55. Adam Rana

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"Dove finisce il cielo e dove ci sei tu
Nelle piccole cose che non avrò mai più
La vita è come un lampo, io come un terremoto
Perché mi faccio spazio, finchè non resta il vuoto
Dove finisce il cielo ci sono anche i miei sbagli
E quelle insicurezze che sapevi curarmi
Quando sono da solo e non c'è più il rumore
Il tempo brucia il tempo, a chi complica il cuore„

Raige

Velia

«Vuoi qualcosa?» domandai a Paulo, raggiungendo la cucina con Tommaso, ormai addormentato, in braccio.
«Un bicchiere d'acqua ma non ti preoccupare, faccio io.» mi sfiorò un fianco. «Portalo a letto.»

Camminai silenziosamente fino in camera, misi il pigiama al bambino e lo lasciai, sotto le coperte, a dormire, poi tornai in cucina.

Mi sedetti su una seggiola ed incominciai a togliere l'infinità di forcine che avevo tra i capelli, raccolti in uno chignon laterale leggermente disordinato, pettinatura che avevo scelto in occasione della Prima Comunione di mio figlio. Le varie ciocche ondulate mi ricadevano sulla fronte ed io, svogliatamente, le allontanavo con piccoli sbuffi.

Un paio di notifiche illuminarono lo schermo del mio iPhone, che avevo distrattamente lasciato sul tavolo quando, dopo una lunghissima serata trascorsa a gestire un gruppo di bambini scalmanati, la cui età ballava tra gli zero ed i dieci anni, avevo finalmente rimesso piede in casa.

«Chi è Adam Rana (nella foto)?» mi chiese Paulo, scoccando un'occhiata pigra al mio cellulare.
«Adam Peaty? Ranista, detentore dei record mondiali dei 50 e dei 100 metri, nonché campione olimpico, mondiale ed europeo delle due specialità.» posai l'ultima forcina.

«E perché ti scrive a mezzanotte?»
«Boh.» alzai le spalle, ignorando i messaggi. «Non dovrebbe interessarti, se non interessa neppure a me.»

Cercai di nascondere uno sbadiglio dietro il dorso della mano, con poco successo, e mi alzai dalla seggiola, diretta verso camera mia.

«Velia?» mi richiamò lui.
«Sì?» voltai la testa.
«Cosa sono?» sventolò un plico di fogli che ben conoscevo.
«Niente.» glieli tolsi subito di mano, abbandonandoli sul tavolo.

«Peccato abbia letto... sono le pratiche per l'adozione di Egle.» prese i documenti e li sfogliò. «Perché
«Perché .» gli strappai i fogli dalle mani, riappoggiandoli di nuovo sul tavolo.

«Non è una risposta, Velia!» mi afferrò un polso.
«Non è una risposta? Peccato sia l'unica che abbia da darti.»

«Non puoi adottare anche lei.» scosse la testa.
«Chi sei tu per vietarmelo?»
«Sembra che tu voglia costantemente trovare scuse per passare sempre meno tempo con me.» sbottò.
«Sei serio?» sbuffai una risata sarcastica. «Ho appena passato delle ore con te.»

«Sono due settimane che non ci vediamo, due fottute settimane.» batté una mano sul tavolo. «E sono a Milano da dieci ore, durante le quali siamo stati circondati da altre persone.»
«Cos'è il tempo, se non attesa? Non mi sembra che ti sia dispiaciuto ritornare a ballare con Antonella.» lo accusai.

«L'hai invitata tu.» alzò le mani, discolpandosi.
«Questo non ti dà il diritto di fare il cascamorto con lei

«Parla quella che ha intenzione di adottare così tanti bambini che i gatti di una zitella possono accompagnare solo.»

«Cosa?!» sussultai, il tono di voce più alto di qualche ottava.
«Non è forse la verità?»
«Se ti dovessi portare un bambino nella pancia per nove mesi, capiresti come mai io non abbia ancora un figlio naturale.» incrociai le braccia al petto.

«Non hai un figlio naturale perché non c'è nessuno che voglia avere un figlio da te.»
«Paulo, vaffanculo, davvero.» raccolsi una ad una le forcine dal tavolo. «Torna a ballare con Antonella, non ho detto niente per non fare scenate alla festa di mio figlio, ma vederti tra le sue braccia mi ha fatto tutto tranne che piacere.»

«Pensi che io mi sia divertito a vederti con il tuo ex? La scusa dei figli è una scusa bellissima.» fece riferimento al bel rapporto instauratosi tra Pia e Tommaso, che mi aveva avvicinata a Mario forse più del dovuto.
«Sono anni che non stiamo più insieme!» mi impuntai.

«Ma se siete sempre insieme... quando non ha il Campionato, è qua. E tu hai un fidanzato, Velia, almeno fagli il piacere di non stupirti se è schifosamente geloso di te.»

«Peccato che io sia sempre in piscina o all'università. Il mio fidanzato non si lamenterebbe di certe cazzate, Mario è un acqua passata.» mi allontanai di qualche passo. «Non ti faccio dormire sul divano perché è scomodo.»

Arrivai in camera seguita dai passi felpati di Paulo, che erano in contrasto con il ticchettio dei miei tacchi sul parquet lucido. Mi sedetti per terra e sostituii le protesi per i tacchi con quelle adatte alle scarpe normali, poi mi tolsi l'abito lungo che indossavo e lo appesi ad una gruccia.

«Posso fare la doccia o vuoi andare tu?» interruppe il silenzio Paulo.
«Fai quello che vuoi.» estrassi dall'armadio il mio borsone del nuoto, ficcandoci dentro un costume a caso, una cuffia ed un paio di occhialini.

Indossai la prima tuta che mi capitò a tiro e presi le chiavi della One-77, poi scoccai un'ultima occhiataccia a Paulo, prima legarmi i capelli.

«Bello, quando mi nascondi le cose. Un rapporto dovrebbe essere basato sulla comunicazione tra le parti. Adesso prendi e te ne vai, senza dirmi niente.» borbottò. «Le pause non mi piacciono, Velia, è finita.»

«Oh, fidati, forse è l'unica cosa su cui siamo d'accordo.» afferrai il cellulare. «Quelli che si prendono delle pause non hanno il coraggio di porre fine ad una relazione.»

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora