21. Leccapiedi

2.4K 70 5
                                    

"Sii un angelo per qualcun altro ogni volta che è possibile. Sarà un modo per ringraziare Dio per l'aiuto che il tuo angelo ti ha dato„

Eileen Elias Freeman

Velia

Al suono della sveglia, non ancora del tutto cosciente, aprii gli occhi e cercai di mettere a fuoco il mondo. Sollevai delicatamente il braccio di Paulo dalla mia pancia e scesi dal letto, passai per il bagno a darmi una sistemata e, percorso il disimpegno tra le due stanze, attraversai la sala, l'ingresso, il soggiorno ed entrai in cucina.

«Buongiorno, sorella!» mi salutò Valentino.
«Da quando tutta questa gioia di mattina, fratello
«Sono contento di essere a casa con te. Non posso?»
«Che lezioni abbiamo oggi?» gli chiesi, con uno sbadiglio.

«Boh, qualcosa sull'approfondimento di Inglese.» aprì un quaderno sul tavolo. «Non mi ricordo. Vorrei solo andare a letto e far finta che gli altri non esistano...» disse, con aria sognante.

«Mi basta che spariscano una decina di persone dalla faccia della Terra.» alzai le spalle.
«Uh, vero che la mia piccola sorellina è innamorata.» mi scompigliò i capelli.

«Che pirla!» arrossii.
«Chi mi porta a scuola?»
«Tommi!» esclamammo all'unisono.
«Mi chiamo così.» si sedette al tavolo della cucina.

Tirai indietro i capelli per raccoglierli in una crocchia disordinata per non intingerli nel latte che avrei bevuto per colazione.

«Bionda, non legarti i capelli.» Paulo s'impossessò del mio elastico.
«Tu hai un serio problema con i miei elastici.» sbuffai.
«E voi avete una casa troppo grande. Mi sarò perso almeno dieci volte per arrivare fin qui.» scosse la testa.

«Ti faccio fare una gita turistica se mi prometti di tornare.» intervenne Tommaso. «Loro» ci indicò, imbronciandosi «sono cattivi, perché hanno solo amici Interisti.»

«Promesso.» gli strinse la mano Paulo. «D'altro canto, anche le persone migliori hanno dei difetti.» commentò, poi, guardandomi.

«Leccapiedi.» risposi.
«Cos'è un... leccapiedi?» corrugò la fronte.
«Uno che loda gli altri per interesse, Ezechiele.»
«Io non sono così!» si lamentò.
«Se.» annuii, poco convinta.

«Tommi, sai come si dice?» domandò Valentino al piccoletto, che scosse la testa. «Tra moglie e marito non mettere dito. Andiamo a scuola.» lo prese per mano.

«Valentino!» gli lanciai un tovagliolo appallottolato.
«Ti voglio bene.» sollevò con un ghigno di sfida il terzo dito in mia direzione.

«Anche io, quasi sempre.» gli risposi. «Devi proprio tornare a Torino?» mi rivolsi poi a Paulo.
«Sì, perché compio gli anni e viene la mia famiglia.» posò un braccio sulle mie spalle.
«Siete molto uniti.»

«Dopo la morte di mio padre ci siamo avvicinati tanto, anche se non mi avevano spiegato cosa gli stesse succedendo. Avrei voluto almeno salutarlo, prima che se ne andasse del tutto.» fissò il vuoto.

«Sono sicura che è orgoglioso di te e che ti guarda tutti i giorni da lassù.» posai il capo sulla sua spalla.
«No, Velia, no. Lui è morto ed io sono qui a cercare di coltivare il nostro sogno ma sono troppo debole. Sai, Berna mi ha costretto a guardare il tuo debutto in Serie A.»

Annuii: le immagini di quella partita erano marcate a fuoco nella mia memoria.

«Quando sei entrata, quasi tutto San Siro ti fischiava. Gli stessi tifosi della squadra per cui giocavi ti trattavano peggio del più odiato degli avversari. E tu eri lì, tranquillissima. Poi ci sono io, che quando sogno mio padre, mi sveglio piangendo. Quando lo sogno.» s'interruppe. «Sono solo un bambino che, oggi come nove anni fa, si piange addosso.»

«Hai lasciato la tua famiglia e l'Argentina, per venire a giocare in Italia, hai lasciato un posto sicuro in campo a Palermo per passare alla Juve, hai imparato la lingua...» sospirai. «Tuo padre lo sa, Paulo. E sa anche quanto bene stai facendo alla tua famiglia e alle persone in generale.»

Gli accarezzai le due fasce nere tatuate sul braccio sinistro.

«Io e Vale siamo nati alle due di notte. Il papà urlava alle infermiere di muoversi, perché sarebbe dovuto andare a Miami per lavoro il giorno dopo. Non ci avevano mai voluto, siamo nati per sbaglio, ma quando si è piccoli si vede il bene in ogni cosa.» mi strinse un po' più a sé.

«Ci regalavano tonnellate di giochi e noi, poveri illusi, non capivamo che quello era tutto tranne che affetto. Le domeniche eravamo gli unici ad andare a girare con le minimoto o a giocare a calcio accompagnati dai nonni, mentre i nostri genitori facevano chissà cosa. A dodici anni sapevamo andare in giro per Milano da soli, prendere i mezzi pubblici e fare tutto quello che un bambino non avrebbe dovuto saper fare.» feci una piccola pausa.

«Siamo solo cresciuti troppo in fretta. Forse è per questo che sono così.» alzai le spalle. «Non mi fanno né caldo né freddo gli insulti. Ezechiele, a volte, se va male, è colpa tua e devi farti un esame di coscienza. Quando è colpa degli altri, fregatene: prima o poi deve andare bene.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora