"Buon viaggio
Che sia un'andata o un ritorno
Che sia una vita o solo un giorno
E siamo solo di passaggio
Voglio godermi solo un po' la strada„Cesare Cremonini
Paulo
Quando entrai nel bar poco lontano dallo Stadium, mi resi conto di essere, come sempre, in ritardo. La doccia, i festeggiamenti post-partita, l'obiettivo di agganciare la cima della classifica a discapito del Napoli... il mondo sembrava essersi messo contro la mia volontà di arrivare, per una volta nella vita, in orario.
Lei era lì, il braccio destro che, poggiato sul tavolino in ferro battuto, sosteneva la testa, lo sguardo perso nel vuoto.
Aveva un qualcosa di angelico mentre parlava al telefono, sorridendo di tanto in tanto, e pareva attirare l'attenzione di chiunque ne percepisse la presenza.
«Argentino de mi corazón, ci vediamo domani. Vale, ti voglio bene.» sospirò, chiudendo la chiamata.
«Scusa.» esordimmo, all'unisono, per poi sorridere.
«Ok, prima tu.» la esortai a parlare.
«Mio fratello voleva sapere dove fossi e cosa stessi facendo, per questo ero al telefono.»
«Scusa per il ritardo, ho dovuto cercare la giacca per lo spogliatoio siccome Douglas me l'aveva nascosta.»
«Ha fatto bene.» commentò.
«Ehi!»Le lanciai un tovagliolino appallottolato, che le sfiorò il naso e glielo fece storcere in una smorfia carina.
«Avete vinto?» chiese, raccogliendo il pezzo di carta.
«Due a uno.» annuii.
«Con il Benevento.»
«Sì.»
«Vabbè, basta che non vinca il Milan...» constatò. «Le altre squadre mi vanno quasi tutte bene.»
«Mi sento onorato!» le risposi, portandomi una mano sul cuore con fare scenico.Accennò un sorriso.
«Vi preferisco al Milan solo perché respirate la nostra stessa aria due volte l'anno, quattro con la Coppa Italia se va così male che beccate entrambe le squadre di Milano prima della finale.» mi smontò subito.
«Manco avessimo una malattia...»
«Vedete il mondo in bianco e nero, come sessant'anni fa. È una malattia.»
«Es estilo.» replicai.«Ragazzi, volete ordinare qualcosa?» si intromise una cameriera.
«Io prendo un mate.» le risposi, sapendo che non era per nulla cattivo in quel bar spesso sottovalutato.
«Io un the al limone.»
«A posto così?»
«Sì, grazie.» rispose Velia.«Perché hai smesso di giocare a calcio?» le chiesi, riportando tutta l'attenzione su di lei.
«Cosa sai di me?» si incupì leggermente.
«È maleducazione rispondere ad una domanda con un'altra domanda.» sorrisi, sornione.In fondo, non avrei avuto niente da perdere: era una bella ragazza, certo, ma ne avrei potute avere a migliaia.
La cameriera ci portò le nostre ordinazioni, che consumammo in breve tempo.
«Cosa sai di me?» ripeté.
«Quello che sanno tutti.»
«Alcuni non sanno nemmeno che esista, altri mi conoscono come "quella che ha fatto la pubblicità delle mutande insieme a Belén".»
«Conosci Belén?»Mi scoccò un'occhiataccia.
«Sì. Abbiamo fatto uno spot per Yamamay insieme.»
«Perché hai smesso di giocare a calcio?»
«Perché sì. Perché sono una donna e, sicuramente, non sarei sopravvissuta solo di quello. Perché giocare tra i maschi, restando ad alti livelli, è difficile per voi, figurati per me. Perché volevo poter scegliere quando, come e cosa vincere. Ora, nel nuoto, posso farlo.»«Anche nel calcio decidi tu quando vincere. Nei limiti del possibile, come sempre.» obiettai.
«Sono "i limiti del possibile" che cambiano. Al di là degli avversari, tu dipendi da altri dieci.»
«Che ti sostengono e aiutano quando sei giù, che sono pronti a sostituirti se stai male.»
«Che se giocano da cani ti fanno perdere le finali.» decretò, il sorrisetto malizioso sulle labbra di chi la sapeva lunga.«La vita non è un rigore, non sei tu contro tutti, non sarai mai tu contro tutti. Ci sono persone che ti sostengono e fanno il tifo per te, che ti difendono anche se sbagli.»
«Quello è il calcio, non la vita.»
«Tu non vivi per te stessa, vivi perché ci sono persone per cui vale la pena vivere.»
«Io vivo perché sono nata.»«Parlare con te è impossibile.» sospirai.
«Me lo dicono in tanti.» rispose, abbassando lo sguardo sull'elastico nero che portava al polso.Posai una mano sul tavolino, vicino alla sua. Non che avessi molta scelta, c'era decisamente poco spazio. Le sue dita sfiorarono le mie, questa volta per scelta.
«Eravate tu e Federico, quel giorno in cui un ragazzo mi chiese l'autografo da tatuarsi alla fermata dell'autobus, vero?»
«Si è messo in testa questa cosa del trovarmi una fidanzata...» borbottai, avvicinando un po' di più la mia mano alla sua.
«E tu me lo dici così? Che brutto amico sei? Non puoi mandare al vento i suoi piani fantastici in questo modo!»
«Fantastici? Finché non sei tu a farne le spese...»
Scosse una mano, come a voler cancellare le mie ultime parole.
«Diamogli una gioia, allora.»
«No, non voglio che si gasi per tutto ciò.»
Sollevò le sopracciglia, poi prese il cellulare dallo zainetto nero in pelle ricoperto di borchie argentate che aveva portato con sé.Scattò una foto alle nostre dita intrecciate e la pubblicò sulle storie di Instagram.
«Vorrei che ci fossi tu a sentire i suoi scleri e le sue prese in giro domani agli allenamenti. Ti accompagno in albergo che sta per piovere?»
«Passo metà della mia vita nell'acqua...»
«Dai, non ti voglio avere sulla coscienza.»Il tragitto richiese veramente poco tempo ma le grandi gocce d'acqua che scendevano dal cielo erano servite solo a confermarmi quanta ragione avessi.
«Allora... grazie.» mormorò.
«Figurati.»Mi lasciò un bacio all'angolo della bocca ed io le misi una mano dietro la nuca. Mandai a quel paese la mia coscienza che, forse saggiamente, mi suggeriva di aspettare, e feci sfiorare le nostre labbra.
«Buen viaje.» le dissi, sapendo che sarebbe dovuta tornare a Milano il giorno seguente.
«Gracias, buenas noches.» mi salutò, in un perfetto accento Spagnolo che mi fece intuire quanto bene conoscesse la mia lingua madre.
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Da Milano col pallone
FanfictionQuando, alla fine del 2017, Paulo Dybala aveva lasciato la sua storica ragazza, Antonella Cavalieri, non si aspettava che Federico Bernardeschi lo coinvolgesse in un vero e proprio inseguimento, organizzato al solo scopo di trovare una nuova fidanz...