58/1. Il terzo incomodo

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"Per non dimenticare mai
Per non dimenticare che
Comunque vada ovunque andrai
Sarai parte di me
Ed ogni volta che
È possibile
Io penso a noi„

Raige

Paulo

Lasciai vagare lo sguardo distrattamente su e giù per il locale, mentre sorseggiavo un po' della mia birra. Avevo scelto di non esagerare con gli alcolici, cosciente del fatto che ai miei problemi, che si sarebbero ripresentati senza alcuna pietà la mattina seguente, avrei dovuto aggiungere una bella sbronza da smaltire in fretta, al fine di allenarmi al meglio davanti a Sampaoli, a cui stavo tutto tranne che simpatico.

Avevo insistito affinché Gonzalo invitasse anche Lara, la sua compagna, un po' per non lasciarlo a sorbirsi - ancora una volta - le mie paranoie, un po' perché mi dispiaceva che, essendo vicini, non trascorressero del tempo insieme a causa mia. Li osservai ondeggiare a tempo di musica, mentre una ragazza, né particolarmente fastidiosa né particolarmente stonata, canticchiava senza impegno al karaoke, improvvisato per scaldare un po' l'atmosfera.

Mi sedetti su uno degli alti sgabelli che fiancheggiavano tutto il lungo bancone in legno, posando ciò che restava della mia bevanda e passandomi una mano tra i capelli, senza troppa cura.

«Merda.» sentii imprecare una ragazza che, concentrata sul suo cellulare, aveva appena preso posto di fianco a me.
«Signorina, gradisce qualcosa?» le chiese il barista, scrutandola con attenzione.

Lunghi capelli neri, occhi marroni, eye-liner marcato e tanto, tanto mascara. Indossava un vestitino nero, aderente, ricoperto di paillettes, che sarebbe stato male alla stragrande maggioranza della popolazione femminile mondiale ma che lei poteva assolutamente permettersi.

Velia non avrebbe mai acquistato un indumento del genere, perché troppo corto e scollato, senza contare il modo in cui metteva in evidenza le spalle della ragazza. La mia Velia sosteneva che le sue spalle larghe, dovute al nuoto, andassero mascherate il più possibile con abiti che non racchiudessero nelle maniche la loro particolarità.

«Sì, mi scusi, sa, i soliti casini. Un margarita, per favore.» ordinò, frugando nella pochette minuscola in cerca dei soldi.
«Offro io.» posai sul bancone una banconota.
«Non c'è bisogno, davvero...» mi fermò, i soldi in mano.

«Non sarà un margarita a mandarmi in rovina.» feci segno al barista di accettare che pagassi io.
«Allora grazie.» sorrise lei. Un bel sorriso, dolce, trasparente, quasi infantile. «Piacere, Oriana.» avvicinò le labbra alla cannuccia, porgendomi una mano.
«Paulo.» ricambiai la stretta.

«Cosa ci fai qui, tutto solo?» voleva attaccare bottone ed io non avevo nulla in contrario. Piuttosto che osservare Gonzalo e Lara, deprimendomi ancora di più...
«Il terzo incomodo.» accennai ai due Argentini.

«Brutta storia.» rise lei. «Io ero qui con la mia migliore amica, che ha rimorchiato uno e se n'è andata con lui e con le chiavi della casa che abbiamo affittato.»

Sorrisi appena, bevendo l'ultimo sorso di birra.
«E non mi risponde al telefono.» bloccò il cellulare e lo posò tra noi due. «Ma non voglio tediarti con i miei futili problemi, anche se, probabilmente, l'ho già fatto.» scosse la testa.

«Sono qui che non faccio niente.» alzai le spalle. «Se vuoi posso ricambiare il favore con le stupide paranoie che mi faccio da una settimana a questa parte.» ordinai un'altra birra.

«Io passo la vita a farmi delle paranoie.» si spostò i capelli su una spalla.
«Ho una ragazza, la lascio per un motivo che, con il senno di poi, non sta né in cielo né in terra, voglio tornare sui miei passi, devo venire qua per lavoro, lei va in vacanza in Australia con un altro. Fine.»

«Giochi a calcio, vero? Ho già visto la tua faccia da qualche parte...» si sforzò di ricordare.
«Sì, gioco a calcio.» confermai.
«Anche in Nazionale!» esclamò poi, come se avesse scoperto l'acqua calda. «Sono Argentina ma non seguo il calcio .»

Oriana era diversa da Velia, così diversa che quasi mi pentivo di cercare un costante paragone tra le due, un paragone che non aveva ragione di esistere perché la mia Velia era meglio, molto meglio.

La mora era frivola, quasi insipida ed, in un certo senso, standard. Sicuramente adorava lo shopping, i trucchi e tutto quello che poteva rivelarsi utile al suo intento di apparire bella, più che esserlo nella realtà, come capitava a milioni di ragazze.

«Senti, se ti dicessi che Gonzalo, il mio compagno di avventure, non tornerà in hotel stanotte anche se dovrebbe perché siamo in ritiro...» incominciai.

«Ma quando siete in ritiro non dovete concentrarvi sulla preparazione atletica, invece che uscire la sera?»
«Dovremmo ma definire "allenatore" il tizio che ci porterà ai Mondiali è un insulto nei confronti di quelli che davvero sanno allenare.» bevvi un sorso di birra.

«Comunque, in camera nostra c'è un letto libero. Dovrai entrare dal retro dell'hotel perché è possibile che ci sia qualcuno in giro e domani mattina, prima delle nove, dovrai essere fuori dalla stanza, se vuoi...»

«Perché fai tutto questo per me?» posò una mano sulle mie.
Perché voglio dimenticare.
«Perché mi sentirei in colpa a lasciarti senza un posto in cui andare.»

Un sorriso le illuminò il volto, prima che si sporgesse leggermente verso di me, lasciandomi un bacio umido all'angolo della bocca.
«Grazie, Paulo.» sussurrò poi.

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