con l'alba portiamo la morte. Tengo il conto per quando dovrò aprire il paracadute e mentre osservo quella città dall'alto. Focolai in vari punti fanno già capire le zone più calde. Sospiro ancora con il peso in petto e tiro quella stringa che mi avvicina a un nuovo giorno in cui non so se ne seguirà un altro.

«Cazzo!» Il soldato accanto a me impreca per la caduta. Si è fatto male alla caviglia, corro ad aiutarlo a tirarsi su.

«Forza andiamo.» E così iniziamo a camminare in quei luoghi ostili, con il fucile sotto il mento e lo sguardo attento su cosa ti succede attorno. Dobbiamo raggiungere un punto preciso e mentre in silenzio continuano a cadere soldati dal cielo noi a passo svelto ci avviamo verso l'accampamento alla nostra sinistra. È una zona residenziale con ville e giardini per lo più bombardati. Doveva essere un bel posto. Un cane sbuca alla destra del mio compagno di transvolata facendolo sussultare. «E cazzo!» Mi avvicino dandogli coraggio, mi sembra in difficoltà.

«Forza andiamo, seguimi.» Mi metto davanti girandomi spesso a destra e sinistra, potrebbero colpire da qualunque parte. Non sappiamo bene come sono messi.

La tensione mi chiude la gola. Sospiro affannato ma resto concentrato. Mormoro consigli su cosa deve fare sperando che mi ascolti. «Guardati intorno, non lasciarci scoperti. Non farci diventare dei bersagli.» Non ora che ho incontrato lei.

Con la Forza di un Carro ArmatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora