One hundred and fourteen.

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I giorni passavano lenti l'uno dopo l'altro.
Tutti uguali.
Monotoni.
Privi di colori.
Privi di senso.
Privi di vita.
Le ore passavano una dopo l'altra, granello dopo granello.
Sessanta minuti.
Cinquantanove.
Cinquantotto.
Cinquantasette.
Cinquantaquattro.
Cinquantatré.
Cinquantadue.
Cinquantuno.
Cinquanta.
E così via.
Minuto dopo minuti il mondo sembrava perdere sempre un po' più di significato.
I tramonti che quella vita poteva offrire sembravano sempre tutti uguali, avevano smesso di provocare determinate sensazione.
Avevano smesso di ammaliare, di rapire.
Non avevano più la capacità di riuscire a spegnere i pensieri anche se solo per qualche momento.
O almeno non avevano più quella capacità di far sorridere Benjamin e Federico.
Soprattutto quest'ultimo.
Federico non riusciva più a sorridere.
Ogni mattina si alzava, si lo faceva, ma non aveva più quel grande e smagliante sorriso ad illuminargli il volto, nei suoi occhi non c'era più quella scintilla di vita che li caratterizzava, che li rendeva diversi da tutti gli altri.
Svolgeva le sue normali attività ma il suo cervello era fuori da tutto ciò che lo circondava, non prestava attenzione al ragazzo seduto alla scrivania di fronte alla sua, non prestava attenzione al modo che questo aveva di fare, a come volesse sempre essere al centro dell'attenzione affinché la segreteria del capo lo guardasse e, magari, gli regalasse un sorriso per il suo ennesimo gesto buffo, normalmente avrebbe aiutato quel ragazzo, l'avrebbe spinto tra le braccia della sua amata ma non più.
Non più normalmente.
Nulla era più normale.
Cosa gli restava di normale, un punto fisso su cui poteva sempre contare, nella sua vita?
Niente.
Non gli restava neanche Benjamin.

Erano passati circa ventitré giorni da quando Benjamin aveva fatto quella sorpresa a Federico, da quando lo aveva fatto sentire ancora amato.
Quella mattina il più piccolo era stato davvero bene, era riuscito anche a dimenticare, per qualche ora, di tutti i problemi che li affliggevano.
Tutti quei problemi, i loro problemi, avevano un solo nome.
Lola.
Ancora lei.
Solo lei.
Lei e quella creatura che portava in grembo.
Il figlio di Benjamin.
Quello stesso pomeriggio la ragazza aveva telefonato al moro, aveva avuto dei dolori improvvisi e Benjamin, contrariamente ad ogni previsione, contrariamente a come si era sempre mostrato nei confronti della ragazza e di quel bambino, aveva piantato in asso il più piccolo ed era corso da lei, aveva girovagato per la città per trovare casa sua, per starle accanto.
Federico era sicuro che fosse stato proprio quel momento in cui Benjamin era corso via dalla sua vita.
Non si era lasciati, questo no, ma non erano più come prima.
Le azione compiute da Benjamin non erano più dettate dall'amore, ogni notte lo stringeva ma lo faceva solo per abitudine, non stava più a guardarlo fino a quando si addormentava, non giocherellava con i suoi capelli mentre gli ripeteva quanto grande fosse il suo amore.
Era davvero, però, così grande come diceva?
In pochi giorni, forse poche ore, tutto si era stravolto.
Benjamin aveva smesso di essere suo.
Gran parte del suo tempo lo passava con Lola e, Federico, era sicuro di averlo sentito fare qualche progetto che aveva come protagonisti lui, il bimbo e Lola, lei, non lui.
Federico era diventato quello che contava solo se c'era tempo.
Non più una priorità.
Non più qualcuno di essenziale.

-"Benjamin?" Lo chiamò Federico e attirò al suo petto le sue stesse ginocchia.
Nessuna risposta.
Il maggiore se ne stava sul divano, immobile, a guardare una stupida partita di football alla TV.
-"Benjamin." Lo chiamò ancora questa volta con un po' più di sicurezza nella voce e un tono più alto.
Il moro alzò gli occhi al cielo e sbuffò.
-"Che cosa vuoi?" Gli chiese infastidito.
-"Che cosa voglio?" Ripeté il più piccolo. "Sono qui e vorrei stare un po' con te." Aggiunse.
-"Stiamo sempre insieme." Replicò Benjamin. "Che cosa ti costa se ora guardo la partita e dopo sto con me?" Chiese.
-"Mi costa perché dopo arriverà Lola e tu non mi dedicherai neppure un sorriso per sbaglio.
Quasi finirai per dimenticarti di me." Rispose il biondo.
Il più grande strinse con forza il telecomando nero tra le sue mani, finendo per cambiare canale, e serrò la mascella.
-"Per giorni mi hai ripetuto, fino alla sfinimento, che dovevo prendermi cura di Lola.
Che dovevo starle accanto e aiutarla per quanto mi è possibile.
Hai rovinato ogni nostro momento per parlare di lei, di ciò che stava succedendo, e ti sei mostrato arrabbiato, quasi offeso, quando ti dicevo che nella mia vita voglio solo te, che un figlio lo voglio con te, non con lei." Ringhiò il maggiore, i suoi occhi erano iniettati di sangue, era davvero arrabbiato? "E ora che le sono vicino tu mi dice che ti trascuro?
Che mi dimentico di te?
Mi stai prendendo in giro?" Chiese mentre a stento si tratteneva dall'alzare la voce.
Federico si sentiva piccolo, davvero piccolo davanti a lui, da quando si erano fidanzati non gli aveva mai trattato in quel modo, le cose stavano davvero cambiando?
Che cosa restava del loro rapporto?
-"I- io non t- ti..." Federico stava balbettando e sapeva che non era ciò che doveva fare in quel momento, prese un respiro profondo e si mostrò più sicuro di se stesso davanti a quegli occhi che lo conoscevano meglio di chiunque altro. "Io non ti ho mai chiesto di prenderti cura di Lola o di stare con lei.
Ti ho solo chiesto di essere presente per quel bambino perché lo merita, perché ha bisogno di un padre e tu devi esserlo per lui." Disse.
-"Vuoi che sia un buon padre ma che trascuri la madre di mio figlio?" Chiese il moro.
-"La madre di tuo figlio?" Ripeté il più piccolo. "Fino a qualche giorno fa era una delle tante con cui sei andato a letto e che ha comportato un problema.
Un problema.
Fino a pochi giorni fa ritenevi tuo figlio un problema." Rispose.
-"Beh Federico, io ho accettato la realtà.
Lola è la madre di mio figlio." Disse Benjamin. "E dovresti farlo anche tu.
Tra poco diventerò padre e tu dovrai fartene una ragione." Aggiunse.
Una breve risata fuoriuscì dalle labbra del biondo.
-"Mi stai prendendo in giro?" Chiese retorico. "Mi stai fottutamente prendendo in giro?!" Chiese ancora alzando la voce.
-"Federico non urlare con me!" Urlò a sua volte il più grande.
-"Altrimenti cosa farai?!" Chiese Federico. "Dirai anche a me che sono solo uno che ti fa sfogare quando ne hai voglia?!
Mi dirai che mi usi solo per il sesso?!" Continuò.
Quando la discussione aveva preso quella piega?
Quando avevano iniziato ad urlarsi contro?
-"Come puoi dire questo dopo tutto ciò che ho fatto per te?!"
-"Che tu hai fatto per me?" Rise Federico. "Io ho rinunciato a tutto per te mentre tu facevi la bella vita e andavi a letto con chiunque, anche con Lola!
E forse non è neanche valsa la pena!" Continuò ad urlare.
-"Se pensi questo puoi anche andartene da casa mia!" Rispose il moro.
-"Mi stai cacciando?"
-"Sì, Federico." Rispose Benjamin. "Se credi che non ne valga la pena puoi anche andartene." Aggiunse.
Il biondo restò per qualche secondo a guardarlo.
Era finita.
Prese le sue cose e uscì da quella casa che l'aveva visto sorridere, piangere, fare l'amore e spezzarsi lentamente.
Da quella casa che era stata la sua casa.
Il suo posto nel mondo.
Uscì da quel posto che condivideva con l'amore della sua vita, con colui che non gli apparteneva più.

Velocemente, e rumorosamente, chiuse la porta alle sue spalle e corse lungo il vialetto del giardino ben curato, quello in cui lui stesso aveva piantato delle rose.
Le rose sono il simbolo dell'amore, quell'amore che io provo per te.
Aveva detto a Benjamin mentre le piantava.
Che cosa ne era rimasto?
Nulla.

Uscì dal piccolo cancello tinteggiato di nero e accadde ciò che non doveva.
Accadde lo sbaglio.

Zero.

Midnight Kiss || Fenji.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora