9. Tatuaggi

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"I don't ever doubt myself
I can count on no one else
And I do not need your help
I was told to show not tell„

Neffex

Velia

«Che fai lì impalata? Vieni?» mi chiese Paulo quando si rese conto che da troppo tempo stavo fissando la porta di casa sua.
«Vengo... vengo.» scossi la testa, nel remoto tentativo di recuperare un minimo di controllo sui pensieri che, instancabili, fluttuavano nella mia scatola cranica.

«Vuoi dei vestiti?» mi chiese, lanciando sgraziatamente la giacca sul divano.
«Rubo qualcosa ad Antonella, magari hai nell'armadio dei miei vestiti senza neanche saperlo... quando andiamo in vacanza capita che, al ritorno, non riusciamo più a chiudere le valigie e dobbiamo cambiare la disposizione degli abiti.» gli spiegai.

«Donne.» scosse la testa, aprendomi un'anta dell'armadio. «Mh, ho ancora pochissimo tempo le domande!» commentò poi.
«Già...» borbottai distrattamente, mentre individuavo un paio di mie magliette.
«Quanti tatuaggi hai?»

Sorrisi. Di sicuro aveva intravisto quelli tra le varie dita, che raccontavano tanto, tantissimo, di me.

«Dieci.»
«Che cosa significano?»
«Premetto che a mezzanotte smetto.» non risposi, storcendo il naso per il gioco di parole involontario.
«Come vuoi, basta che inizi.» si sedette sul letto.

«Sul moncone ho i versi di una canzone, "I don't ever doubt myself, I can count on no one else" (non ho mai dubitato di me stessa, non posso contare su nessun altro), che racchiudono un po' l'essenza della mia vita, la voglia di farcela da sola, la convinzione di potercela fare da sola. Sull'indice destro ho scritto "tudo passa" e sull'indice sinistro "shh".» iniziai.

«Come Neymar?»
«Sì, li abbiamo fatti insieme. Prima o poi tutto passa, nonostante sembra che la gente non abbia nulla di meglio da fare che sparlare. Sull'anulare sinistro, dove va la fede, il nome di mio fratello perché, al di là di tutto, lui c'è sempre stato. Un pallone da calcio e una goccia d'acqua, il prima e il dopo, un nove, il mio numero di maglia nonché quello di Mauro, che mi chiamava princesa prima di conoscere il mio vero nome, motivo per cui mi sono tatuata anche una corona. La moto ha un significato speciale, mi rimanda alle sportellate con Valentino quando eravamo ancora piccolini e, d'estate, in Romagna, passavamo i pomeriggi a girare a Misanino invece che al mare come tutti i bambini normali.»

Mentre parlavo lo notai guardare le mie dita, studiando i piccoli segni neri - molto più sobri dei suoi - che si modificavano a seconda del mio gesticolare.

«Tre frasi, un pallone, una goccia, Valentino, una moto, un nove, una corona.» contò sulle dita. «Ne manca uno.»
«Tommaso, sempre sull'anulare sinistro, dall'altro lato rispetto a Valentino.» aggiunsi, mentre dodici rintocchi si diffondevano nell'aria, interrompendo la mia spiegazione.

«Che è...?» domandò, nella speranza di una risposta.
«Poche persone sanno chi sia. E non parlerebbero neanche sotto tortura.» dissi, con tono grave.
«Mi stai spaventando.»
«Non ho ancora ammazzato nessuno.» mi difesi, alzando le mani.
«Ancora? Adesso sì che sono tranquillo.» sbuffò una risata.
«Lo so. Un giorno te lo faccio conoscere.»

«Quanto è importante per te?» chiese poi, quasi come se la mia ultima affermazione gli avesse dato l'opportunità di cavare un ragno dal buco.
Povero illuso.
«Quanto Valentino.»
«È impossibile parlare con te!» sbuffò. «Vado a farmi una doccia. Se hai bisogno, chiamami.» s'incamminò verso il bagno.

«Paulo?» lo richiamai.
«Sì? Vuoi venire anche tu?» ammiccò.
«Nei tuoi sogni. Anche se non sai scrivere, hai un foglio e una penna?»
«Ancora con questa storia? Cerca nei cassetti di quel mobile là.» mi indicò un lato della camera.
«Grazie!» gli lasciai un bacio sulla guancia, prima di darmi ad una caccia al tesoro più dura del previsto.

Esultai mentalmente quando trovai ciò di cui avevo bisogno, per poi rischiare di prendere un colpo rendendomi conto che Paulo era ancora lì, appoggiato allo stipite della porta, ad osservarmi.

«Perché... fai tutto questo per me?» sussurrai.
«Perché non dovrei farlo?» chiese, staccandosi dalla parete.
«Non lo so... insomma non sono nessuno per te.» abbassai nervosamente lo sguardo.

Velia. Datti una calmata.

«Anch'io voglio convincermi che tu non sia nessuno. Invece qualcosa dentro di me dice che non è del tutto vero e penso che sia lo stesso qualcosa che ti ha spinta a venire qui oggi.» fece un paio di passi verso di me.
«Paulo...» sussurrai, abbracciandolo e beandomi della sensazione di sicurezza che sapeva trasmettermi.

Il mio cellulare si mise a squillare e mi staccai malvolentieri.

«Sorellina!» esclamò la voce di mio fratello, leggermente alterata dal telefono.
«Quanto è importante quello che mi devi dire da zero a per niente?» gli risposi, contrariata.
«Ti ho comprato i biglietti per Valencia. Avete il volo domani pomeriggio, vedi di non perdere l'aereo.»
«Ok, grazie.» cercai di liquidarlo.

«Velia, mi sta antipatico ma non farlo cadere dal letto mentre dormite.» ammiccò, poi.
«Dormo sul divano. Imbecille.»
«Ah, allora un minimo di cervello ti è rimasto nonostante esca con uno Juventino... buonanotte, sorellina.»
«Notte Vale.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora