75. Zappe ed escavatori

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"Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce„

Blaise Pascal

Paulo

«Ciao Velia, buongiorno ragazzi!» una donnina tutta pimpante ci venne incontro, salutando con due baci sulle guance la mia bionda preferita, stringendoci la mano e presentandosi. «Allora, mi hai detto che avete intenzione di fare un regalo.» prese un blocchetto dal tavolo ingombro di fogli.

«Sì, per la sua ragazza.» Velia indicò Federico.
«Non stiamo insieme.» sbuffò lui, mettendo le cose in chiaro.
«Dice così perché l'altro ieri hanno litigato pesantemente.» intervenni.

«L'amore non è bello se non è litigarello.» ammiccò lei. «Dicevamo... a cosa avevate pensato?»
«Qualcosa di lungo. Vorremmo fare le cose in grande, dopotutto sono venticinque. È importante, per me.» rispose Velia.

«Da come ti guarda quando ne parli, presumo sia importante anche per qualcun altro.» sorrise in direzione del Carrarese.
«Cos'è, un complotto?» si lamentò lui.

«Niente del genere, ogni tanto serve aprire gli occhi alla gente. Com'è fisicamente?»
«Mora, occhi scuri, incarnato leggermente olivastro, di fisico mi assomiglia, ha un po' più seno di me ma molte meno spalle.»

«Ottimo. Allora, prendiamo in considerazione qualche modello...» si guardò intorno, scegliendo alcuni abiti.
«Possiamo provarli ad un manichino, per vedere l'effetto che fanno?» domandai.

Nel giro di poco tempo la sala si riempì di manichini, un po' perché avevamo idee contrastanti su quasi ogni abito, un po' perché i modelli a nostra disposizione erano davvero tanti.

«A me piace la forma di quello rosso.» commentò Federico, dopo aver fatto lo slalom tra gli abiti con aria critica.
«Sì, però non mi convincono né il colore né le decorazioni in pizzo.» Velia sollevò un lembo della gonna del vestito. «E le maniche color carne.» aggiunse poi.

«Questi potrebbero interessarvi?» altri cinque abiti fecero la loro comparsa sul tavolo. «Sono un po' più elaborati, forse troppo per quello che avete in mente, ma... Velia, provali, come taglia ci dovremmo essere, almeno li vedete su e li confrontate con gli altri.»

«Io?!» la mia ragazza si squadrò dalla testa ai piedi.
«Quante altre "Velia" vedi, in questa stanza?» disse Federico, ridendo. «E poi sarei io quello stupido, che non è in grado di tenersi una ragazza...»
«Quale?» lo interruppe subito lei.

«Questo.» indicai un abito bianco, dal corpetto lavorato.
«Ma è da sposa.» arricciò il naso.
«E allora? Vai.» le misi il vestito tra le mani.
«Non doveva andare così.» borbottò. «Io che mi provo abiti da sposa davanti al mio fidanzato. Non doveva andare così.» si infilò nel camerino.

«Che poi parliamo sempre di me ma non è che tu sia messo tanto meglio.» Federico ammiccò. «State di nuovo insieme da qualcosa come tre secondi e la porti in un negozio di abiti da sposa?»
«Lei mi ha portato qui. Se fosse stato per me, saremmo a letto, in questo momento. A dormire.» specificai poi, vista l'occhiataccia rivoltami dal Carrarese.

«Sottigliezze. Quando le chiedi di sposarti?»
«Che?! Sei pazzo o cosa?» quasi mi soffocai con la mia stessa saliva. «Fede, l'hai detto tu, stiamo insieme da pochissimo!»

«Pochissimo più sette mesi fa abbastanza. Anche un secondo è abbastanza, se è la persona giusta. Ed il fatto che tu sia qui con me e lei, invece che a spassartela in Grecia, mi dà un numero considerevole di argomenti a sostegno della mia tesi: Paulia.»

«Sono cinque mesi e sedici giorni.» lo corressi, ignorando di proposito il resto del discorso.
«Un caso perso!» esalò lui, con tono disperato.
«No caro, due casi persi.» la donnina ci indicò.
«Ti sei tirato la zappa sui piedi.» derisi Federico.

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora