36. Buongiorno

1.8K 53 7
                                    

"Mi hai detto che mi amavi ma era solo un pretesto,
Vorrei baciarti in bocca ma ora io non ci riesco,
Non ho da cambiare, non è che c'hai il resto?
Pensavo fosse amore invece eri una escort„

Fedez

L'assenza di complicazioni varie durante il decorso postoperatorio era stata una vera e propria manna dal cielo per tutti, in quanto, dopo neanche due settimane, i medici avevano iniziato a diminuire il quantitativo di antidolorifici somministrati a Velia, favorendo progressivamente il suo risveglio.

In una fredda mattina di metà Gennaio, mentre la neve si appoggiava leggera sulle strade del capoluogo Lombardo, Valentino varcò la soglia dell'ospedale.

Tommaso si trovava a scuola, perché trascorrere del tempo ad osservare una persona in coma era - a detta di tutti - poco produttivo, se non addirittura inutile.

Valentino sedette sulla solita seggiola vicina al letto della sorella e le prese una mano, poi ne baciò le nocche. Osservò un paio di infermieri terminare la sostituzione dei bendaggi, ancora in corso perché gli orari di visita del pilota avevano subito alcune modifiche da quando, senza alcun riguardo, una dozzina di fan si era intrufolata nei corridoi dell'ospedale, con lo scopo di chiedere foto ed autografi al neo Campione del mondo.

«Noi abbiamo finito.» gli comunicò, congedandosi, un ragazzo che assomigliava in tutto e per tutto ad una versione povera di Zayn Malik.

Valentino annuì distrattamente mentre, con il pollice, disegnava dei piccoli cerchietti sul dorso della mano della sorella.

«Vale...» la voce tenue della ragazza modulò le parole.
«Velia! Ti sei svegliata!» esclamò lui, con un sorriso immenso dipinto sul viso.

Sua sorella batté le palpebre un paio di volte, per abituarsi alla luce che, seppur scarsa, era sicuramente maggiore di prima.

«Chiamo il dottore.»

Velia voltò la testa, posando lo sguardo sulle lenzuola che si appiattivano - innaturalmente - appena sotto le ginocchia.

«Le mie... le mie gambe. Cos'è successo? Perché non mi ricordo niente?» sussurrò, sull'orlo di una crisi di pianto.
«Ti ha investita un treno.» le spiegò il fratello, dimentico di tutti i bei discorsi che nella sua testa avevano preso forma fino al secondo precedente il risveglio.

«Oh, buongiorno, ci siamo svegliate!» esclamò il primario dell'ospedale, carico di un entusiasmo smisurato. «Come stiamo?»
«Bene.» rispose lei, prima di cercare di asciugare le lacrime.

«Vi mando un'infermiera per provare la pressione. Ti gira la testa? Ti viene da vomitare?»
«No, sto bene. Davvero.» provò a convincere più se stessa che gli altri. Il primario abbandonò la stanza e Valentino si passò una mano tra i capelli.

«Tommaso è a scuola.» esordì lui, per cambiare argomento. «Tra venti minuti finisce l'orario di visita, nel pomeriggio veniamo a trovarti.»
«Come vuoi. Mauro?»

«Non sta bene. Dovrebbe allenarsi, nel pomeriggio.»
«Quando può venire digli che sono sveglia. Non voglio vedere nessun altro.» rispose lei, lanciando il cellulare in un cassetto del comodino.

Ruotò lentamente il capo verso la finestra e guardò il grigio tenue, quasi bianco, abbagliante, del cielo.

I cristalli ghiacciati la fecero sorridere tra le lacrime, ripensando al giorno in cui suo figlio aveva imparato a camminare. Era appena tornata dall'allenamento, sospeso a causa della troppa neve, quando un batuffolino azzurro, dal passo incerto e scoordinato, le era capitato tra le braccia sul vialetto di casa.

Si era abbassata sulle ginocchia e aveva lasciato che il borsone affondasse nel manto bianco, prima di sollevare il figlioletto al cielo, rivedendosi in quegli occhietti spaesati ma felici di chi si sentiva al sicuro senza conoscerne bene il motivo.

Un insieme di azioni che non avrebbe potuto ripetere, per diverse ragioni, a partire dalla mancanza di un paio di gambe su cui inginocchiarsi.

«Velia...» riprese a parlare Valentino, accortosi che il suo telefono vibrava a causa di una chiamata di Dybala, a cui aveva risposto, pregando in tutte le lingue che l'Argentino non parlasse. «Il tuo moroso?»

«Avevo un moroso?» chiese lei, sorridendo maliziosamente. Già una volta si era svegliata dal coma e già una volta aveva finto di dimenticare l'esistenza di qualcuno.
«Piantala che ti ricordi.»
«Gli ho detto che lo amo!»

«Mi hai detto che mi amavi ma era solo un pretesto...» canticchiò Valentino, per alleggerire la tensione.
«No, no, che imbarazzo.» arrossì lei.

Indossava un camice ospedaliero bianco a pois verdi, sformato per i troppi lavaggi subiti, che le arrivava appena sotto al sedere.

«Sono anche dieci giorni che non fai la doccia.» rise il fratello, vedendola scioccata dalle sue condizioni. «E se ti vedesse Paulo?»
«Panico! Lui, che può avere tutte le modelle del mondo, si metterebbe mai con una senza gambe? Per favore.» scosse la testa.

«Anche prima non avevi una gamba.»
«Ma non è la stessa cosa! Ora me ne mancano due. Non cammino.» sbuffò. «Poi gli ho detto che lo amo. Con una nota vocale. E già così fa pena come situazione.»

«Se parlaste, invece di...»
«No!» venne interrotto dalla sorella. «No. Lui sta a Torino ed io rimango qua. Per l'amor del cielo, ci manca solo un altro casino. Poi non si è fatto male?»
«Un mese di stop.» confermò lui. «Allora, cosa gli dico?»
«Niente.»

«Velia.» sbuffò, esasperato.
«Che lo lascio perché lo amo troppo.»
«E io mi chiamo Giuseppe. Fai pace con il cervello, hai cinque ore di tempo.»

«Porta i libri quando torni, ho abbastanza tempo per studiare tutto. Ah, Vale...» lo richiamò, quando ormai era sulla porta «mi avevi promesso la pizza.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora