93. Nostalgia

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"Sei il mio punto debole
La mia causa di forza maggiore
Un senso di rivoluzione
Un golpe al cuore„

Fedez

Velia

«Ciao Alicia, come stai?» abbracciai la mamma di Paulo, che ero andata a prendere in aeroporto.
«Ciao cara, tutto bene, grazie, tu? Paulo ti fa arrabbiare?» mi strinse a sé, con quell'amore che solo una mamma poteva trasmettere.
«È un po' paranoico, teme sempre che mi affatichi troppo ma, finché riesco, cucino e faccio le pulizie da sola. Mi tengo impegnata.» le presi la valigia, precedendola verso la macchina.

«Anche Adolfo era così, soprattutto all'inizio.» sorrise, al ricordo del marito. «Non mi lasciava fare nulla! È incredibile come il loro spirito di maschi alfa si svegli solo durante la gravidanza.» ridacchiò.
«Davvero. Anche mio fratello si comportava allo stesso modo, prima che nascesse Tommaso. Poi ha capito che era meglio lasciarla perdere ed abbiamo voltato pagina.» imboccai la Tangenziale Est.

«Cosa mi racconti di bello?» si guardò intorno.
«Parto dall'inizio dell'estate?» ricevetti un cenno di assenso. «Ho litigato con Paulo per una sciocchezza, mi sono laureata, ho fatto pace con Paulo, abbiamo parlato di sposarci, ho vinto gli Europei, mi ha chiesto di sposarlo e basta, adesso faccio un po' la spola tra Milano e Torino ma vivo più in Piemonte che qua.»

«Beata gioventù.» mi accarezzò una mano. «Sono felice che mio figlio abbia scelto proprio te. È cambiato tanto in questo ultimo anno, ha meno preoccupazioni. Non si sveglia quasi più in lacrime per aver sognato suo padre e, per me, questa è una cosa bellissima.» si interruppe appena, con gli occhi lucidi. «Adolfo non voleva diventare la causa della tristezza dei suoi figli.» sospirò.

«E non la è, per quel che mi è dato vedere e sapere.» cercai di tranquillizzarla.
«Non più. Mariano e Gustavo l'hanno sofferta meno ma, per Paulo, mio marito era tutto. Me lo ricordo da piccolino, la prima volta che Adolfo gli mise in mano un pallone. Gli occhietti azzurri si accesero di una luce nuova, strana. La stessa luce con cui ti guarda. E, se è arrivato fin qui con un pallone...» allargò le braccia.

«Grazie, Alicia.» sorrisi. Avevo capito cosa intendesse con quella frase troncata a metà, perché l'inflessione della sua voce non lasciava spazio a dubbi: se è arrivato fin qui con un pallone, immagina cosa potrà fare insieme a te. «È il mio punto debole e, sinceramente, questa cosa mi spaventa un po'. Avere la sensazione di dipendere così tanto da qualcun altro è... boh, è. Non saprei nemmeno io come spiegarlo.» ammisi.

«È questo che più mi manca di Adolfo, seppur sappia che può sembrare stupido, dopo dieci anni. Anche la peggior sciocchezza acquisiva valore, se la faceva lui, no? Avrebbe potuto proporre di prendere su tutte le nostre cose e partire, all'improvviso, ed io l'avrei seguito. Mi dava la spensieratezza di fidarmi e la gioia di essere compresa.» annuì, un velo di nostalgia le incrinò appena la voce. «Sarebbe stato felice di conoscerti.»

«Anche io sarei stata felice di conoscerlo. Ogni tanto capita che Paulo me ne parli e percepisco che, nonostante tutto, c'è ancora qualcosa di bellissimo che li lega. Con i miei non è mai stato così facile.» concentrai la mia attenzione sulla strada. «Fare certe cose, normali per una famiglia, come instaurare un rapporto di fiducia, trascorrere del tempo insieme, confrontarsi sulle scelte da prendere, sulle preoccupazioni della vita... impensabile.»

«È destabilizzante sapere di non poter contare sui propri genitori, soprattutto all'inizio.» sbuffai, storcendo il naso. «Andavo alle medie quando tutte le mie compagne raccontavano del giorno in cui la mamma le aveva portate a comprare il primo reggiseno, aveva chiacchierato con loro dell'età dello sviluppo, dei primi fidanzatini, dell'amore, di un sacco di cose normali che per me erano l'anormalità.»

«Poi ho compiuto tredici anni ed ho conosciuto Mario, che di anni ne aveva diciassette ed era, se possibile, ancora più inguaiato di me. Ci siamo messi insieme quasi subito. I miei non l'hanno presa per niente bene, specialmente quando hanno capito che era una cosa seria.» ridacchiai al solo ricordo.
«Forse neanche io l'avrei presa benissimo.» commentò lei, interessata alla mia storia. «Quattro anni di differenza sono tanti, a quell'età.»

«Ed in tutto questo stiamo tralasciando che non aveva la Cittadinanza Italiana. Aveva tutte le carte in regola per essere il ragazzo sbagliato, dal colore della pelle al suo essere un calciatore, dall'età alla testa bacata che si ritrova. Attirare l'attenzione era la sua attività preferita ed io mi divertivo un mondo a dargli corda, sia perché mi piaceva la sua irriverenza, sia perché adoravo far impazzire i miei.» sorrisi.

«E quanto siete stati insieme?»
«Ufficialmente cinque anni, in realtà otto, tra alti e bassi.» uscii dall'autostrada. «Quando dicono che il primo amore non si scorda mai hanno ragione, non tanto per l'amore, che alla fine è solo affetto unito ad una grande voglia di farcela, quanto piuttosto per le esperienze che ti segnano dentro.»
«È stato per te un po' quello che Antonella è stata per Paulo.» annuì.

«Esatto. Io e lui soli contro il mondo, peccato che al mondo si possa trovare di meglio.» alzai le spalle, parcheggiando la Maserati Levante poco lontano dal palazzo in cui abitava Paulo, di modo che lui, arrivando a casa, non si accorgesse subito della nostra presenza. «Penso di aver appena trovato una vera mamma e di aver recuperato in un paio d'ore tutto il tempo che ho buttato via in ventiquattro anni di vita.»

«Mi sa che il discorsetto dovrò farlo a Paulo, prima che ti sposi, non a te. Ti voglio bene alla stregua di una figlia, Velia.» mi abbracciò, commossa.
«Lo dico sempre a Paulo e non posso fare a meno di ripeterlo: siete davvero la cosa più bella che mi sia capitata.» le accarezzai la schiena, baciandola su una guancia.

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora