58/2. "Cantanti"

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"Forse gli spagnoli dovrebbero giocare un po' più a carte, così almeno si rilassano. Però tira il culo a perdere anche a carte„

Marco Simoncelli

Marc

Accarezzai lentamente i capelli chiarissimi di Velia, al che lei mosse appena un braccio, portandolo a cingere il mio torace, e sistemò meglio la testa sul mio petto.

Io sorrisi come uno scemo ed appoggiai la testa al sedile dell'aereo che ci stava portando in Australia. Anche mio fratello sorrise, poi diede a me dello scemo per come mi stavo comportando.

Quella in Australia era la vacanza a cui avevo subito pensato quando, onestissima, l'Italiana mi aveva scritto di aver perso la scommessa. Non sapendo poi se sarebbe venuta, sia perché all'epoca aveva un fidanzato che sembrava quello giusto, sia perché stava male a causa della doppia amputazione, avevo proposto ad Alex di prenotare due biglietti per noi, non volendo rinunciare al viaggio. Velia aveva acquistato il biglietto solo dopo, motivo per cui il suo sedile era lontano dai nostri.

«Ti piace.» asserì mio fratello, in Spagnolo, distogliendo l'attenzione dai titoli di coda di un film insulso che avevamo iniziato a guardare insieme e che lui aveva seguito solo per l'attrice protagonista.
«Cosa?» gli domandai, stupidamente.
«Velia.» sciorinò, ovvio.

Lasciai scivolare lo sguardo lungo il corpo della ragazza stesa sopra di me, coperta da un plaid marroncino, che si intonava al beige dei sedili.

«A chi non piace?» chiesi, retorico. «È bella, ha un cervello, non ride come un'oca e non ti sta addosso come una cozza.» enumerai.

«E le piace un altro.» interruppe la mia lista di complimenti. «Datti una svegliata, Marc, per lei balli tra l'essere un amico ed un collega di suo fratello.»

«A volte è bello illudersi.» sorrisi, mesto. «Tornerà con l'Argentino, se lui non sarà così stupido da scegliere quella sedicente cantante sempre mezza svestita.»

«Non sarà così stupido.» asserì, convinto. «È impossibile che le cose in amore inizino ad andarti bene.» ridacchiò, sfottendomi.

«Alex!» lo schiaffeggiai su un braccio. «Sei un infame. Dopo tutto quello che ho fatto per te...»
«Se, se, dite sempre così, voi fratelli maggiori. Le uniche cose che hai fatto per me sono state rubarmi il cibo dal piatto e darmi la colpa per qualche tua marachella davanti alla mamma o al papà.»

«Ah sì? Noi ce ne andiamo.» presi in braccio Velia e mi alzai, più per fare scena che altro.
«Marc, ho sonno.» si accoccolò sul mio petto. «Stai fermo.» puntò quei bellissimi occhi verdi nei miei.

«Ecco, stai fermo.» la imitò mio fratello. «Quindi state qui.»
«Shh.» posò un indice sulle labbra di Alex. «Marc, per favore, mi fa male la testa.»

«Ti fa male la testa?» corrugai la fronte: fino a poche ore prima stava benissimo.
«No, era una scusa come un'altra per cercare di farti desistere dal vagare per l'aereo con me in braccio. Ah, se ti do fastidio torno al mio posto, tanto ognuno dorme con i suoi occhi.» nascose uno sbadiglio dietro il dorso della mano.

«Voi due state male.» commentò Alex, alzandosi e dirigendosi verso il bagno, al che mi coricai nuovamente sul sedile e lasciai un po' di spazio - ma neanche tanto - a Velia.

«Ti piace ancora lui, vero?» le chiesi, quando posò la testa sul mio petto.
«Perché me lo chiedi?»
«Perché si vede.» sospirai.

«Se lo sai già, non dovresti chiedermelo.» portò una mano sul mio petto, puntando i suoi occhi chiari nei miei.
«Lo guardi in un altro modo, Vel.» le accarezzai la mano.

«Esce con quella cazzo di cantante stonata tutta tette e niente cervello.» sputò. «Non dovrei guardarlo proprio. Sarebbe stato tutto... perfetto. La laurea, il Mondiale, gli Europei. Era troppo bello per essere vero.»
«Para superar un tipo es saltar directamente en una nueva relación.» sussurrai.

«Che vuol dire anche qualcosa come morto un papa, se ne fa un altro?» alzò la testa, guardandomi negli occhi.
«Forse...» risposi, enigmatico, con un sorriso.
«Marc, sei uno scemo.» rise.
«Perché?» chiesi, stupidamente.

«Perché c'è anche un altro modo per dirlo, muerto un papa, se elige a otro. Senza per forza sottintendere cose strane...» sussurrò.
«Sei tu che trovi un doppio senso in qualsiasi frase.» mi difesi.
«O sei tu che ne nascondi uno, sperando che io lo trovi?»

«È relativo.» scrollai le spalle. «Ma tu non avevi sonno per fare tutti questi discorsi linguistici?»
«È relativo.» rispose, per sfottermi.
«È relativo che sia relativo.» recuperai la coperta di Alex dal sedile, stendendola su di noi. «Buonanotte, stella del mattino

«Marc, la mia coperta! Sei una bestia
«Alex, come ti ho sopportato tutti questi anni, così ti distruggo. Raccogli la nostra che è caduta.» tirai il panno verso di me per un angolo, sfilandolo dalle sue mani.

«Serio? Dovrei andare fin là» indicò un punto a caso dell'aereo «per riprendervela?» tirò dalla sua parte.

«Vado io, se mi lasciate dormire un paio d'ore dopo pranzo.» si alzò Velia. «Tanto è ora di mangiare.»
«Sì capo.»
«Bene, adesso partitina a carte.» recuperò la coperta ed il gioco.

«Ma noi perdiamo sempre contro di te a carte.» mi lagnai.
«Perdete contro tutti gli Italiani, perché non siete capaci. Mescola, perdente» rise lei, porgendomi la scatola contenente il gioco.

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora