8. Notte

4.1K 89 38
                                    

"Ma tu chi sei che avanzando nel buio della notte inciampi nei miei più segreti pensieri?„

William Shakespeare

Velia

«Devi proprio tornare a Milano domani?» mi chiese Paulo, con una smorfia adorabile dipinta sul viso.
«Ho già perso anche il treno che pensavo di prendere...» sbuffai, controllando l'orario sull'iPhone.

«Volevi tornare in treno? Di notte?»
«Meglio in treno di notte che a piedi di notte, no?»
«Dormi a casa mia. Domani mattina torni.» sussurrò, come a non volersi far sentire dalle pareti del bar.

«Non voglio essere un peso...» borbottai.
«Se fossi un peso, non ti chiederei di restare.»
«Solo se posso dormire sul divano. L'idea che tu e Anto su quel letto ci abbiate fatto cose...» arricciai il naso. «Il divano dovrebbe essere meno contaminato.»
«Anche noi Sudamericani cambiamo il letto, sai?» mi chiese, sorridendo.
«Lo davo per scontato!» esclamai.

«Grazie, Dybala.»
«Di che? Mica sono io a voler dormire scomodo.»
«Penso che peggio dei letti d'ospedale ci sia ben poco. Sprofondi all'altezza dei fianchi come se avessi un'ancora legata in vita...» ridacchiai.

«Ecco il conto.» ci interruppe una cameriera che passava di lì.
«Pago io.» bloccai Paulo. «Già mi offri un tetto sotto cui dormire, pago io.» gli presi lo scontrino dalle mani.

Consegnai alla ragazza una banconota da dieci euro, lasciandole il resto: l'avere tanti, troppi, soldi non mi era mai piaciuto ma i miei genitori erano estremamente ricchi, ricchi da far schifo, così cercavo di essere gentile quando possibile.

«Dybala?» richiamai l'Argentino, che fissava il vuoto da qualche secondo. «Cosa c'è?»
«Eh? No, niente.»
«Dybala...»
«Perché non mi chiami mai per nome?»

Sollevai un sopracciglio: non mi voleva davvero chiedere quello.

«Perché hai tre nomi e non saprei quale scegliere.»
«Davvero?»
«No. Ti chiamerò Ezechiele. Bruno mi sa di vecchio, Paulo lo usano tutti...»
«Preferivo Dybala.»
«Fa lo stesso, Ezechiele.» sorrisi.
«Uffa.» si lamentò.

«Dai, fino a mezzanotte rispondo a tutte le domande che mi vuoi fare.» accondiscesi.
«Colore preferito?»
«Blu acqua o blu ciano.» risposi. «Azzurro piscina.» spiegai, quando mi guardò confuso.
«Claro. Sfondo del telefono?»

Gli mostrai la foto che faceva da salvaschermo, risalente a qualche mese prima. Io e Valentino indossavamo delle tute da motociclista con tanto di casco, guanti e stivali, fingendo di "fare l'angelo" sulla ghiaia del Circuito di Misano.

«Siete strani.» borbottò.
«Siamo bellissimi.» misi in chiaro le cose. «Stavamo morendo di caldo, perché erano le due di pomeriggio e quelle tute tengono decisamente troppo caldo.»
«Avete fatto la sauna per una foto?»
«Più o meno... solo che la sauna è più divertente.»

Sbloccai il telefono e gli mostrai lo sfondo vero e proprio. Io e Neymar facevamo gli stupidi durante lo shooting per GaGà Milano. Il Brasiliano non riusciva ad allacciare il cinturino dell'orologio ed io gli avevo lanciato in faccia la maglietta che si era appena tolto, ricordandogli che non era così intelligente come diceva di essere. Da lì avevamo incominciato a lanciarci qualunque cosa ci capitasse a tiro, rendendo veramente difficile la riuscita degli scatti.

«Sulla sua scarsa sanità mentale non avevo mai avuto dubbi, sulla tua sto iniziando ad averne.» commentò Paulo.
«Ehi!» lo schiaffeggiai su un braccio.

**********

«Mi piace Torino di notte.» interruppi il silenzio che ci circondava.
«Di notte?» mi chiese lui.
«Sì, di notte. È tutto più magico, no? Potrei fermarmi qua in mezzo, a guardare la Mole, per ore...» volteggiai, aprendo le braccia.

Si avvicinò leggermente, quel poco che bastava a far passare un braccio intorno alla mia vita. Mi attirò a sé ed infilò una mano nella tasca della mia giacca, intrecciando le nostre dita.

«Stagione preferita?» esalò, poco dopo.
«Facile, inverno, perché ci sono nata e perché amo la neve.»
«Messi o Ronaldo?»
«Neymar.» accennai un mezzo sorriso.
«Non era tra le opzioni.» cantilenò.
«Ronaldo. Ha vinto anche con la nazionale.»

«Cos'ha Neymar in più? Simula.» disse, ovvio.
«Fa parte del gioco.» risposi secca.
«Fino ad un certo punto.»
«Voi rubate.»
«Non è vero.»
«Vedi? Tu pensi che simuli, io che rubiate. L'importante è parlare. Ney simula? Perché gli arbitri non fanno nulla per impedirlo? Voi rubate? Perché nessuno fa in modo che ciò non accada? È un sistema malato, al di là del fatto che le premesse siano vere: tutti polemizzano, nessuno agisce.» spiegai.

«Non hai tutti i torti, potrei aver trovato un punto d'incontro con un'Interista che non sia dovuto alla mia esagerata bellezza.» sorrise, sornione. «Cosa c'è tra te e il Brasiliano?»
«Ney?» risposi, ignorando la sua scarsa modestia. «Niente. Ci siamo incontrati a Barcellona secoli fa, poi abbiamo condiviso il set di qualche shooting ed ogni tanto ci becchiamo in giro, tra Milano e Parigi.»

«Il giorno più bello della tua vita?»
«9 Luglio 2006, quando l'Italia ha vinto i Mondiali. Ero allo stadio con Vale e con i nonni, un sogno.»
«E quello più brutto?»
«Quando mi sono svegliata dopo l'intervento. Vale piangeva, per colpa mia, ed io non potevo fare nulla per consolarlo. Penso che abbia pianto mezz'ora, la mezz'ora più lunga della mia vita.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora