37. Mea culpa

1.6K 52 6
                                    

"Quanto è difficile ignorarti solo io lo so
Sono all'inferno e tu sei un angelo al citofono„

Emis Killa

Velia

Passarono altri quattro giorni prima che potessi fare una semplice doccia. Tra la flebo al braccio sinistro e le nuove fasciature con cui stavo imparando a convivere, infatti, ogni spostamento era dannatamente complicato e qualunque operatore sanitario passasse di lì si raccomandava che riposassi il più possibile e che non mi alzassi, se non per necessità improrogabili. Andare in bagno non era parte di queste ultime: era giusto - a loro parere - che utilizzassi l'aggeggio malefico, quella padella bianca (giallina) in plastica comunissima negli ospizi, odiata da ogni essere umano con un minimo di cervello.

L'unica gioia era stata la vittoria - datata 17 gennaio - per 8-0 del PSG sul Dijon, con poker di Neymar, autore anche di due assist. Il Brasiliano era stato il nono giocatore della storia a meritare un dieci in pagella su L'Équipe ed io non potevo che esserne orgogliosa.

"Portami il phon, posso fare la doccia" avevo scritto a Mauro che, dopo l'allenamento, sarebbe passato in ospedale.

"Sarebbe anche ora..." mi aveva risposto lui, allegando una foto che ritraeva una sua mano reggere l'oggetto dei miei desideri.

"Ti voglio bene" avevo concluso la conversazione, ignorando la sua presa in giro.

Con l'aiuto di un'infermiera mi ero trascinata sulla sedia a rotelle e avevo "guidato" il mio nuovo mezzo fino al bagno.

Ok, mi ero vergognosamente fatta spingere, ma questo non aveva importanza: tornare a sentire l'acqua sulla pelle era un'emozione unica, soprattutto per me che, abituata a trascorrere almeno quattro ore in piscina al giorno, avevo iniziato a comprendere come si dovesse sentire un pesce fuori dal suo habitat naturale.

Durante le lunghe ore di degenza, in cui non avevo nulla da fare, rispondevo ai messaggi dei fan, schivando le chat con chiunque non fosse né Valentino né Mauro.

Mi sentivo troppo imbarazzata anche al solo pensiero di scrivere a Paulo, nonostante i sensi di colpa si facessero sentire sempre di più: ogni giorno mi mandava il buongiorno e la buonanotte ed io, come una stupida, eliminavo le notifiche fingendo che un noi non fosse mai esistito.

«Buongiorno!» esordì il Capitano, facendo capolino dalla porta. «Ti ho portato un paio di cose oltre al phon: una spazzola e degli assorbenti, Wanda mi ha detto che ti deve venire il ciclo.» continuò.

«Non mi hai portato del cibo? Se potessi camminare, ti chiuderei fuori dalla stanza.» lo informai, al che lui iniziò a ridere, guadagnandosi una borsa del ghiaccio in faccia.

«Ok, me la sono meritata. Dov'è una presa che ti asciugo i capelli?»
«Qui.» gli indicai un punto indefinito sulla parete alla sinistra del letto. «Sblocca le ruote per spostare il comodino.»

Lo lasciai armeggiare con il mobiletto ricoperto da finto legno color mogano ed ignorai per un momento l'insistente squillare del mio iPhone.

«Vale.» risposi alla fine, appena prima che mio fratello demordesse.
«¡Hola hermanito!» esclamò Mauro.
«Uh-uh, sei in compagnia. Se vuoi richiamo dopo.»

«Ma va' là, mica disturbi.» lo tranquillizzai, osservando il mio migliore amico infilare la spina nella presa.
«Dybala però sì.»
«Ah, giusto, ha telefonato anche a me ieri sera.» gli diede manforte il Capitano. «Mi sono scordato di dirtelo.»

«Perché non sono così sorpresa della cosa?» chiesi genericamente, una domanda retorica.
«Perché state insieme e dovreste parlare.» mise un punto alle mie paranoie Valentino.

«Ma se gli parlassi, di sicuro mi chiederebbe di vederci.» mi lamentai.
«E allora? Dove sta il problema? Se ti ha sopportata tre mesi, deve volerti bene. E, se ti vuole bene, credo gli interessi solo passare un po' di tempo con te, non se hai quattro piedi o se non ne hai nessuno.» intervenne Mauro.

Sbuffai. Così sembrava incredibilmente semplice...

«Gli ho anche detto che lo amo.» sganciai la bomba: l'Argentino ancora non lo sapeva.

Quest'ultimo rimase con la mano che reggeva il phon a mezz'aria, poi mi fissò con quegli occhi chiari che mi avevano rassicurata tante volte.

«Perché non lo sapevo?»
«Te lo avrei detto...»
«Velia.»
«Giuro, non era mia intenzione finire in coma e neanche dirglielo appena prima via nota vocale.» mi difesi.

«Sono passate due settimane, due settimane! E non dirmi che non hai pensato nemmeno un secondo di parlarmene, prima era un Dybala unico, probabilmente te lo sei anche sognata mentre eri più di là che di qua...» mi accusò, giustamente «quindi, se fosse andata come - grazie al cielo - non è andata, non mi avresti neanche scritto, perché uno che conosci da tre mesi viene prima di me.» constatò.

«Dieci anni, Velia, ci siamo incontrati dieci anni fa, e sei sempre stata tra le persone più importanti, l'amica di cui mi sono potuto fidare, la sorellina nel nuovo mondo.» sospirò. «Ed io, stupido, ti ho spinto tra le sue braccia, pensando che non rovinasse tutto.»

Abbassai la testa e, guardando il lenzuolo stropicciato del letto, ne seguii con i polpastrelli le pieghe marcate.

«Asciugateli da sola, i capelli.» concluse, sbattendo il phon sul comodino e raccogliendo le sue cose, prima di andarsene.

«Te la sei cercata.» commentò, poco dopo, Valentino, al che annuii, come se mi potesse vedere, e riattaccai.

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora