27. Sbagliare

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"Sento nostalgia, prima che vai via
Puoi guardami dentro, fammi un'autopsia
La mia vita è tutta una pazzia
Ho più casino dentro la mia testa che in camera mia„

Shade

Paulo

«Scendo prima io, quando sono in taxi ti mando un messaggio, così esci. Passa a prendere la tua roba e vieni a questo indirizzo. Ho una casa qui vicino, i giornalisti lo sanno. Evita di farti beccare.» mi diede le direttive da seguire Velia.
«Claro.» annuii, guardandola uscire dalla stanza, in attesa del "via libera".

«Mi può aspettare cinque minuti?» chiesi al tassista che mi aveva accompagnato fino al mio - ormai vecchio - hotel.
«C'è un sacco di gente che ha bisogno di un taxi.» scosse la testa.

Lo guardai, alzando entrambe le sopracciglia.
«A Riccione, in inverno, non c'è nessuno. Per favore. Faccia il giro dell'isolato, la pago, ma mi aspetti.»
«No.» scosse la testa.

«E perché mai? Senta, ho fretta, posso pagarla anche il triplo, non è un problema.»
«Il triplo... il triplo va bene.» annuì appena.
Tirchio.

Chiusi in fretta la portiera, entrai in albergo e saldai il conto della camera, poi mi precipitai su per le scale.

«Tesoro, sei tornato...» blaterò Antonella. Con tanto di vestaglia in seta ed intimo in pizzo.

La ignorai, infilando i miei vestiti nel trolley, che chiusi con un gesto secco.

«Senti, ho sbagliato.» le dissi, prima di avviarmi verso la porta.
«A lasciarmi?»

«A pensare che ci avremmo potuto riprovare. È finita, Anto, finita. Ho pagato l'hotel, prendi un treno e torna a Milano.» le porsi cento euro.

«Sei uno stronzo!» piagnucolò. «C'è un'altra, vero?»
«Non è affar tuo.» sbottai.
«Paulo...» si lagnò, le lacrime agli occhi. «Ho lasciato l'Argentina, che era tutta la mia vita, per te.»

«Non te l'ha ordinato il medico. E poi mica stavamo insieme, non ti ho tradita.» schivai il suo tocco appiccicoso come la ventosa di un polpo ed uscii dalla stanza, sbattendo la porta dietro di me.

Il tassista mi portò fino all'indirizzo scarabocchiato da Velia su un bigliettino, al che scesi dall'auto e lo ringraziai per l'enorme sforzo che aveva fatto ad attendermi.

"Sono qui" scrissi alla mia ragazza.

«Argentino, sei stato così cattivo nel lasciare Antonella?» accennò un sorriso. «Mi ha chiamata in lacrime, chiedendomi di aiutarla a trovare la stazione.»

Risposi solamente al suo abbraccio, appoggiandole il mento su una spalla. Mi nascosi tra i suoi lunghi capelli biondi, che profumavano di shampoo e cloro.

Antonella era comunque stata una parte importante della mia vita e voltare pagina così, all'improvviso, era... strano. Strano, ma bellissimo.

«Entriamo che fa freddo, ti va?» mi accarezzò la schiena.
«Sì.» risposi soltanto, mentre la seguivo dentro casa.
«Camera mia è in fondo al corridoio, l'ultima porta a sinistra. Vai pure a sistemare le tue cose, adesso arrivo. Ah, c'è un po' di casino, tutto... questo» ci indicò «non era previsto.»

La stanza di Velia era immensa, ma questo me lo sarei dovuto aspettare. Un letto matrimoniale rotondo, coperto da un piumone giallo fluorescente, occupava la parte centrale dell'ambiente; ai suoi lati erano posizionati due comodini cilindrici; sulla parete rivolta verso nord si sviluppava un ampio armadio a muro senza ante.

«Contento di aver visto la mia camera?» mi chiese Velia, quando mi accorsi della sua presenza.
«Sono più contento di vedere te.» le sfiorai una guancia, facendola arrossire.
«Dai, Paulo...» abbassò la testa.

«Comunque, se per "casino" intendi quelle quattro cianfrusaglie che hai sul comodino, devo rivedere il mio concetto di ordine.» accennai ad alcuni fogli appallottolati, una tazza con un alieno, il modellino di una moto ed un piccolo casco bianco e rosso.

«Non sono cianfrusaglie.» scosse la testa. «Sono ricordi. La tazza che mi ha regalato Enea (nella foto), la prima moto con cui Vale ha vinto, il casco di Marco.»

«Chi è Enea?»
«Un pilota, poi te lo presento.»
«E Marco?»
«Te lo racconterò un'altra volta. Dormiamo?»

**********

Velia

Un brusio fastidioso invase la mia zona vitale ma feci finta di nulla, sistemandomi meglio tra le braccia di Paulo. Fu un gravissimo errore, del quale mi pentii quasi subito, quando un liquido freddo iniziò a bagnarmi lentamente la testa.

«Mario!» sbraitai, con i capelli grondanti. «Che cazzo ti dice il cervello? Non potevi andare a rompere le palle a qualcun altro?»
«Fratello, sei il solito coglione.» commentò Enock, intento a riprenderci con il cellulare dalla soglia della porta.

«Perché fate tutto questo rumore di prima mattina? Dove trovate la voglia di vivere?» domandò Paulo, retorico, strofinandosi gli occhi, mentre io mi trattenevo a fatica dall'abbassare lo sguardo sui suoi addominali perfetti.

«Biondina, è ora di pranzo. Le donne servono a cucinare. Tu sei una donna e noi abbiamo fame.» sciorinò Mario, convinto che quella fosse una spiegazione logica al mio risveglio traumatico.

«Dovevi proprio farmi la doccia?» gli chiesi, mentre prendevo una maglietta a caso dall'armadio e dei pantaloni della tuta, lanciandoli a Paulo, di modo che si cambiasse.

«Eh, dai, l'igiene non è mai troppa.»
«Su questo sono d'accordo. Ma vale anche per te, no?» gli rovesciai l'acqua restante addosso.

«Ma sei impazzita?» sbraitò lui.
«No, sono Velia. Ora va' a rompere il cazzo da un'altra parte che mi devo cambiare.»

Continua...

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