22. Scale

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"Con te ho il dovere in anzi tutto di essere sincero,
Non ho bisogno di fingere,
Non ti nascondo niente nemmeno di quel che ero,
Non ti devo convincere
Hai i tuoi motivi che ti legano stretta a me„

Raige

Velia

Percorsi il tunnel dell'Allianz Stadium (nella foto, scattata da me medesima un torrido lunedì di agosto del 2017) e mi sedetti al fianco di Candreva, come se avessi ancora potuto giocare davvero. I titolari si schierarono in riga ed i miei occhi caddero sullo sguardo concentrato di Paulo, che sembrava un bellissimo bambino imbronciato.

«Chi è?» mi chiese il Nerazzurro.
«Chi?»
«Quello che fossi da quando ci siamo seduti.»
«Non sto fissando nessuno.» ribattei.

Sì che lo stai facendo.
Shh.

«Allora guardami quando ti parlo.» scoppiò a ridere.
«Io ti sto... ok, ok, il più lontano.» sbuffai.
«Dybala?!» urlò.
«Shh.» mi portai un dito davanti alla bocca.

«Quant'è seria la cosa da uno a cinque?»
«Diec... eh?» mi bloccai. «Le tue scale vanno sempre da uno a dieci!» protestai.
«Voglio essere il primo invitato al matrimonio.»

Lo schiaffeggiai sul braccio mentre Mauro batteva il calcio d'inizio. Quella volta avevo un motivo in più per guardare la partita, che mi piacesse o no, è la mia ansia stava raggiungendo livelli esageratamente alti. Altissimi.

Il fatto che non avessi il benché minimo potere su quello che sarebbe successo mi dava fastidio. Speravo, speravo tanto, e mi torturavo le mani (o le torturavo a chi mi stava di fianco) senza esserne del tutto cosciente.

«Perché guardare una partita con te è sempre impossibile?» mi chiese Antonio.
«Cosa?» non staccai gli occhi dal campo.
«Mi stai stritolando una mano.»
«Mh, scusa.» borbottai.

«Velia, potresti togliere la mano dalla mia? Ci terrei ad avere tutte le ossa intere alla fine della partita.» mi richiamò lui.
«Oddio, scusa!» tolsi la mano da quella del giocatore, ridendo.
«Merito di diventare santo.» mi spinse leggermente.

«Non è colpa mia se rischiamo di prendere gol anche dai raccattapalle.» sbuffai.
«Neanche della mia mano. Quante volte te l'ho già detto?»
«Aspetta... ventidue.» feci un rapido calcolo.

«Tieni il conto? Tu sei tutta scema!» rise.
«Non si insultano le signorine.» gli agitai l'indice davanti alla faccia.
«Non si minacciano le persone.»
«Altrimenti?»

«Avete rotto le palle!» ci interruppe Andrea Ranocchia.
«Oh, ma che cazzo vuoi?» gli chiesi, ridendo, con tutta la finezza che avevo in corpo.
«Il linguaggio da scaricatore di porto non si addice ad una signorina.» mi rimproverò lui.

«Non si dà del portuale ad una signorina.» mi difese Antonio.
«Lei? Non è una signorina, è un ibrido.»
«La finite? Sono qua anch'io.» li zittii.

«Stai perdendo di vista il tuo nuovo fidanzato.» mi richiamò Antonio.
«Sei fidanzata e non me l'hai detto? Io offesissimo.»
«Non sono fidanzata, Andrea!» sbottai. «E poi è tutta colpa vostra

«Anche l'ultima volta che ti sei fidanzata hai detto così. Chi è?»
«Non te lo dico.» cantilenai.
«Anto?» chiese allora.
«Anto.» lo ammonii io.
«Dybala.» sciorinò l'infame.

«Antonio! Potrei fare una scenata qui, davanti a migliaia di persone.» mi alzai in piedi, al triplice fischio dell'arbitro, che sancì la fine del match su uno zero a zero abbastanza inutile per entrambe le squadre.

«No, Velia, perdono!» si inginocchiò ai miei piedi.
«Se, tu e il perdono. Alzati, traditore dei compagni di squadra.» gli diedi un calcetto su un ginocchio, facendo dietrofront, con l'intenzione di raggiungere Mauro.

Scambiai un paio di parole con Samir, autore di alcune parate fantastiche, ed incrociai Paulo, che si dirigeva verso gli spogliatoi.

«Ciao.» gli strinsi la mano, come avrei fatto con qualunque altro giocatore.
«Cos'è, fai finta di non conoscermi?» sorrise lui, gli occhi che, illuminati dai fari, sembravano ancora più chiari.

Si spostò un ciuffo ribelle dalla fronte imperlata di sudore, guardandomi

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Si spostò un ciuffo ribelle dalla fronte imperlata di sudore, guardandomi. I muscoli guizzavano sotto la maglia aderente ed io realizzai che sarei potuta rimanere ad osservarlo per ore in tutta la sua disarmante bellezza.

«Ti aspetto fuori, Ezechiele.» gli diedi una pacca sulla spalla, cosa che fece anche lui, prima di andarmene.
«Princesa.» mi abbracciò Mauro.
«Capitano.» allacciai il lungo cappotto dell'Inter che indossavo.

«Esci con Paulo?» mi chiese.
«Non dovrei?» corrugai la fronte.
«Perché ci vai?»
«Sono qui...»

«Anche sei anni fa mi hai risposto la stessa cosa quando ti ho chiesto perché uscissi con Mario.»  mi cinse le spalle con un braccio. «Velia, mettete in chiaro le cose, tu sei bravissima a fare delle cazzate e restarci male per una settimana, massimo due.»

«Ehi, non è vero.» lo schiaffeggiai sulla nuca, guadagnandomi un'occhiataccia. «Ok, hai ragione, va' avanti.»
«Se devi piantarlo in asso, insegnagli prima a rialzarsi. Lui si affeziona davvero alle persone e ci sta male. Tanto.» entrammo nel tunnel.

«Altro?» chiesi, scocciata, e mi fermai davanti agli spogliatoi degli ospiti.
«Non devi mica per forza dirgli di no.» mi posò un indice sulla fronte. «Tra tutti, mi sta anche abbastanza simpatico. Divertiti, biondina.»

»

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