38. Stare male

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"Nem todos sabem o que passei pra chegar até aqui, falar até papagaio fala, agora fazer. Na minha vida as cosas nunca foram fáceis, não seria agora né

Non tutti sanno quello che ho passato per arrivare fin qui, parlano come parla un pappagallo, parlano ancora. Nella mia vita le cose non sono mai state facili, non lo sono nemmeno ora„

Neymar

25/02/2018

Velia

«Berna.» salutai il Carrarese, incastrando il cellulare tra l'orecchio e la spalla, mentre frugavo nel cassetto delle posate alla ricerca di un cucchiaino per mangiare il gelato all'ananas che avrebbe sancito la fine della mia cena.

«Velietta, qual buon vento! Come va?»
«Bene, bene, tu?»
«Tutto a gonfie vele.»
«Avete fatto allenamento oggi pomeriggio?» chiesi, selezionando il viva voce e sollevandomi sulle braccia per stravaccarmi sul divano, davanti al match di Ligue 1 che vedeva impegnato il PSG e l'Olympique de Marseille.

«Sì, adesso siamo a cena tutti insieme ma tranquilla, sono uscito prima di rispondere, così Paulo non fa domande.»
«Sei un angelo. Come... sta?»

«Meglio, da quando leggi i suoi messaggi. Secondo me conviene che tu ti faccia viva prima di andare a Bologna per le nuove protesi... passerebbero altri due mesi e non so quanto bene vi possa fare.» sospirò.

Sussultai ad un intervento falloso su Neymar, mentre il mio cervello dava ragione al trentatré.

«Il sette giocate contro il Tottenham?» chiesi, poco dopo.
«Sì, perché?»
«Ho il biglietto. Vengo in Inghilterra.»

«Berna, tutto bene?» domandò la voce che avrei riconosciuto tra un milione.

«Paulo.» sussurrai, quasi involontariamente.

«Vuoi...» mi rispose Federico.
«No.» lo interruppi. «Va bene così. Lin!» chiamai la mia allenatrice che, saltellando da una parte all'altra della casa, cercava la sua spazzola preferita.

«Dimmi, Vel.»
«Parla con il tuo ragazzo.» le porsi il telefono.
«Il mio... ragazzo?»
«Bernardeschi.» risposi, mettendo in attesa quest'ultimo. «Nascondimi. C'è Dybala.»

«Ancora con questa storia?» sbuffò.
«Un secondo, che ti costa? Fai finta che ti sia finito il credito, così hai anche la scusa per usare il mio telefono.»

«Fede.» sospirò, sbloccando la chiamata.
«Non ci credo.» rispose lui, ridendo appena.
«Al fatto che io vi stia parando il culo essendo qui quasi per caso o al fatto che lei non voglia parlare con lui dopo tutto questo tempo?»
«Più alla prima che alla seconda.»

Mi sistemai un cuscino dietro la schiena, mentre Paulo individuava in Linda il motivo dell'uscita improvvisa di Federico dal locale.

«Come sta Velia?» domandò l'Argentino.
«Meglio, è stata dimessa stamattina verso le dieci.» rispose lei, lanciandomi un'occhiataccia che finsi di non vedere, spostando l'attenzione sull'esultanza per il gol che Neymar aveva appena segnato, complice anche una deviazione di Rolando ed una dormita del portiere del Marsiglia.

Presi il cellulare della mia amica dal basso tavolino in vetro davanti a noi e filmai il replay della rete, postandolo sul mio profilo Instagram sotto forma di storia che recitava qualcosa come "Orgulhosa de você (orgogliosa di te)".

«E non mi vuole proprio vedere?»
«Non è che non ti voglia vedere, è che si vergogna terribilmente di averti detto "ti amo".»

A quelle parole fui io a fulminarla con lo sguardo, al che lei sorrise.

«Tutto qui?»

Scossi la testa: o io mi facevo troppe paranoie, o la gente dava troppa poca importanza a quella maledettissima espressione.

«No!» esclamò Linda. «No... ha anche detto che non vuole vederti finché non sarà in grado di stare in piedi di nuovo.»

Paulo sbuffò, per l'affermazione della mia allenatrice. Io sbuffai, per il tiro sparato sulla luna da Mbappé.

«Ése no es de ninguna manera el problema (non è certo questo il problema).»
«Lo sé

«Che poi è bellissimo, parlate con i nostri cellulari ed in un'altra lingua.» sbuffò, questa volta, Federico.

«Ho finito il credito.» si giustificò Linda, facendomi ridere. «Tu guarda la partita e non t'impicciare.» si rivolse a me, mentre mi spintonava appena.
«C'è l'intervallo, sei tu che ti ritrovi magicamente fuori dal mondo quando si tratta di
Fede-trentatré-cuoricino-cuoricino.» la presi in giro, riferendomi a come aveva salvato il calciatore in rubrica.

«Velia!» mi rimproverò. «Fede...» disse, passando ad un tono più dolce. Molto più dolce.
«Anche tu.» rispose lui alla domanda implicita che né io né Paulo - e questo potevo dirlo con sicurezza - conoscevamo. «Buonanotte.» salutò per primo.
«'Notte.» rispondemmo io e Linda, praticamente in coro, poi lei mi restituì il cellulare.

Paulo e Federico borbottarono qualcosa che non capii, prima che alcuni passi riempissero l'aria silenziosa.

«Velia...» sussurrò, con quel tono di voce caldo che tanto mi piaceva.
«Paulo...»

«Solo voy a decirte que te echo de menos (ti dico solo che mi manchi).»

«Yo también... todos los días. Te quiero, Paulo

«Por eso desearía que estuvieras aquí, desearía poder decirte cuánto te amo... (è per questo che vorrei che fossi qui, vorrei poterti dire quanto ti amo...)»

Il mio cuore doveva aver deciso che lo spazio all'interno della cassa toracica fosse troppo piccolo per lui, mentre io scuotevo la testa.

«Antes tengo que levantarme, Paulo... soy en un estado lamentable (prima devo rialzarmi, Paulo... sono in uno stato pietoso).»

«Tú eres fuerte, Velia. Buenas noches

Riattaccai con il cuore un po' più leggero: la sua voce era sincera, non avevo motivo di dubitare delle sue parole. E poi, non mi piaceva dubitare delle persone, nonostante non tendessi a fidarmi e non fossi ottimista nei confronti dell'umanità.

Alzai lo sguardo sulla televisione mentre Linda, che aveva ascoltato buona parte della mia conversazione con l'Argentino, tornava vincitrice dal soggiorno, stringendo la spazzola tra le mani.

«Vado ad asciugarmi i capelli.»
«Linda... mi porti il Mac, per favore?»
«Che è successo?» mi lasciò il computer sulle gambe.

«Neymar.» accennai alla tv con il mento. «Si è fatto male.» le spiegai, mentre caricavano il Brasiliano sulla barella arancione.

» le spiegai, mentre caricavano il Brasiliano sulla barella arancione

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«Si è rotto qualcosa.» constatò lei che, più esperta di me, stava osservando come il calciatore fosse inciampato su se stesso nel tentativo di schivare un avversario.

«Vado a Parigi.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora