54. Comedìa

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"C'è un'aria strana nel cielo
Esco da casa in silenzio
Non è ancora neanche l'alba, ma a dormire non ci penso„

Ultimo

Velia

Posai il borsone del nuoto per terra, poi sbloccai l'iPhone e scattai una foto a Paulo che, arrotolato tra le lenzuola, dormiva tranquillo, con le labbra appena dischiuse ed un ciuffo di capelli a coprirgli la fronte.

Lasciai che i miei occhi indugiassero - senza alcun pudore - sul corpo perfettamente scolpito e mi beai dei tratti quasi bambineschi che caratterizzavano il suo viso.

«Paulo.» sussurrai, accarezzandogli la testa.
«Mh.» mugugnò lui, aperti gli occhi. «È l'alba, che ci fai già vestita?»

«Sono le nove.» lo corressi. «E sono andata a nuotare.»
«Brava.» richiuse gli occhi quando gli posai la mano su una guancia, sorridendo appena.

«Routine.» scrollai le spalle.
«Torna a letto cinque minuti, poi ci alziamo. Mia mamma dorme ancora, no? Il fuso le dà sempre molto fastidio.» sussurrò.

«Sei sicuro di avere ventiquattro anni e non tre?» gli chiesi, ridendo, mentre mi rimettevo a letto.
«Ah-ah, simpatica.» mi strinse le braccia intorno alla vita e nascose la testa tra i miei capelli.

«Sai di cloro.» sbuffò, baciandomi una guancia.
«Ho finito lo shampoo.» gli spiegai.
«In realtà sai sempre di cloro, ma oggi di più.» si spostò sopra di me, sorreggendosi sui gomiti.
«Paulo...» balbettai appena. «Non eri praticamente in coma fino a cinque secondi fa?»

«Sai, mi sono accorto quando ti sei alzata, stamattina.» mi spostò una ciocca di capelli dal viso, ignorando le mie parole. «Dormo sempre senza di te eppure, ogni volta che dormiamo insieme, mi rendo conto di quanto sia strano passare in letti separati il resto del tempo.»

«Se non avessi una vita a Milano, verrei qui anche subito, lo sai.» annegai in quegli occhi azzurri come il cielo. «Ma ho Valentino, Tommaso, il nuoto, l'Inter, l'università...» sbuffai, contrariata. «Dammi un po' di tempo per sistemare le cose, per vedere cosa succede.»

«Sei bellissima.» cambiò argomento.
«Senti chi parla.» ridacchiai. «Quando cammini per strada anche i muri ti guardano.»
«Ma io guardo solo te.» mi lasciò un bacio a fior di labbra.

«Secondo Dante esiste un girone all'Inferno per gli adulatori.» gli accarezzai una guancia.
«Sì, Velia, ti amo anch'io.» nascose un sorriso dietro un finto broncio. «E non ho mai letto la Divina Commedia, quindi non lo sapevo.»

«Non hai mai letto la Comedìa?» mi sedetti di scatto, come se mi fossi scottata. «Neanche un pezzettino piccino piccino?» avvicinai il pollice e l'indice tra loro.
«No?»
«Oh santo cielo.» borbottai, sconvolta. «Questa cosa è... inquietante.»

«Tu sei inquietante quando ti fissi su qualcosa.» mi derise lui, alzandosi dal letto.
«Quaggiù m'hanno sommerso le lusinghe
ond'io non ebbi mai la lingua stucca, versi 125-126, canto XVIII dell'Inferno.» citai a memoria.

Paulo aggrottò la fronte, fermandosi, con la maglietta che stava per indossare a mezz'aria.
«Non so se chiederti cosa voglia dire stucca o perché tu sappia a memoria dei versi a caso della Divina Commedia

«Vuol dire sazia, ma rende di più l'idea: le lodi, essendo sdolcinate, risultano stucchevoli, sia per chi le tesse che per chi le riceve.» mi appoggiai con la schiena alla testiera del letto. «E poi ti sfido a trovarmi un Italiano che non ne sappia almeno un verso a memoria: è pressoché impossibile.»

«Claro. In questo momento sono felice di non essere Italiano.» mi regalò un sorriso dolcissimo. «Andiamo a fare colazione?»
«Tanto m'è bel, quanto a te piace.» citai ancora Dante.

«Pensi di andare avanti così all'infinito?» sbuffò, dandomi una pacca sul sedere.
«Però alla dimanda che mi faci,
quinc'entro satisfatto sarà tosto,
e al disío ancor, che tu mi taci.» ridacchiai.

«Cosa?! Questo è difficilissimo!» scosse la testa.
«Perciò qui sarà subito risposto alla domanda che mi poni e anche al desiderio che mi taci.» parafrasai.

«Ma, quando la leggete, capite cosa c'è scritto o avete bisogno del dizionario?» posò alcune tazze sul tavolo.
«Capiamo quasi tutto.» lo aiutai ad apparecchiare per la colazione. «Dante è vissuto settecento anni fa, eppure già alle elementari capita che si legga qualcosina di suo.»

«¡Buenos dias!» esclamò una raggiante Alicia, già vestita di tutto punto.
«¡Hola mamá!» la salutò Paulo.
«Buongiorno.» le risposi io. «Caffè?»
«Un poquito sì, grazie.» si sedette vicino al figlio.

«Mamma!» gridò Tommaso, nascondendosi dietro le mie gambe.
«Tesoro, non urlare.» me lo scrollai di dosso senza troppe cerimonie. «Cosa c'è?»

«Egle.» sussurrò. «Mi ha chiesto di farle la coda ma le ho incastrato l'elastico tra i capelli.»
«Paulo è un appassionato di elastici, ti salva lui.» derisi l'Argentino, che ci seguì verso la camera.

«Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate!» Egle agitò la spazzola come arma.
«Queste parole di colore oscuro
vid'io scritte al sommo d'una porta.» proseguii con il Canto III.
«Perch'io: "Maestro, il senso lor m'è duro".» continuò la bambina.

«Non è vero.» borbottò Paulo, scuotendo la testa.
«Ti amo.» gli baciai una tempia. «Sempre

Da Milano col palloneDove le storie prendono vita. Scoprilo ora