89. Casa

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"Mi sono chiesto spesso
Che cosa fosse il tempo
Se in fondo quando ti amo
Il mondo non lo sento„

Ultimo

Velia

La prima visita dal ginecologo era andata davvero bene e noi ne eravamo entusiasti: il bambino godeva di ottima salute, mentre io potevo tranquillamente continuare ad allenarmi, seppur con una pesante revisione del carico di lavoro giornaliero, che era stato ridimensionato esponenzialmente da quando a nuotare eravamo in due.

«Sposiamoci in Duomo.» propose Paulo a metà dei trenta secondi di stop tra una serie e l'altra.
«Sarebbe un sogno.» sorrisi. «Ti ho già detto che ti amo?» lo baciai su una guancia.
«Oggi non ancora.» si appoggiò al muretto. «E poi stavo pensando ad un'altra cosa.» mi cinse le spalle con un braccio, come se la nostra pausa dovesse durare per sempre.

«Del tipo?» ignorai lo scadere dei trenta secondi, godendomi la sensazione che la sua pelle sulla mia calda generava in me.
«Cosa farai quando inizia il Campionato?»
«Non ne ho idea, sinceramente mi sono imposta di evitare di pensarci.» giocherellai con le sue dita.
«Io devo andare a casa, ma non voglio. Casa sei tu.»

«Io non devo e forse non voglio neanche. Senza di te... boh. È la prima volta in ventiquattro anni di vita che non ho nessun programma, nessun obbligo e nessun impedimento.» riuscii in qualche modo a stringermi ancora di più a lui.
«Ti andrebbe di venire a Torino?» mi accarezzò dolcemente la spalla.
«Con te?»

«Hai qualcun altro in mente?» abbozzò un sorriso.
«Paulo! Non era quello che intendevo dire e l'hai capito benissimo.» lo schiaffeggiai sul petto.
«Allora? Vieni con me o no?»
«Potrei lasciarmi convincere.» alzai le spalle. «Dai, è ora di proseguire.» presi un paio di pull buoy dal bordo vasca.

«Io non so usare questo... coso.» si lamentò lui.
«Serve per migliorare la bracciata, infatti. Il tuo punto debole. Ci sarebbero un sacco di cose da dire, fare, correggere, modificare... quando sono stata sei mesi in Australia con Gregorio ho davvero capito come si migliorano le bracciate.»
«Ho scelta?» sbuffò, contrariato.

«No, mi sa di no.» iniziai a spiegargli qualcosina, mentre lui mi chiedeva come mai si facesse in un modo piuttosto che in un altro, perché si dovesse spostare la maggior quantità di acqua possibile e via discorrendo. «Adesso non te ne rendi conto, non nuoti abbastanza spesso per poterlo fare, ma, con la pratica, inizierai a capire quale bracciata sia venuta bene e quale no. È tutto un gioco di equilibri, devi sentire l'acqua scorrere sotto di te.»

Il ritmo blando dell'allenamento mi consentì di aiutare davvero l'Argentino che, dopo secoli, poté finalmente vantare una nuotata quasi efficace. La coordinazione aiutava tanto e quella a Paulo non mancava in assoluto, era solo necessario che capisse come trasferirla dal prato dello Stadium all'acqua, cosa che stava facendo sempre in maggior misura.

«Hai nuotato i 50 sei secondi più veloce di ieri. Possiamo ritenerci soddisfatti.» mi issai sulle braccia, prendendo posto sul bordo della piscina.
«Sono fantastico!» si vantò, con un sorrisone stampato sul volto.
«E tanto, tanto modesto.» finii di indossare le protesi.
«Non me l'aveva mai detto nessuno.» ammiccò lui, sollevandomi di peso dal pavimento per mettermi in piedi.

«Te lo ripeterò fino a quando vorrai.» presi l'accappatoio dall'appendiabiti. «Anche se non so quanto sia veritiera come cosa.»
«Velia!» mi richiamò, quando ormai avevo già chiuso la porta dello spogliatoio tra di noi.
«Velia chi?» dissi di rimando, mentre recuperavo lo shampoo dal borsone.
«Tua sorella. Dopo facciamo i conti.» borbottò, entrando nel suo spogliatoio.

Una volta pronti, uscimmo dalla piscina, e lui mi prese per mano. Una cosa da niente, certo, che diventava speciale se a farla era Paulo. Di mani tra le mie ne avevo tenute di tutti i tipi, mani grandi, piccole, curate, rovinate dal lavoro, sudaticce, che tremavano... per non parlare, poi, della maggior parte dei ragazzi che mi avevano tenuta per mano.

C'erano due tipi di ragazzi, quelli le cui mani morivano tra le mie, quasi come se tenersi per mano fosse un obbligo imposto dall'essere fidanzati o quasi fidanzati, e poi c'erano altri ragazzi le cui mani si muovevano convulsamente tra le mie, tanto che sorgeva spontaneo chiedersi se avessero paura di annoiarmi o chissà cosa. Con Paulo era tutta un'altra storia, ci si teneva per mano e basta, senza farne una questione di Stato o girarci troppo intorno. E a me tutto quello rendeva felice, incredibilmente felice.

«Non dovevamo fare i conti, noi due?» gli chiesi dopo un po', ridendo.
«Quando siamo insieme, scordo anche come mi chiamo. Non sono molto attendibile nel momento in cui ti minaccio.» ammise. «Con te, il mondo non esiste.» mi guardò, gli occhi che brillavano, il portamento fiero, la schiena dritta, a riempirmi di complimenti con una nonchalance disarmante, come se farlo fosse la cosa più giusta e normale del mondo, io che di giusto e di normale avevo ben poco ma che insieme a lui mi sentivo al mio posto.

Buon Natale🎄

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora